In Empire, che ha debuttato sull’americana Fox lo scorso 7 gennaio, Lucious
Lyon (Terrence Howard), un ex-gangster poi divenuto superstar del rap che ha creato un impero
musicale nel mondo dell’hip-hop, scopre di essere malato di ALS e, in
prospettiva di un ritiro professionale, vuole che a ereditare la sua posizione sia
uno dei suoi tre figli, il più adatto e meritevole. Sono: Andre (Trai Byers),
il più preparato dal punto di vista degli affari e il più assetato di potere,
ma con poco talento e carisma musicale; Jamal (Jussie Smollett), il talentuoso
musicista-cantante di cui il padre non riesce a sopportare l’omosessualità; e
Hakeem (Bryshere Gray), il preferito, con un grande potenziale come artista
hip-hop, ma svogliato e perditempo e che si comporta come se tutto gli fosse
dovuto. Una fetta della torta la vuole anche la sua ex-moglie, Cookie (Taraji
P. Henson, nomination all’Oscar per Il
Curioso Caso di Benjamin Button), che è appena uscita di galera dopo 17
anni, dopo aver scontato una condanna per traffico di droga, con i cui ricavi è
stato finanziato l’Empire Entertainment: “Sono qui per avere ciò che è mio”,
dichiara senza mezzi termini. Alleanze e scontri nascono per assicurarsi il
controllo dell’impero.
Ideata e scritta da Lee
Daniels (Nominato all’Oscar per Precious)
e da Danny Strong, questa
soap opera del prime-time è stata definita come una “Dynasty nera”; come lo Scandal
del mondo della musica; una via di mezzo fra Nashville, solo in un mondo musicale diverso da quello country, e Shakespeare,
e in particolare il Re Lear, con
Lucious nel ruolo del sovrano, mescolato a Il
Leone d’Inverno, opera teatrale del 1966 di James Goldman a cui pure si
ispira.
La recitazione è indubbiamente di alto
livello, e si attendono anche guest-star d’eccezione come Naomi Campbell e Courtney
Love, eppure non solo la serie è smaccata e trash, ma il pathos è a tal punto
forzato da apparire parodistico. Se le canzoni originali (di cui produttore
esecutivo è Timbaland) sono potenziali ballonzolanti successi con una loro
credibilità, la colonna sonora in certi momenti appare totalmente inadeguata
alle vicende rappresentate.
Ci sono momenti di
spessore umano anche. La relazione fra Jamal e il padre ad esempio, che Daniels
dice essere autobiografica, è particolarmente realistica e inusuale. In uno dei
troppi flashback vediamo Lucious letteralmente prendere di peso il figlio
allora di 5 anni e portarlo fuori di casa e buttarlo nella spazzatura per il fatto
di mostrarsi effeminato, con le scarpe con i tacchi della madre. Non ci si
possono aspettare nuance però. Tutto come regola è eccesso ed esagerazione, e
il tono e le strategie narrative sono datate. Il potenziale
c’è anche, pure per diventare un successo di pubblico, e conquisterà coloro a
cui piacciono gli istrionismi, ma difficilmente gli altri. È sicuramente un
mondo che ha un’estetica piuttosto smaccata e la serie sembra abbracciarla con
convinzione anche nella propria fattura.
Nessun commento:
Posta un commento