È un’esplorazione di
identità queer, una riflessione sulla
femminilità, un’ode al lavoro di squadra e uno sguardo a come ambizioni
personali e pressioni sociali si compenetrano, la serie di otto puntate A League of their own – Ragazze Vincenti
(Amazon Prime), tratta dall’omonimo celebre film che personalmente non ho
visto. A fare una comparsata nel ruolo del proprietario di un bar LGBTQ+
clandestino c’è anche Rosie O’Donnell, fra le attrici della pellicola
cinematografica. Anche se non ci sarà una seconda stagione – una prevista di
quattro puntate è stata cestinata a causa dello sciopero degli sceneggiatori - la
prima si chiude in modo soddisfacente, facendo vincere le ragazze protagoniste
dove più conta, sul piano morale.
Siamo nel 1943, durante la
seconda Guerra Mondiale. Un gruppo di giovani donne viene selezionato per far
parte di una squadra di baseball, le Rockford Peaches, professioniste che giocano
in un’apposita lega. Per tutte loro è il sogno di una vita che si realizza. Carson
Shaw (Abbi Jacobson, Broad City,
co-ideatrice insieme a Will Graham), sposata ma con il marito Charlie (Patrick
J. Adams) in guerra, diventa presto non solo una giocatrice, ma l’allenatrice
di tutte loro, dopo che quello che era stato loro assegnato, Dove (Nick
Offerman, Parks and Recreations, Devs), le
snobba perché non le considera vere atlete con delle possibilità, in gran parte
in quanto donne. Fra le compagne Carson trova una sorta di famiglia – Lupe (Roberta
Colindrez), Jess (Kelly McCormack), Shirley (Kate Berlant), Esti (Priscilla
Delgado)…Se all’inizio tutte la consideravano una campagnola, a poco a poco
imparano a rispettarla e a farsene ispirare. Trova anche l’amore, intessendo
una relazione con l’avvenente Greta Gill (D’Arcy Carden, The Good Place) e scoprendo così un lato di sé che non aveva mai
esplorato. Quest’ultima, apparentemente molto sicura di sé, ha un passato doloroso
ed è arrivata a Chicago insieme alla sua migliore amica, Jo De Luca (Melanie
Field), a cui è profondamente legata.
Chi, nonostante la sua bravura
come lanciatrice, non riesce a farsi accettare in squadra in quanto nera, è
Maxine “Max” Chapman (Chanté Adams), che viene scoraggiata dalla madre a
inseguire sogni che ritiene poco realistici, ma che trova supporto nell’amica
del cuore, l’effervescente Clance Morgan (Gbemisola Ikumelo), che nel tempo
libero ama disegnare fumetti. Perfino i club clandestini sono divisi dalla
segregazione razziale. Insieme a quella di Carson, la storia di Max è portante
nelle vicende, e si vede quanto sacrificio personale c’è nel perseguire sogni
che la società impone non siano per te.
Siamo in un’epoca in cui essere
gay è illegale, ti possono picchiare e arrestare per questo; il sessismo e il
razzismo abbondano. Le ragazze devono sentirsi gridare frasi moleste dagli
spalti che nulla hanno a che fare con lo sport, il loro abbigliamento e la vita
privata vengono monitorate al punto da assegnare loro una chaperon, come se
fossero delle minori, Beverly (Dale Dickey), e devono preoccuparsi di aderire
ad un modello di femminilità che è stato deciso da altri per loro con il solo
scopo di soddisfare un pubblico maschile.
Pur essendo una serie
ambientata in ambito sportivo, il baseball ha una rilevanza in fondo minore –
io non ne capisco in proposito e qui non ti spiegano di certo, danno per
scontato che tu conosca le regole del gioco, e se non non è così in fondo è
irrilevante. Lanciare e colpire una pallina alla fine è una scusa per un
messaggio che riguarda più l’essere se stessi e cercare di realizzare i propri
sogni nella vita che altro. Ci si mantiene in equilibrio fra la necessità di
lavorare sodo per ottenere quello che si vuole senza lasciarsi sconfiggere
dalle circostanze, ma allo stesso tempo non si prescinde completamente da
quelle circostanze. Non si è eccessivamente sentimentali anche quando si è
positivi e propositivi.
Il messaggio di fondo alla fine è quello della presenza di una molteplicità di espressioni nell’essere donne, e stabilire a priori con lo “stampino” che cosa lo sia è tossico e deleterio, significa svilire le potenzialità della femminilità che può esprimersi in vari modi e non per forza da uso dei maschi. In questo è cruciale che le donne sappiano esserci le une per le altre, e questo la serie lo mostra ancora e ancora, che sia nelle Peaches che aiutano l’amica e in quel momento rivale Jo a raggiungere la base che deve per assicurarsi la vittoria, che sia nel semplice gesto di Beverly che consegna a Jess le multe che avrebbe dovuto pagare per non indossare la gonna invece dei pantaloni, che sia infine Bert (Lea Robinson), lo zio trans di Max, che le perdona un comportamento che lo ferisce.