Ho proprio trascinato a
fatica la visione di Little Voice
(Apple TV+), che mi è sembrata scritta in modo amatoriale da autori che hanno
recepito la regola di creare ostacoli alla felicità dei propri personaggi e
l’hanno applicata senza misura e senza sosta. Tutto è stato pesante, anche
spunti potenzialmente interessanti sono sembrati sprecati.
Bess King (Brittany
O’Grady) è una giovane cantautrice che aspira al successo. Per sbarcare il
lunario si barcamena fra molti lavori: barista, insegnante di musica, assistente
in una casa per anziani, dog-sitter…e ogni idea che le viene in mente la
registra su un taccuino nei momenti liberi che ha, provando poi a realizzarne
delle canzoni in una stanza di deposito che ha affittato appositamente. Il
padre Percy (Chuck Cooper) è una vecchia star della musica che è ormai mezza persa
all’alcolismo. Il fratello maggiore Louie è autistico (così come l’attore che
lo interpreta, Kevin Valdez, è pure nello spettro) ed è un grande appassionato
di musical di Broadway. Da quando la madre li ha abbandonati Bess si prende
cura di lui. La sua migliore amica e compagna di stanza è Prisha (Shalini
Bathina), una lesbica che con la gran parte delle persone nasconde il proprio
orientamento, e i cui genitori, di origina indiana, cercano di combinarle un
matrimonio con un uomo. Ad accompagnarla
alla chitarra mentre Bess canta c’è Samuel (Colton Ryan), che presto si innamora
di lei, mentre lei è più interessata ad Ethan (Sean Teale, Reign), un regista inglese che pure ha affittato un deposito accanto
al suo.
Il ritratto di una
giovane donna intenta a trovare la propria voce, e convinta che la musica,
anche quando mentiamo perfino a noi stessi, dica sempre la verità è
convincente, così come ho apprezzato che fra i parecchi personaggi neuroatipici
che ormai popolano il piccolo schermo non si sia ricaduti nello stereotipo
dell’autistico savant (si pensi a The
Good Doctor) ma si scelga qualcuno che ha notevoli problemi cognitivi. Forse
è così perché sono il terreno su cui si trovano più a loro agio due delle voci
dietro al questo progetto che ha fra i produttori esecutivi J.J. Abrams, ovvero
l’ideatrice Jesse Nelson, conosciuta per I
Am Sam, qui sia sceneggiatrice che regista di diversi degli episodi, e la
ben nota Sara Bareilles che nella season
finale (1.09) fa pure un cameo nel ruolo di se stessa. In fondo anche la
storyline secondaria dell’amica oggetto di un attacco omofobo che lo nasconde
ai genitori dicendo che si trattava di razzismo ha funzionato bene.
Lì dove lo storytelling
è stato carente è stato proprio nelle vicende della protagonista. Glissiamo sul
ritorno della madre nelle ultime due puntate della prima stagione, imbarazzanti
per quanto siano sembrate un esercizio da studente di scrittura creativa, ma
pure il potenziale triangolo amoroso con Samuel e Ethan è stato sprecato,
nonostante la buona recitazione, in particolare da parte del primo, che una
regia attenta ha saputo valorizzare. È stato goffo e realizzato
a tentoni, come se mancassero dei pezzi: per nulla convincente e tedioso anche
quello. Non che i due contendenti siano stati in qualche modo approfonditi.
Come identità erano inesistenti, più dei segnaposto che altro.
Il problema vero è che
perfino la musica, che è ciò che trascina il personaggio nella vita, il fuoco
artistico che in teoria dovrebbe animarla, è tiepido e malandato: il
personaggio ne risucchia ogni gioia. Le ballate proposte, che potremmo definire
indie pop – e nel cercar un’etichetta al genere in 1.07 c’è qualche scena
divertente – non sono di mio gusto, ma non credo sia stato quello un ostacolo
al mio apprezzamento. L’atteggiamento dei produttori che ascoltavano la sua
musica per passar oltre è stato un po’ il mio nei confronti della serie. Non
coglievano, così come proprio qui non colgo io.
Non arrivo ad essere così graffiante come Lucy Mangan su The Guardian che scrive “(a) meno che non faccia parte di una strategia aziendale segreta per penetrare nel mercato dell'antiemetica - nel qual caso, Apple, ci hai azzeccato, e prenderò immediatamente una bottiglia piena delle vostre compresse più belle e costose…", e non arrivo nemmeno a considerarlo in fondo così vomitevole, ho visto di peggio, ma è orribilmente deprimente sia nel contenuto che nella modalità in cui ci viene presentato.