Negli USA sono cominciate le primarie del Partito Repubblicano. Chi ne uscirà vincitore sarà lo sfidante ufficiale del presidente Obama nelle prossime elezioni presidenziali. Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, moderato e accusato un po’ di essere una banderuola per proporre ora per opportunismo politico idee opposte a quelle che sosteneva qualche tempo fa, è il favorito; Newt Gingrich, ex speaker della Camera, acuto intellettuale ma terribilissimo ultra-conservatore che fra le sue proposte include quella del ritorno al lavoro minorile, sembra in discesa; e infelici gaffes, la famosa “oops” in primis, hanno minato le buone prospettive del Governatore del Texas Rick Perry; la favorita del Tea Party Michele Bachmann, che crede nel “dominionismo” (visione teocratica con la Bibbia come interpretata dai cristiani alla base delle leggi secolari), fa perfino rivalutare, in prospettiva, Sarah Palin – cerco di rimuovere il fatto che me la sono perfino sognata quest’estate; Jon Huntsman, con credenziali diplomatiche, è il nome meno citato; Ron Paul, ex-ginecologo e veterano delle campagne presidenziali con crescenti favori, è il più indipendente di tutti; Rick Santorum, in forte ascesa, è ben noto da tempo anche a chi non segue la politica soprattutto per le sua note posizioni omofobe che hanno portato il famoso attivista Dan Savage, che ha una popolarissima rubrica di sesso, a lanciare una campagna contro di lui: ha invitato i suoi lettori a trovare una definizione per “santorum” che è poi diventato un neologismo per indicare “la schiumosa miscela di lubrificante e materiale fecale che talvolta è il prodotto secondario del sesso anale”. Savage ha anche promosso la definizione in modo che fosse il significato che più risultava online dai motori di ricerca. Qualche scappatella extra-matrimoniale di troppo ha seppellito ogni possibilità per Herman Cain che si è ritirato ancora prima delle feste; così come si sono ritirati ancora prima delle primarie Tim Pawlenty e Gary Johnson.
Se ho fatto un piccolo riassunto dei politici in corsa come una che segue le vicende con un occhio sì e uno no, e che riceve le notizie in proposito più come eco che per attento interesse politico, almeno a questo punto della campagna, è per riportare un’osservazione che ho trovato davvero interessante che hanno fatto Terry Gross e David Bianculli a Fresh Air nella puntata del 20 dicembre. Osservavano come, per la prima volta, i dibattiti e l’esposizione politica dei candidati del GOP sono stati narrativamente costruiti e vissuti dal pubblico come una sorta di reality, come una specie di “Survivor”, dove sopravvivere è il sopravvivere delle tue opportunità di carriera politica. Entrambi i giornalisti notavano come questo ha permesso conoscere gli aspiranti sfidanti di Obama in modo molto più “familiare”. Non sapevano valutare se questa svolta della politica americana fosse da valutarsi positivamente o meno: da un lato infatti ha fatto sì che il grande pubblico si interessasse genericamente di più alla politica e quindi venisse a contatto con le idee che i singoli candidati proponevano in modo più diffuso di quanto non sarebbe stato diversamente difficile, allo stesso tempo però c’era la sensazione di una spettacolarizzazione indebita e di rendere troppo “gioco” importanti decisioni che poi hanno impatto sulla vita del Paese.
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