È
stato perfetto, assolutamente perfetto, il ritorno su Netflix di Gilmore Girls, conosciuto in Italia con
il titolo infantilizzante di Una mamma
per amica, in quattro puntate speciali che hanno preso il nome di “A Year
in the Life” (Un anno nella vita), “Di nuovo insieme” in italiano. Il lancio è
stato il 25 novembre. La serie originaria, che aveva debuttato nel 2000, era
durata 7 stagioni, ma l’ideatrice Amy Sherman-Palladino aveva lasciato, per
dispute contrattuali, alla fine della sesta, e non ha potuto terminarla come
aveva sempre pensato. Questa è stata l’occasione per il suo riscatto e per
mettere sulla bocca dei personaggi quelle famose ultime quattro parole che ha
detto di avere avuto presenti da sempre e che sono diventate una specie di
piccolo mistero della serie. Non le rivelerò. Hanno chiesto hai fan di fare una
solenne promessa di non farlo, e tengo fede all’impegno. Dico solo che le ho
trovate appropriate, perché chiudono un po’ il cerchio, così come questi
quattro nuovi appuntamenti (di 88 - 122 minuti) si aprono al gazebo dell’immaginaria
Stars Hollow dove sono ambientate le vicende, e lì si chiudono. Si comincia con
“Inverno”, poi “Primavera”, “Estate” e “Autunno”, la prima e l’ultima scritte e
dirette dall’ideatrice, la seconda e la terza da Daniel Palladino, il marito da
sempre coinvolto nella produzione come sceneggiatore/regista/produttore
esecutivo.
Due precisazioni, prima
di procedere. La prima è che ho seguito questa nuova tranche in originale, come
ho fatto sempre in passato (pur avendo anche seguito molte puntate in italiano,
occasionalmente). E ho scelto di non usare i sottotitoli italiani perché, anche
a causa della velocità del dialogo, usarle le due lingue contemporaneamente sarebbe
stato insostenibile. Se perciò la versione nostrana abbia in qualche modo
alterato, e in che modo, il prodotto, non sono in grado (almeno in questi
momento) di valutarlo. La seconda è che sono una fan della serie, e come tale
ho cercato di gustarmela, ma come critica e come studiosa di media ho
partecipato anni fa a una raccolta di saggi critici pubblicata dalla Syracuse
University Press intitolata “Screwball
Television: Critical Perspective on Gilmore Girls”, curato da David Scott
Diffrient e David Lavery. È un progetto di cui vado fiera, e che
sicuramente caldeggio a chi è in grado di leggere in inglese. Lì ho analizzato
l’utilizzo a doppia lama dell’impianto liturgico e ritualistico della narrativa
televisuale, una struttura per ragioni varie (incluso il formato) in gran parte
scardinato nel revival, ma presente nel substrato della memoria dello
spettatore, e rilevante nella visione: ora qui, in ogni caso, non mi soffermerò
su questo.
Si erano lasciate le
protagoniste principali che si dicevano un temporaneo addio. Mamma Lorelai
(Lauren Graham) salutava la figlia Rory (Alexis Bledel) che aveva deciso di
unirsi alla campagna elettorale di Obama. Si riprende con Rory che torna a casa
brevemente a trovare la madre, e c’è un magnifico scambio iniziale, fortemente
metatestuale, in cui le due donne osservano come sembra che siano passati anni
da quando non si sono viste. Rory è ora laureata a Yale in giornalismo (ma non
ha ancora una laurea specialistica, scopriamo poi), e sta cercando di sfondare
come scrittrice. Ha pubblicato un pezzo per il New Yorker e sta cercando un ingaggio permanente in qualche rivista
di successo. Lorelai vive con Luke e continua a condurre il suo bed & breakfast,
il Dragonfly Inn. Il vero cambiamento riguarda anche fortemente nonna Emily
(Kelly Bishop): è rimasta vedova. Edward Herrmann, che interpretava nonno
Richard, è scomparso l’ultimo del’anno del 2014. Acutamente, i personaggi non
tornano per il funerale, ma come nella vita reale, già del tempo è passato da
quel momento che viene però ricordato e i cui effetti si sentono tutt’ora. La
puntata è stata dedicata all’attore scomparso e il palpabile lutto è autentico,
un po’ anche per noi spettatori. Io specificatamente poi ammetto di non aver
potuto far a meno di pensare all’improvvisa scomparsa questa scorsa estate di
David Lavery, uno dei due curatori del libro di cui sopra, a cui ero legata
d’amicizia e che pure era ormai nonno. Che non fosse qui a vedere il ritorno
delle ragazze Gilmore ha aggiunto una nota di tristezza.
Si è riso e si è pianto
molto in queste quattro stagioni (atmosferiche, non televisive), per le
bizzarre situazioni che sempre hanno caratterizzato la vita di questa
confettosa cittadina del Connecticut, e per i momenti di crisi della propria
vita e di perdita di orientamento, il senso profondo di questo revival,
ritengo. La vera sensazione però è stata quella di un grande forte abbraccio
per la gioia di aver rivisto tanti voti noti e amati, perché c’erano tutti,
assolutamente tutti, ed è stato fantastico. Ovviamente Lorelai e Rory e Luke (Scott
Patterson) e Emily; naturalmente i ragazzi ora uomini che negli anni si sono
contesi il cuore di Rory: Dean (Jared Padalecki, Supernatural), Jess (Milo Ventimiglia, This is us) e Logan (Matt Czuchry, The Good Wife), con uno studiato equilibrio nella presenza di
ciascuno, con scambi adeguati alla natura del loro rapporto - con chi finirà Rory,
ci si è sempre chiesti: il risultato finale a me soddisfa; una fugace
apparizione di Sookie (Melissa
McCarthy, un po’ in forse inizialmente, visto il successo avuto
successivamente dall’impegnatissima attrice), con magnifiche torte e
riferimenti agli esordi; ma anche Michel (Yanic Truesdale) sempre snob e
supponente; Paris (Liza Weil, How to get
away with murder) arrabbiata e dittatoriale; Kirk (Sean Gumm), con
l’ennesimo nuovo lavoro; Lane (Keiko Agenas), con la sua musica e un orecchio
per l’amica; Taylor (Michael Winters), con i suoi progetti di miglioramento
della città e le sue riunioni cittadine (e un musical!); la rigida Mrs Kim
(Emily Kuroda), e un’istantanea apparizione del mai-visto-prima Mr Kim; Doyle (Danny Strong) la cui carriera
nella finzione è quella dell’interprete nella realtà; la studiosissima April
(Vanessa Marano, Switched at Birth); Miss
Patty (Liz Torres), Jackson (Jackson Bellevile), Babette (Sally Struthers),
Christopher (David Sutcliffe), Gypsy (Rose Abdoo), Caesar (Aris Alvarado), Francie
(Emily Bergl, Men in Trees), Mitchum
(Greg Henry), il preside della Chilton (Dakin Matthews), Paul Anka il cane e
molti altri ancora. Alla fine perfino Richard. E le strade, i negozi, il
gazebo…Che tripudio. Ogni momento è stato un ricordo, un piacere, una gioia,
quasi da far mancare il fiato. Fino alla canzone finale che ci ha accompagnato
negli anni come sigla, “Where you lead” (e la cantante che la interpreta,
Louise Goffin, che fa una comparsa del ruolo della sorella del menestrello
ufficiale della città).
A questa sensazione di
sorpresa continua si sono aggiunti i numerosi cameo. Ci sono stati attori che
hanno avuto ruoli nella serie Bunhead,
sempre ideata da Amy Sherman-Palladino e con Kelly Bishop nel cast: Sutton
Foster (Younger), Julia Goldani
Telles (The Affair), Bailey De Young,
Stacey Oristano. Ci sono stati attori Parenthood,
del cui cast faceva parte Lauren Graham nel ruolo di Sarah Braverman. Ecco Mae
Whitman, che interpretava la figlia di Sarah, Jason Ritter che interpretava un
suo innamorato, Peter Krause che interpretava suo fratello ed è il suo compagno
nella vita… In qualche caso, magari
questi attori recitano solo in una scena, ma la testa dello spettatore è come
una pallina di flipper. Ci sono varie guest star (si veda qui
e qui).
Alex Kingston (ER) ha un ruolo ricorrente, Christian
Borle (Smash) partecipa al musical,
Ray Wise (Twin Peaks) è un vecchio
amico di Emily… Carolyn Hennesy,
che qui ha il piccolo ruolo di Toni, del gruppo delle Figlie della Rivoluzione Americana
a cui partecipa Emily, è un’attrice nota per il ruolo dell’avvocatessa Diane
Miller in General Hospital, Nancy
Linary, che qui interpreta Martha dello stesso gruppo, pure viene da lì e a
venire presa in considerazione per unirsi a loro è una giovane donna
interpretata da Julie Berman, la prima Lulu adulta di General Hospital. Nella serie originaria c’erano menzioni a questa
soap. Che sia quello il collegamento? In più, ora come allora i riferimenti
diretti e le citazioni alla cultura colta e pop sono costanti e sbalorditivi. Come
non elettrizzarsi a sentire il “cinque per cinque” di Buffy, citata anche in un’altra situazione (in una esilarante
battuta di Paris), o non sorridere che venga citato Narcos, che appartiene al carnet di Netflix. Intossicante. Tutto
con dialoghi recitati alla velocità delle luce, da sempre cifra stilistica
della serie.
La critica che è in me
non ha visto tutto perfetto. Si è stati narrativamente solidi e qualcosa di
nuovo si è anche detto, ma c’è stata qualche titubanza nella carburazione e c’è
stata qualche rara sbavatura. Ammetto di avere anche qualche altra perplessità.
Nondimeno, la fan che è in me è rimasta completamente e profondamente appagata.
Voglio di più, voglio nuovi episodi. La chiusura si apre a nuovi scenari. Amy
Sherman-Palladino (si veda THR,
ma attenzione che è un articolo con spoiler) non ha escluso la possibilità, ma
prima voleva vedere come sarebbero andate queste puntate. Sembra che,
genericamente parlando, siano andate molto bene. Ora lei è impegnata con un
nuovo pilot per la Amazon, The Marvelous
Mrs Maisel, e anche una buona parte del cast è impegnato in altri progetti.
Da qualche parte Scott Patterson ha ipotizzato la concreta fattibilità di un
ritorno periodico in questa stessa modalità, se non proprio la ripresa di una
serie vera e propria. Incrociamo le dita. Gilmore
Girls: A Year in the Life è stato magico.
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RispondiEliminaMi commento da sola. LOL
RispondiEliminaPenso quello che ho detto, ma allo stesso tempo condivido in pieno quanto ha scritto il Washington Post a questo link: https://www.washingtonpost.com/posteverything/wp/2016/11/29/rory-gilmore-is-a-monster/?postshare=4191480617652356&tid=ss_fb&utm_term=.af00230be7ba.
Dirò di più. Secondo me è un'evoluzione coerente con quello che era il personaggio di Rory nella serie originale.