Se dal pilot non si era sicuri se Madam Secretary volesse essere The West Wing o Scandal,
alla terza puntata si è capito che vorrebbe essere il primo, ma che non ne ha
le capacità. Purtroppo. Una grave crisi internazionale viene risolta scambiando
un favore politico con un voto scolastico: una A in un esame universitario.
Risibile.
Questa nuova creazione di Barbara Hall (Joan
of Arcadia) vede come protagonista una sempre convincente Tèa Leoni nel
ruolo di Elizabeth McCord, ex-agente della CIA, per molti anni docente
universitaria di storia, che viene richiamata dal presidente in carica, Conrad
Dalton (Keith Carradine), a ricoprire il suolo di Segretario di Stato, dopo che
il suo predecessore è stato assassinato ( e sul come e perché c’è un po’ di
mistero). La serie segue un modello un po’ alla House: il caso politico è presentato nel teaser pre-sigla e
sviluppato nella puntata autoconclusiva, e ad arco c’è la vita professionale e
personale della protagonista, un po’ Hilary Clinton, un po’ Condoleezza Rice. C’è
anche un pizzichino di Homeland.
Nelle vicende di politica internazionale c’è poca visione. Ci sono
semplificazioni imbarazzanti che, considerato quello che c’è in TV ultimamente,
non sono semplicemente accettabili. Manca chiaroscuro, ed è troppo flebile la
percezione che ci sia dell’altro indefinibile ad di là di quello che vediamo. Manca
profondità insomma. L’eccellente Zeljko Ivanek – come dimenticarlo nella prima
stagione di Damages? – che ha il
ruolo di Russell Jackson, capo del personale della Casa Bianca, con cui
Elizabeth ha degli scontri, è usato poco e male, con scene striminzite che non dicono
nulla. Non si capisce che cosa ci stia a fare lì. Lo stesso si può dire dello
staff di supporto al lavoro: Nadine Tolliver (Babe Neuwirth), suo capo del
personale; Matt Mahoney (Geoffrey Arend), scrittore di discorsi; Blake Moran
(Erich Bergen), suo assistente; Daisy Grant (Patina Miller), coordinatrice
della stampa. È ben chiaro chi è chi, ma dopo cinque puntate i personaggi sono ancora
troppo indefiniti, tanto che le relative posizioni potrebbero risultare quasi
intercambiabili e i passaggi personali intesi in senso leggero e semi-umoristico
sono patetici.
Sul fronte di casa, dove
la protagonista assorbita dal suo ruolo di Segretario di Stato si sente manchevole,
da un lato il rapporto con il marito Henry (Tim Daly), docente universitario di
storia, è eccessivamente edulcorato; dall’altro quello della coppia con i tre figli,
Allison (Katherine Herzer), Jason (Evan Roe) e Stephanie (Wallis Carrie-Wood) è
superficiale. Non si può dire tutto, ma non si vede il substrato. Da un facile
paragone con The Good Wife (serie a
cui è associata nella programmazione sulla CBS) ne rimane annientata.
Madam Secretary ha molta ambizione, ed è sotto molti aspetti
magnifico che si corrano dei rischi nel produrre serie che hanno come
protagoniste donne brillanti che non siano il solito avvocato o poliziotto. Ben
venga rispetto al trito formulaico gialletto della settimana. Allo stesso tempo
rispetto al potenziale della premessa è dolorosamente inadeguata.
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