Pure
(su RaiPlay in Italia, ma dell’inglese Channel4), una serie britannica di una
sola stagione (non è stata rinnovata) di sei episodi basata sull’omonimo libro
di Rose Cartwright, ha come protagonista Marnie (Charlie Clive, al suo primo
ruolo televisivo), una ventiquattrenne tormentata costantemente da pensieri
sessuali intrusivi da quando aveva 14 anni.
Quando questi costanti
flash di atti sessuali, in cui lei a volte è coinvolta, a volte è solo
spettatrice, in occasione dell’anniversario dei suoi genitori cominciano a
riguardare anche loro, si spaventa ancora di più e scappa dalla Scozia a Londra
cercando una via di fuga. Lì almeno, fra milioni di persone, non deve
dimostrare niente a nessuno e può essere chiunque.
È un dramedy, e c’è molta
leggerezza anche nel trattare una questione delicata e difficile. Lei a un
certo punto dice di essere come il protagonista de ll Sesto Senso, solo che invece di vedere persone morte, lei vede
persone nude (1.01). Si sghignazza, ma a quel punto è già molto ben chiaro come
sia una sofferenza per lei vivere tutto questo, e di come lo sarebbe per
chiunque. Ipotizza di essere lesbica, e di non ammetterlo nemmeno con sé
stessa, ma queste fantasie che non riesce a controllare le impediscono anche di
fare sesso: quando si trova con la testa fra le gambe di una ragazza per la
prima volta, immagina di farlo con sua madre e non riesce a proseguire. Non
esattamente una goduria. E fantasie con
uomini mettono in crisi anche l’ipotesi che sia lesbica. “Non so che cosa non
vada in me”, si dice, e si vede che è un tormento. “Non è sexy, è disgustoso”
(1.02) quello che le accade, per come lo vive.
Non trova sollievo nemmeno
dal partecipare a un gruppo di auto-aiuto (1.02) per persone dipendenti dal
sesso o dalla pornografia. Gli altri la guardano senza riconoscerla e lei
stessa si rende conto che non appartiene a nessun gruppo. Finché non sembra
riuscire a dare un nome a quello che ha: OCD – disturbo ossessivo compulsivo,
che per sé stessa aveva escluso. Il titolo lo avevo immaginato come un
riferimento alla purezza in modo ossimorico, visto il problema con cui convive
la ragazza, ed è probabile che anche questa lettura sia voluta, ma in realtà viene
proprio da “Pure O”, O puro, noto anche come OCD puramente ossessivo,
l’etichetta che viene data a quello di cui soffre. Finalmente prova sollievo.
Ma non è sufficiente, rimane fortemente confusa: perché lo immagina, se non
desidera farlo? Come distinguere se si tratta di una compulsione patologica o
se è genuinamente attratta da qualcuno e arrapata? (1.04)
Alle normali difficoltà di
scoprire chi si è e che cosa si cerca in una relazione e nel rapporto con gli
altri si aggiunge tutta una dimensione che fa interrogare la protagonista su sé
stessa e se mai possa avere una vita normale. C’è paura, disorientamento e
solitudine. E si medita anche sull’intimità, su come sia il poter confessare a
qualcuno le proprie vulnerabilità e quello che ci spaventa di noi stessi, cosa
che lei non riesce a fare con l’amica Shereen (Kiran Sonia Sawar, The Nevers) che la ospita a casa sua, o
con l’amica storica Helen (Olive Gray) che va a trovarla (1.05), ma che invece
le viene naturale con l’amico appena conosciuto nel gruppo di auto-aiuto,
Charlie (Joe Cole, Black Mirror), che ha
una storia secondaria, con il quale si trova in sintonia per avere entrambi
problemi “inconfessabili” perché socialmente tabù. Poi la gente magari ti
sorprende. Il messaggio finale è infatti comunque di speranza: per trovare veramente
se stessi bisogna avere il coraggio di mostrare agi altri chi si è veramente,
anche o forze soprattutto quando mostrarlo ci fa paura.
La sceneggiatura di Kirstie Swain, che ha adattato il libro, ci offre una serie su sessualità e salute mentale che non è azzardato definire coraggiosa e audace.
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