venerdì 9 agosto 2024

LA REGINA CARLOTTA: uno spin-off di Bridgerton

La regina Carlotta (Netflix), la serie che ha debuttato il 4 maggio 2023, con molta consapevolezza adotta il sottotitolo Una storia di Bridgerton. La ragione non è solamente che è, appunto, uno spin-off di Bridgerton, ma che sebbene sia ispirata infatti alle vicende della Regina consorte del re del Regno Unito, Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, non è storia vera, è una rilettura rosa che si prende molte licenze poetiche.

La più significativa di tutte è che molti studiosi ritengono fondatamente che la regnante avesse un'eredità culturale mista e fosse nera, ma questo è stato spesso insabbiato. La serie, che non a caso è stata ideata e prodotta da Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy), si è invece chiesta che cosa sarebbe successo se la società avesse accolto queste differenze invece di ignorarle e negarle e avesse elevato le persone nere (o di colore in senso più ampio) a posizioni e ranghi di rilievo. Nelle vicende ci si riferisce a questo come al “grande esperimento”, che non è avvenuto nella realtà, ma nella fantasia degli autori che reimmaginano come sarebbe potuto essere il mondo se fosse stata fatta una scelta simile. Urge domandarsi che tipo di valore epistemologico abbia un simile esperimento, in questo caso non sociale ma narrativo, se ne abbia uno al di là della mera soddisfazione di un mondo più equo almeno nella fantasia e dell’aprire la mente ad immaginarlo come possibile.

Queen Charlotte si muove fra due assi temporali: uno nel 1817, il presente di Bridgerton (si è debuttato fra la seconda e la terza stagione di questa), in cui la regina (Golda Rosheuvel) fa pressione sui suoi numerosi figli perché si decidano a fornirle un/a erede al trono – nella realtà, solo il quarto è stato in grado di produrne uno, quella che poi sarebbe diventata la regina Vittoria, quando lei era ormai scomparsa; uno nel 1761, che ci fa scoprire la backstory di Carlotta, quando giovanissima (una perfetta India Amarteifio) viene data in sposa dal fratello Adolfo (Tunji Kasim), a un uomo che non conosce nemmeno, re Giorgio III (Corey Mylchreest, e se nel suo scarnissimo curriculum ha interpretato Adone in The Sandman è perché brutto non è, mettiamola così), conosciuto dalla storia come il “re pazzo”.  

Le vicende, che portano tutte la regia di Tom Verica (che per me sarà sempre il papà nella rimpianta serie American Dreams), si concentra sullo spaesamento delle nuova venuta e sul matrimonio con il re che mal vive la pressione del suo ruolo. Vorrebbe poter essere “solo Giorgio”, dedicarsi alla scienza, all’astronomia e all’agricoltura e non agli impegni imperiali che gravano su di lui, anche perché periodicamente ha episodi psicotici. Ufficialmente si dice che soffrisse di porfiria, ma oggidì si sono avanzate altre ipotesi (avvelenamento da arsenico, disturbo bipolare, problemi psichiatrici di altra natura). Sebbene nella sue fasi buone il consorte fosse amabile e affascinante, il pubblico empatizza subito con la neo-arrivata che si ritrova a dover far fronte a comportamenti inspiegabili che la lasciano profondamente triste e sola, anche perché per questi non vi è alcuna spiegazione. Quando la spiegazione arriva (dedicando una puntata a “riempire i vuoti” che c’erano dall’aver visto la sola prospettiva di lei al comportamento di lui, mostrando così l’immagine completa) si soffre con il paziente che si fa sottoporre a letterali torture da un medico sadico che promette di guarirlo, pur di star meglio, e si ha nuovo rispetto per Carlotta che gli sta vicino e fornisce il balsamo migliore con il suo amore. E se la “malattia mentale” è tabù e si brancola nel buio ora, immaginarsi fra ‘700 e ‘800.

Personalmente non ho mai avuto in particolare simpatica il personaggio della regina, troppo capricciosa e distante per i miei gusti, né al di là di questo aspetto in fondo irrilevante l’ho mai trovata degna di un secondo sguardo. Eppure, questo approfondimento l’ha davvero umanizzata e resa vulnerabile e amabile: una donna risoluta, forte, ma mossa da cervello e cuore al posto giusto, si direbbe. E allo stesso tempo si è dato ampio e gradito rilievo ad altri personaggi: la dinamica, frizzante Lady Agatha Danbury (Adjoa Andoh), che diventa presto la migliore amica della regina, ma che era inizialmente (Arsema Thomas) incastrata in un matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei e alla sua morte si era innamorata niente meno che del padre della giovanissima Violet (Connie Jenkins-Greig), che ora conosciamo come la viscontessa madre di tutti i Bridgerton (Ruth Gemmell) e assistiamo a come è nata quella amicizia e le vediamo ora vedove confidarsi sul proprio “giardino” (il luogo principe del piacere sessuale insomma), sulla solitudine e le relazioni; e, grande sorpresa, scopriamo un giovane Brimsley (Sam Clemmett), segretario e valletto personale della regina, sempre pochi passi dietro a lei: siamo abituati a vederlo ritto accanto a lei (Hugh Sachs) ormai anziano, ma è magnifico infilarsi nei ricordi che lo vedono avere una romantica storia con Reynolds (Freddie Dennis), segretario e valletto del re, e scoprire quello che i due hanno fatto per la coppia di cui sono fedelissimi servitori. Plot secondari molto ben calibrati. La voce di Lady Whistledown (Julie Andrews in originale, Melina Martello nella versione italiana) assicura continuità. L’ampiamento del worldbuilding dell’epoca antecedente a quella Regency in cui abbiamo conosciuto i personaggi è appagante per chi segue le vicende.

In costumi mozzafiato e gloriose ambientazioni, non mancano balli e occasioni mondane, l’attesa riflessione su protocolli e convenzioni sociali, e c’è naturalmente il classico must del genere rosa in cui lui confessa di non poter vivere senza di lei, ragione di vita, con un fluire di sentimenti e passione che non si riescono a trattenere. Però si va oltre: Carlotta acquisisce progressivamente consapevolezza della sua posizione e del suo ruolo, così come Agatha sa mantenersi in buon equilibrio facendo valere i propri interessi, ma allo stesso tempo mantenendosi fedele all’amicizia con la regnante. E non c’è l’asettico “vissero felici e contenti”, ma vissero felici nella misura in cui le circostanze della vita lo hanno consentito, che vista la malattia di lui non è stata poi così generosa. In mezzo a tanta fantasia, un nocciolo amaro che non ha reso meno apprezzabile la serie, anzi. Molti l’hanno salutata come la migliore. Non disdegnerei altre incursioni del passato dei personaggi con appositi spin-off.

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