domenica 6 ottobre 2024

THE GIRLS ON THE BUS: quattro giornaliste politiche

Ispirato al memoir del 2018 della giornalista politica del New York Times Amy Chozik intitolato Chasing Hillary, in cui lei seguiva la campagna elettorale della Clinton, e qui co-ideatrice insieme a Julie Plec (The Vampire Diaries), The Girls on the Bus (sull’americana Max) ha titolo che è un omaggio al seminale testo di saggistica giornalistica del 1973 The Boys on the Bus, un best-seller tutt’ora usato come materiale di studio nei corsi universitari di giornalismo, in cui l’autore Timothy Crouse racconta la vita in viaggio dei reporter che seguivano le elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 1972, libro mostrato spesso nella diegesi.

Cancellata dopo una sola stagione, con le presidenziali americane nel vivo, mi è sembrato il momento ideale per seguirla. Le quattro donne sotto i riflettori sono sì persone, ma allo stesso tempo rappresentano un modello di giornalismo così come si contendono la scena nella contemporaneità e possono ciascuna essere identificate da una parola chiave, come esplicitano in chiusura (1.10). Sadie McCarthy (Melissa Benoist, Supergirl) è la penna politica di punta per The New York Sentinel, adora la propria professione, ed è appassionata, crede che l’autenticità e rivelare le proprie simpatie eventuali sia più onesto e abbia più integrità di un’oggettività che spesso è illusoria. Dopo una crisi avvenuta qualche tempo prima ha convinto il suo superiore Bruce Turner (Griffin Dunne, This is us), che per lei è un incrocio fra un mentore e una figura paterna, a darle una seconda possibilità. Lui, con un passato di dipendenza da sostanze stupefacenti, pare sia ispirato al leggendario David Carr del Times. Suo idolo è il pioniere del giornalismo Hunter S. Thompson (P.J. Sosko), che le appare incarnando i propri pensieri. Rappresenta la carta stampata giovane e grintosa che è ancora animata da idealismo e convinzione di essere rilevante e poter fare la differenza, è la “speranza”. Il lavoro di Sadie la porta in contatto con un’ex-fiamma che lei aveva ghostato, Malcom (Brandon Scott).

Sempre alla carta stampata appartiene Grace Gordon Greene (Carla Gugino, The Fall of the House of Usher), una veterana che ha vinto il Pulitzer che mette la carriera e gli scoop davanti ad ogni cosa, anche al marito (Scott Cohen) e alla figlia universitaria (Rose Jackson-Smith) che sta avendo un periodo di crisi che lei non riesce a gestire. È il “cinismo”.  Kimberlyn Anaya Kendrick (Christina Elmore), la conservatrice del gruppo, in contrasto ideologico con le altre, lavora per un network simil-FoxNews il "Liberty News Direct" che non la apprezza come dovrebbe. Ha un fidanzato, Eric (Kyle Vincent Terry), poi marito, con il quale il rapporto è difficile proprio a causa dei suoi mille impegni di lavoro. Rappresenta l’”ambizione”. Lola Rahaii (Natasha Behnam), che è la “giovinezza”, è un’influencer e attivista della Generazione Z che ha più follower su Twitter di quanti ne abbia il Washington Post. È grintosa e convinta che il suo modo di fare informazione sui social sia quello rilevante, mentre vede la carta stampata come morta e la TV via cavo come un canale per vecchi. Nel tempo però impara il rispetto per i giornalisti di vecchia scuola e sente sempre più soffocante la continua necessità di fare product placement.

Queste professioniste dell’informazione devono seguire i politici che si contendono la nomination democratica: Felicity Walker (Hettienne Park), in parte modellata su Hillary Clinton, Biff de la Peña (Mark Consuelos), attore prestato alla politica, Hayden Wells Garrett (Scott Foley, Felicity) il meno noto fra i contendenti che riserverà alcune sorprese. Scrive Daniel Fienberg sull’Hollywood Reporter: “I candidati in pista per lo più non vengono nominati e sono presentati come archetipi: il geriatrico, la matricola, l'uomo bianco e sexy, ecc. Ma gli spettatori abbastanza intelligenti da identificare il network via cavo come simil-Fox troveranno facile riconoscerli come Fake AOC (Tala Ashe), Fake Mayor Pete (Scott Foley), Fake Arnold Schwarzenegger (Mark Consuelos), Fake Joe Biden (Richard Bekins) e Fake Hillary (Park)”.

Traspare l’amore per la professione giornalistica, con la consapevolezza che chi lavora in questo settore potrà non fare la storia, ma di certo la scrive (1.09); allo stesso tempo è guardata anche un l’atteggiamento disilluso di chi si rende conto che “di questi tempi la verità è qualunque cosa tu voglia credere” e siamo in un momento storico in cui i media sono sotto attacco. Fra Sadie e Bruce, e poi fra le protagoniste ci sono discussioni su questi temi. La sensazione di fondo è però che si rinunci a discutere senza esclusione di colpi, rendendo le opinioni un po’ blande (specie del caso di Kimberlyn, che dovrebbe essere la voce dissonante), e facendo finire i contrasti a tarallucci e vino in virtù della bella amicizia che si crea fra di loro, presenti l’una per l’altra nei momenti di difficoltà, pronte ad aiutarsi sul piano personale e professionale e diventate una famiglia. E per quanto si sentano le salvatrici della democrazia, nell’affrontare le tematiche però si dice poco del mondo là fuori e non si riesce ad essere una voce reale nel commentare la politica o i media effettivi. 

Scrive bene Alison Herman su Variety quando dice “Lo show è bloccato nel peggiore dei due mondi: le sue frequenti sciocchezze sembrano inappropriate, mentre le sue occasionali grandiosità appaiono del tutto fuori dalla sua portata”. Good Girls Revolt, The Morning Show o i vari  programmi di Aaron Sorkin (che sia The West Wing o The Newsroom) hanno sicuramente una diversa pregnanza. A dispetto di questo, anche grazie a una buona intesa fra il cast, è una visione gradevole anche se priva di rivelazioni.