sabato 24 febbraio 2024

THE FALL OF THE HOUSE OF USHER: serie gotica ispirata a Poe

Liberamente tratta dall’omonimo racconto di Edgar Allan Poe del 1840 e da altre sue opere, The Fall of the House of Usher - La caduta della casa degli Usher (Netflix – rilasciata il 12 ottobre 2023) è un horror gotico che si muove su due assi temporali: il primo fra il 1953 e il 1980, in cui si narra l’ascesa al potere del potente CEO di un'azienda farmaceutica, la Fortunato Pharmaceuticals, e della sua sorella gemella, ambiziosa direttrice operativa dell’azienda; il secondo, nel momento presente della prima messa in onda, quando inizia un processo nei confronti della famiglia Usher ritenuta responsabile della morte di moltissime persone che assumevano il loro farmaco di punta, il Ligodone, che ha causato l'epidemia di oppioidi mentre negavano che creasse dipendenza, e quando il magnate perde a uno a uno tutti i suoi sei figli nel giro di due settimane.

ATTENZIONE SPOILER

Roderick Usher (Bruce Greenwood; e da giovane adulto Zack Gilford), il CEO di cui sopra, dopo il funerale dei suoi figli, invita a casa propria C. Auguste Dupin (Carl Lumbly), un sostituto procuratore degli Stati Uniti. Costui ha trascorso la vita a cercare di portare alla luce il marcio della Fortunato, e Roderick gli racconta come ha iniziato la sua carriera, dell’apporto di sua sorella Madeline (Mary McDonnell, e da giovane adulta Willa Fitzgerald) e della misteriosa donna, Verna (Carla Cugino) anagramma di Raven-Corvo, una delle svariate forme che riesce ad assumere, che avevano incontrato nel Capodanno del 1979, con la quale avevano stretto un patto e che è responsabile della cruenta morte dei suoi discendenti. Soffre di una patologia chiamata CODASIL - una “leucoencefalopatia vascolare caratterizzata da una serie di episodi clinici tra cui icuts ricorrenti, emicrania, sintomi psichiatrici e disturbi cognitivi” ci dice il sito dell’ospedale Niguarda, una demenza vascolare dice più in semplicità la serie - per cui ha delle allucinazioni. Nondimeno ricorda con chiarezza i suoi inizi ambizioni ma idealistici, e nel presente la tragica fine dei suoi cari. Ora è sposato con Juno (Ruth Codd) e suo consigliere è l’avvocato Arthur Pym (Mark Hamill).

Muoiono in ordine di età, dal più giovane al più vecchio tutti i sui figli, gli ultimi due i soli legittimi nati dalla stessa madre – i loro nomi sono presi ognuno da una diversa opera di Poe (per questo e tanti altri riferimenti all’opera dell’autore americano si veda questo interessante pezzo su The Walk of Fame). Prospero (Sauriyan Sapkota), un edonista dedito ad orge e droghe che si merita l’appellativo di “Gucci Caligola” viene annientato da una pioggia acida nel corso di una festa (1.02); Camille (Kate Siegel), a capo delle pubbliche relazioni della Fortunato, viene dilaniata dagli scimpanzé che l’azienda tiene in gabbia per i loro esperimenti; Napoleon (Rahul Kohli), produttore di videogame che ha problemi di dipendenza dalla droga, finisce per buttarsi giù da un balcone, ossessionato dal gatto che ha preso in sostituzione di quello del suo compagno che lui ha ucciso mentre era in uno stato alterato di coscienza; Victorine (T'Nia Miller), una scienziata che sta sperimentando un nuovo device cardiaco su scimpanzé con l’intenzione di usarlo preso sull’uomo, finisce per impalarsi temporaneamente impazzita dopo aver accidentalmente ammazzato la sua collaboratrice e amante; Tamerlane (Samantha Sloyan), che lavora con il proprio compagno a un progetto di prodotti di bellezza, fitness e stili di vita e che lei amava guardare mentre faceva sesso con altre, perde la cognizione del tempo e finisce sfregiata e dilaniata da specchi che rompe; e infine Frederick (Henry Thomas), il primo erede con una figlia avuta da Morella che, sfigurata dalla stessa pioggia acida che ha ucciso suo fratello, lui tortura: immobilizzato dalla stessa droga che dava alla moglie indifesa viene sepolto dalle macerie di un loro edificio in demolizione. Non si salva nemmeno la nipote.

Con qualche eco dantesco e Shakesperiano, la miniserie si ispira indubbiamente a Succession per il tipo di ambiente familiare che vuole mostrare, come ne dà indizio la colonna sonora che in alcuni momenti la richiama, ma poi mantiene in prevalenza la stessa sensibilità di The Haunting of Hill House (2018) e The Haunting of Bly Manor (2020) - che ho seguito, ma su cui non ho mai scritto - di cui è già stato autore e showrunner l’ideatore Mike Flanagan che qui riserva per sé anche il ruolo di regista, che condivide solo, alternandosi, con Michael Fimognari che per la serie è direttore della fotografia.

Se ho elencato in modo specifico le morti, inanellate in puntate successive autoconclusive rispetto alla sorte di ciascun figlio, è perché l’aspetto di maggior intrattenimento è quello di vedere che fine spetta a ciascuno dei figli Usher, persone privilegiate, viziate e senza scrupoli: quella è la parte goduriosa, vedere quanto orrorifiche ed originali siano. Si svelano i loro vizi, depravazioni, segreti. Non hanno cura per niente e per nessuno e il senso ultimo di vederli morire è quello di vederli pagare per le proprie azioni, dare la vita per quello che ritengono di non debba avere conseguenze in virtù di quello che sono. C’è un senso di giustizia.

Come è più esplicito dalla spettacolosa puntata finale, piena di citazioni poetiche, si riflette sulle conseguenze delle proprie scelte, sull’eredità che si lascia ai posteri memorabile l’immagine del patriarca che vede dalla vetrata del grattacelo la sua: una fitta pioggia di cadaveri —, su che cosa significhi veramente essere ricchi;  poi si parla di dolore (dopotutto l’azienda ha fatto fortuna vendendo antidolorifici) e ci si giustifica anche con una sensata dichiarazione politica e un j’accuse alla società tutta messi in bocca a Madeline.

Non c’è mai paura, ad esclusione al limite di qualche occasionale jump scare per le allucinazioni del CEO che sono improvvise. Bruce Grenwood, che mi fa tenerezza ricordare ragazzo nella serie Legmen, è stato davvero portentoso. Qui c’è atmosfera gotica, senso di terrore imminente, di vago sovrannaturale, feeling di inatteso disfacimento fisico ed emotivo, gusto per l’inquietante. Su questa linea, convincente a appagante. E alla fina la caduta della casa degli Usher non è solo metaforica o intesa come caduta di una famiglia, ma come effettivo crollo di un edificio: bel tocco.   

mercoledì 14 febbraio 2024

FELLOW TRAVELERS: sull'amore e i condizionamenti sociali

È stata pregnante, toccante, romantica e sexy la miniserie Fellow Travelers – Compagni di Viaggio (Showtime – Paramount+) ed è riuscita anche a dare una prospettiva inusuale ad argomenti che già si sono visti trattati. Al centro delle vicende ci sono due uomini innamorati, fra gli anni ’50 del maccartismo più bieco e la fine degli anni ’80 che mostra il lato crudo dell’epidemia di AIDS, con continui passaggi fra presente (il 1986) e il passato, che per la gran parte viene seguito secondo un filo cronologico. Ad adattare per la televisione l’omonimo romanzo di Thomas Mallon è stato Ronald L. Nyswaner, già candidato al premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale di Philadelphia. La sigla mi ha richiamato musicalmente quella de L’Amica Geniale, e si compone di foto vintage di uomini gay che amoreggiano.

ATTENZIONE SPOILER

La lezione di fondo è che l’omofobia ha costretto generazioni di uomini (e donne, anche se qui hanno un ruolo molto marginale) a vivere nella paura; a mentire per sopravvivere, cosa che diventa perfino troppo facile se non hai altra scelta; a nascondere chi erano, a vergognarsene e a sentirsi in colpa, negando la verità del proprio io; a subire la condanna di una società che sindacava non tanto su con chi andassero a letto ma su chi amavano e chi frequentavano come amici e a negare per questo a se stessi l’amore, forza vitale ed essenziale. Quale tormento sia e a che conseguenze porti lo si vede e si dimostra.   

Nel 1952, Hawkins “Hawk” Fuller (Matt Bomer), in quegli anni con un look molto alla “Mad Men”, lavora per il governo, e più specificatamente per il senatore Wesley Smith (interpretato da Linus Roache e basato in parte su una persona reale, Lester C. Hunt), la cui figlia Lucy (Allison Williams) finirà per sposare. Crede della “completa libertà personale”, ma nasconde di essere omosessuale, perchè siamo in un’epoca in l’FBI ha un’Unità di Investigazione sui Devianti Sessuali e la polizia di Washington ha un programma di eliminazione delle perversioni sessuali perché, senza mezzi termini, gay e lesbiche vengono considerati tristi, malati e patetici. Incontra per caso Tim Laughlin (Jonathan Bailey, Bridgerton), che lui chiamerà “Skippy”, idealista, un po’ ingenuo, maccartista convinto, fedele cattolico. Si piacciono da subito e Hawk lo prende sotto la sua ala protettrice, trovandogli un lavoro e iniziandolo ai piaceri sessuali. Loro amico è Marcus Gaines (Gelani Alladin), un veterano di guerra ora giornalista, per cui alla discriminazione legata all’orientamento si aggiunge quella dell’essere nero in un paese razzista e uscito a malapena dalla segregazione. È innamorato di Frankie Hines (Noah J. Ricketts), drag queen apertamente gay, in un’epoca in cui questa espressione, “apertamente gay” cioè, aveva ancora senso – e sì, è un riferimento al commento di Andrew Scott il mio, che in una recente tavola rotonda con l’Hollywood Reporter ha dichiarato, in modo assai divertente, che è ora di mandare in pensione quella dicitura e sicuramente è spesso il caso di aderire alla sua osservazione.  

Attraverso l’excursus storico, si è dato uno spaccato notevole su come siano cambiati la società e i mores nel tempo:  è agghiacciante vedere i funzionari statali indagati e licenziati per anche solo un sospetto di omosessualità – Mary Johnson (Erin Neufer) segretaria di Hawk, lesbica, si vede costretta dalle circostanze a denunciare la donna di cui è innamorata per non perdere il lavoro e vive in una situazione d’ansia come già in questo caso recentemente ce l’ha mostrata “For All Mankind”; ci sono suicidi; c’è elettroshock (1.05)…Hawk stesso viene sottoposto a un vergognoso “test di mascolinità” e addirittura alla macchina della verità, con un vero e proprio interrogatorio intimo, su sesso, sodomia, su se mai sia stato innamorato di un uomo…. La mentalità cambia, arrivano le proteste per la guerra del Vietnam negli anni ’60, gli anni ’70 di edonismo e liberazione sessuale, macchiati dal noto omicidio di Harvey Milk e George Moscone, la crisi dell’HIV e dell’AIDS negli anni ’80, che vede un Tim morente che dichiara “non stiamo morendo di AIDS, stiamo morendo di indifferenza”.

È il percorso individuale di due uomini profondamente diversi fra loro. Hawk è più libero da sensi di colpa nei propri desideri, ma è in vista e più condizionato dall’immagine sociale che vuole mantenere. Si costruisce una vita più tradizionale, come gli è richiesto: si sposa e ha dei figli, che pure ama, ma quando gli muore di overdose il più piccolo si dà a una vita di eccessi, di sesso, droga e alcool. Alla fine la moglie lo lascia. Tim, profondamente religioso, teme la dannazione eterna eppure ammette di essersi sentito “puro” (1.01) nel commettere quello che la sua chiesa reputa peccato mortale, ed è all’inquieta ricerca di se stesso, ma riesce ad essere onesto nel senso di aperto su chi è piuttosto in fretta, si appassiona alla causa di McCarthy nonostante tutto, si arruola, finisce in carcere, va in seminario con l’intenzione di farsi prete, diventa un assistente sociale che si batte per il finanziamento alla ricerca contro l’AIDS, quando già ci sta morendo. 

E fra questi due piani che si intersecano così bene, quello individuale e quello collettivo, c’è una romantica storia d’amore di due persone che si desiderano e amano autenticamente – con una buona dose di sesso che viene mostrato piuttosto liberamente (spinto, ma attento ad essere sempre al di qua della pornografia). Si prendono e di lasciano, con tante volte molti anni che si inframmezzano fra un incontro e l’altro, ma sempre con la mente l’uno per l’altro. Tragico, magnetico, seducente, crudele, dolce, commovente…Nella storia d’amore Hawk è in partenza il più smaliziato: se Skippy va in chiesa a confessarsi, Hawk è invece quello che con una strizzatina d’occhio gli dice “passerò il pomeriggio a immaginarti in ginocchio in preghiera”; è Hawk quello che gli ordina di spogliarsi guardandolo negli occhi e si sente ripetere “a te” alla domanda “a chi appartieni”? (O forse “tu” alla domanda “di chi sei tu?” – avendo visto il programma in originale non so che cosa abbia scelto la traduzione italiana) – raramente si vede il sesso trattato in termini di potere, e qui è stato fatto in modo notevole. Da donna a cui piacciono gli uomini devo ammettere che mi piace vederli fare sesso, e quando ci sono due interpreti che oltre ad essere bravi sono anche così esteticamente attraenti, non è difficile lasciarsi trasportare. I rapporti di forza fra loro nel tempo cambiano, ma l’attrazione e i sentimenti rimangono, anche se nel tempo si sono feriti.

Tim ormai morente confessa ad Hawk che ha aspettato tutta la vita che Dio lo amasse e poi si era reso conto che la cosa importante era che era lui ad amare Dio, e la stessa cosa era con Hawk, il suo grande amore che lo consumava. Hawk solo davanti all’AIDS Memorial Quilt a Washington, davanti a quel fazzoletto di stoffa che porta il nome del suo Skippy, ha finalmente il coraggio di ammettere, alla figlia, “Non era ‘il mio amico’, era l’uomo che amavo”. Frigno a scriverlo come quando l’ho visto. Una miniserie sull’amore autentico e sui condizionamenti sociali.

domenica 4 febbraio 2024

LITTLE BIRDS: dagli scritti della Nin, inguardabile

Non è la peggiore produzione che io abbia visto in vita, ma ci sia avvicina molto. Little Birds (Sky Atlantic, NOW TV), serie in 6 puntate del 2020 basata sull’omonima raccolta di racconti erotici di Anaïs Nin, comincia con la protagonista Lucy (una sempre deliziosa Juno Temple, Ted Lasso) dallo psichiatra. Siamo nel 1955, a Tangeri in Marocco – anche se le riprese sono state fatte fra l’Andalucia in Spagna e l’Inghilterra -, e su richiesta del padre di lei le vengono date delle pillole tranquillanti e stabilizzanti dell’umore per tenere a bada quello che definiscono un comportamento problematico, e voglie che la distraggono. È presto chiaro che l’effetto cercato è in realtà di frenare qualunque entusiasmo. Si sente allegra e vuole ascoltare un po’ di musica alla radio? Ecco pronta una pilloletta da ingerire. Quelle stesse pillole devono averle ingerite Sophia Al Maria, che lo ha sviluppato per la TV, e le altre co-sceneggiatrici Stacey Gregg e Ruth McCance, e anche la regista Stacie Passon, perché se c’è un aggettivo che si attanaglia bene a questo programma è “dull”: spento, soffocato, sbiadito, piatto. C’è qualche guizzo di potenziale, ma non si va oltre al potenziale.

L’ingenua Lucy si sposa con un nobile inglese, Hugo Cavendish-Smyth (Hugh Skinner), e spera così di cominciare una nuova vita piena di feste e di stimoli nella Zona internazionale di Tangeri. Ancora non sa che lui l’ha sposata perché il padre l’ha pagato per farlo, lui è gay ed innamorato di Adham Abaza (Raphael Acloque) un avvenente principe egiziano che con lei fa pure amicizia. Se lei è annoiata e affamata di vita, lui non la aiuta di certo, anzi, è un inetto perfino nello svolgere riluttantemente il compito che il suocero gli ha affidato, ovvero vendere le armi di cui è produttore al Segretario francese in Marocco, Pierre Vaney (Jean-Marc Barr). La sua vita si incrocia a quella degli altri in occasione di una festa a casa della Contessa Mandrax (Rossi De Palma), e fra i tanti incontra anche una prostituta molto nota e richiesta, Cherifa Lamour (Yumna Marwan), particolarmente prona a sottomettere e maltrattare i clienti che lo desiderano.

Quello che dovrebbe essere un ambiente affascinante di intrighi internazionali, giochi di potere e seduzioni, con uno specifico sottofondo politico di colonialismo e risentimenti, in realtà è un incrocio di scenografie di ricostruzioni che appaiono finte, claustrofobiche, rese oppressive da colori saturi, a fare da sfondo ad abusi di potere di grande piccineria. Due ragazze ad esempio umiliano un lavorante presso di loro, Leo (Kamel Labroudi), l’innamorato di Cherifa, per divertirsi, gettandolo a ripetizione una loro collana in piscina e obbligandolo a tufferai a riprenderla, mentre loro se ne stanno pacifiche a prendere il sole. Poi Leo viene pestato a sangue da Pierre? Senza senso.

E se si voleva mettere in scena l’edonismo frenato si è fallito miseramente. Con la dominatrix Cherifa ci sono buone dosi di scene sado-maso più squallide che minimamente erotiche, come immagino avrebbero voluto essere. Lucy e Bill (Matt Lauria), una spia che indaga sulle attività del padre di lei, ad un certo punto si spalmano vernice l’uno sull’altra? Con due attori così affascinanti poteva uscirne qualcosa di effettivamente seducente, come poteva esserlo la scena di un pranzo fra Lucy e Pierre che è uno dei momenti memorabili, ma proprio non ci si riesce. E Cherifa che intrattiene gli ospiti ballando sul bolero di Ravel durante una cena che altro non si può definire se non folle? Ha qualche senso qualcuna di queste scene oltre a provocare un forte senso di noia mista a disgusto in chi le guarda? Terrificante proprio.

Quello che viene reso bene, quasi per errore, è il senso di morte interiore e di disperazione dei personaggi, ma perché sembrano smorti loro, ad eccezione forse di Adham, che mostra un po’ di grinta e vitalità. Se lo schifo per la vita è quello che si voleva trasmettere, e il tedio, allora indubbiamente si è riusciti a trasmetterlo. I dialoghi sono terribili – c’è uno scambio in cui Lucy dice a Bill di voler usare il bagno in cui non sapevo se piangere o scoppiare a ridere -, le scene proprio non stanno in piedi narrativamente, e la messa in scena è desolante e senza lustro. L’uso della luce soffusa vagamente sognante, con tutto bluastro o rosso da occhialini 3D, ha tramesso ancora di più una sensazione di finzione e di falsità. Forse aspirava ad essere artistico, con qualche tocco alla Wes Anderson, voglio credere, perché si nota lo sforzo di creare una realtà surreale sensuale e di commentare sui rapporti di potere. Questi elementi ci sono, peccato che sia stata reso in modo così inguardabile, almeno per me. Non ho letto il materiale originale, ma certo così me ne è passata la voglia.