ATTENZIONE SPOILER. È terminata su una nota positiva la terza e ultima stagione
di The Leftovers il sui senso ultimo,
attraverso Kevin (Justin Theroux) e Nora (Carrie Coon) che ora anziani si
ritrovano, è stato quello di dire che, anche se non li dimenticheremo mai,
dobbiamo avere il coraggio di lasciarci alle spalle chi è scomparso ed esserci
gli uni per gli altri nel presente, amandoci al meglio delle nostre capacità. E
in modo davvero geniale si è riusciti sia a dare una spiegazione di tutto, sia
allo stesso tempo di lasciare il sospetto che nulla sia vero. Quello che conta
è che si scelga di crederci. Questo in fondo è il senso della religione,
sembrano voler dire, non conta se sia vero o no, conta se ci si creda o no. La
disamina dello spirito religioso è in fondo una delle correnti forti sottese al
programma. E l’intera stagione è stata incentrata sulle storie – religiose o
meno che siano - che ci raccontiamo per riuscire a dare un senso alla vita.
Nora la vediamo mentre
si appresta a eseguire una procedura che la catapulterà nella stessa dimensione
dove si ritiene sia finito il 2% della popolazione a suo tempo scomparsa. Il
vano che le permetterà di trasportarsi sta per riempirsi di uno speciale liquido
che pare acqua, e all’ultimissimo istante le sentiamo gridare “s...”. E lì si
stacca la scena. Quella esse sta per “stop”? Ha deciso di rinunciare all’ultimo
momento? Quando la rivediamo anni
dopo, ormai incanutita, racconta a Kevin
di essere andata dall’altra parte, di aver trovato un mondo speculare in cui
era scomparso il 98% della popolazione. Ha visto il lutto generale. Ha
ritrovato i suoi figli e suo marito, ma non si è voluta rivelare perché si è
resa conto che ormai avevano una loro nuova vita, felice per quel che poteva
esserlo. Ha ricontattato lo scienziato responsabile della tecnologia che l’ha
portata lì per farsi rimandare indietro. È vera la sua storia o è
frutto della sua immaginazione o è comunque qualcosa che racconta anche se
stessa per sopravvivere? Kevin decide di crederle, sta a noi decidere se
vogliamo fare altrettanto.
Gli autori sono stati
autenticamente geniali proprio perché non solo sono riusciti a lasciare
nell’incertezza con un espediente sufficientemente banale in apparenza, ma
anche perché in quella stessa incertezza è trattenuto e condensato il significato
ultimo della serie tutta. “Let the Mistery be” (Lascia che il mistero sia) di
Iris DeMent dice la canzone che è stata
la sigla della seconda stagione e che viene ripresa in chiusura di una terza
che ha deciso ad ogni puntata di cambiare tema musicale. (La musica è stata sempre usata in modo
sublime, e sull’ultima puntata si legga il lunghissimo, ma appassionante articolo
di Vulture).
The Leftovers è talmente densa e concettosa, allucinatoria e perennemente ai limiti dell’onirico,
da rendere mastodontico ogni tentativo di esegesi che non sia disposto ad
accuratamente analizzare ogni puntata ed ogni passaggio. Non ha senso e ne ha
completamente. I riferimenti religiosi sono numerosi, si pensi anche solo al
diluvio universale che è stato un po’ il filo conduttore dell’ultima stagione
ambientata in Australia, alla capra
della season finale, su cui i partecipanti
ad una festa caricano delle collane che rappresentano i propri peccati, e al
fatto che iniziamo questo arco con “il libro di Kevin” e lo chiudiamo con “il
libro di Nora”. È una serie difficile, criptica, degna erede di quella
angoscia esistenziale che ha caratterizzato già Lost. E non è stata da meno nella stagione conclusiva, con puntate
indimenticabili come “Crazy Whitefella Thinking” (3.03), come “It’s a Matt,
Matt, Matt, Matt World” (si veda qui,
e su cui si potrebbe innestare tutta una riflessione su autorialità e critica) o
come l’apocalittica “The Most Powerful Man in the World (And His Identical Twin
Brother)”, risposta-prosieguo alla celebrata puntata “International Assassin”
(2.08). Il cast è superbo, anche quando è costretto ad autentici tour de force.
È un
elusivo vangelo quello che mettono in scena Damon Lindelof e Tom Perrotta.
Doloroso e poetico, che va vissuto più che analizzato. È
arte.
Nessun commento:
Posta un commento