Attenzione spoiler. La seconda stagione di Masters
of Sex si è tenuta qualitativamente sullo stesso livello della prima – di cui
ho parlato estesamente in Osservatorio
TV del 2014. Come avevano
promesso gli autori però, si è concentrata su aspetti diversi rispetto alla
prima, e in particolare sulla relazione, progressivamente sempre più intima,
fra i protagonisti principali, William Masters e Virginia Johnson, esaminata in
dettaglio, soprattutto attraverso il loro rapporto lavorativo-personale degli
incontri clandestini in un hotel ad Alton. La scrittura qui ha raggiunto livelli
davvero impareggiabili, e penso in particolare alla puntata “Fight” (2.03)
scritta da Amy Lippman (Party of Five),
quasi un bottle episode, in cui i due
si rivelano l’un l’altra con sullo sfondo il contrappunto di un tanto scontro
di boxe che va in onda sullo schermo della TV nella camera d’albergo in cui si
trovano, tanto reale quanto metaforico – il tema della mascolinità nello
specifico è eviscerato in modo acuto qui.
Nello stesso episodio il “caso medico” di un bimbo nato
con organi sessuali ambigui ha reso la puntata ulteriormente pregnante su un
altro livello, tratteggiando con pennellate tanto essenziali quanto efficaci la
tematica molto attuale della discriminazione e della necessità di giustizia
sociale nei confronti delle persone transgender. Accanto a questa si è continuato ad
approfondire quella già toccata nella prima stagione dell’orientamento
sessuale. La terapia di conversione di Barton (Beau Bridges) seguita da un frustrato
tentativo di fare l’amore con la moglie Margaret (Uallison janney) – doloroso da
guardare per la sua violenta autenticità - e il suo successivo tentato suicidio
sventato dalla figlia Vivian (Rose McIver) hanno aperto la stagione e veicolato
l’uscita di scena di questi personaggi per altri vincoli contrattuali degli
attori: Beau Bridges e Allison Janney sono impegnati sul fronte delle sit-com, e
Rose McIver è diventata la protagonista di iZombie.
Il testimone della famiglia Scully lo hanno raccolto Betty (Annaleigh Ashford)
ed Helen (la comica Sarah Silverman in un ruolo drammatico), in una storia
lesbica di forzate menzogne che ha danneggiato tutti.
Il fondo della serie è rimasto quello che Bill ha bene espresso
in una intervista per una stazione televisiva: “L’obiettivo è provocare una
conversazione sulla sessualità umana che non sia condotta in sussurri fatti
sottovoce. Il vocabolario del sesso (…) dovrebbe essere comune. (…) La censura
perpetua la vergogna, che a sua volta favorisce l’ignoranza, e l’ignoranza
impedisce il cambiamento, per cui è una traiettoria pericolosa ritirarsi
intimiditi dal linguaggio del corpo” (2.11) È perfino sorprendente quanto ancora
attuali siano le sue parole. E il come parlarne è emerso proprio rispetto al
medium televisivo con Bill inizialmente riluttante, poi comunque impacciato, a spiegare la propria
ricerca attraverso un mezzo che, ancora agli esordi, doveva autocensurarsi
molto e utilizzare circonlocuzioni e modalità costrittive e antitetiche all’essenza
del messaggio che il ricercatore voleva trasmettere.
Questo arco è stato di fatto diviso in due parti, con uno
stacco temporale di alcuni mesi fra la prima e la seconda parte della stagione –
la prima fase si è chiusa con la morte per cancro della dottoressa DePaul
(Julianne Nicholson): l’intenso rapporto fra lei e Virginia è culminato con
decisioni difficili da entrambe le parti (Lillian di non continuare la terapia
chemoterapica, Ginny di non chiamare i soccorsi quando l’ha trovata morente) che
hanno mostrato quanta forzo e rispetto ci fosse in entrambe. E la seconda parte,
con il dottor Masters che all’improvviso si è trovato non solo medico e
scienziato, ma uomo incapace di avere un’erezione se non masturbandosi, ha
spinto i due ricercatori verso una nuova tappa dei loro studi, quella non solo
di osservare e descrivere il sesso da un punto di vista fisiologico, ma di cercare
delle soluzioni per coloro che soffrono per disfunzioni di varia natura nel
campo della sessualità. L’eterodosso approccio di Virginia alla psicologia ha
reso giustizia sia a quest’ultima come disciplina autonoma con forti
potenzialità che all’ignoranza dell’epoca sull’argomento.
Diverse altre le storie sono state sotto i riflettori: dal
dottor Austin (Teddy Sears) che si è visto costretto a cedere alle avance sessuali
del suo capo, Flo (Artemis Pebdani); alle
difficoltà fisico-relazionali di Barbara (Betsy Brandt), nuova segretaria, e
Lester (Kevin Christy), documentarista del loro lavoro, poi divenuti pazienti; al
fratello di William, Francis (Christina Borle, Smash), e l’alcolismo suo (di Francis) e del padre; fino alla
storia di scoperta della realtà nera da parte di Libby (Caitlin Fitgerals), che
si immagina dispensatrice di buone maniere e saggezza nei confronti della sua
giovane baby sitter Coral (Keke Palmer) e scopre un mondo a colori e si impegna
accanto al fratello di lei Robert (Jocko Sims) per la causa dell’uguaglianza
razziale, su esempio e guida di Martin Luther King. La sua trasformazione è
stata graduale e insieme alla maggiore consapevolezza c’è stata anche una certa
disillusione: “Forse questa è la chiave, lasciar andare un qualche ideale per
vivere la vita che hai, non la vita che pensavi che avresti avuto, per
finalmente accettare ciò che è” (2.12).
Su tutto però brillano sempre loro: William Masters e
Virginia Johnson, e il merito è sì della scrittura, e nella regia – si pensi solo
anche al significato e alla potenza dell’immagine Bill inginocchiato davanti a
Ginny per praticarle sesso orale in “Giants” (2.05) - ma molto anche degli interpreti,
sempre eccellenti, Michael Sheen e Lizzy
Caplan.
Il 12 luglio la
serie torna con una terza stagione.
Nessun commento:
Posta un commento