mercoledì 23 novembre 2022

VAMPIRE ACADEMY: avvincente

Con una narrazione veloce e una mitologia estremamente densa e delineata, Vampire Academy (su Peacock), tratta dagli omonimi libri YA di libri di Richelle Mead (6 volumi pubblicati in Italia da Rizzoli), è una godibilissima, trascinante serie adolescenzial-vampiresca, portata sullo schermo dall’esperienza di Julie Plec (fra gli altri The Vampire Diaries, The Originals, Legacies) e Marguerite MacIntyre. È un po’ The Vampire Diaries (ovviamente, viste le autrici appena citate), ma anche Buffy, True Blood, Bridgerton, Harry Potter, the Hunger Games e perfino The Handmaid’s Tale, come sarà facile intuire già dal paragrafo successivo.  In più c’è un forte legame con alcune figure tradizionali folkloristiche di questo genere di racconti.

Siamo in un mondo in cui i vampiri vivono separati dagli esseri umani, in un regno chiamato Dominion, dove sopravvivono grazie al sangue di donatori che ne hanno in cambio effetti simil-droga. Sono i Moroi, e fra loro ci sono alcuni che sono di sangue reale, divisi in casate. I giovani entrano in società con un rituale di passaggio in cui dichiarano il proprio elemento di appartenenza: acqua, fuoco, terra o aria. Presto si scopre che non per tutti è però così: alcuni non si "specializzano" perché c'è un "quinto" elemento, lo Spirito. A difenderli e proteggerli ci sono i Dhampir (o Dhampyr, secondo uno spelling alternativo), una sorta di casta inferiore, incroci fra vampiri e umani. Le donne che non vengono addestrate come guardie del corpo sono confinate in comuni e destinate alla procreazione con i vampiri che decidono di averle come compagne di sesso. I Moroi vengono minacciati, e per quello hanno bisogno di protezione, dagli Strigoi, i cattivi della situazione, una sorta di ferali vampiri-zombie molto veloci e aggressivi. Moroi, Dhampir e Strigoi non sono invenzioni dei libri o della serie, ma sono appunto legati ad antiche leggende e mitologie dei Balcani e rumene. E questa tripartizione viene spiegata subito e ripetuta all’inizio delle nuove puntate, quindi si entra subito nel vivo.

Le due protagoniste principali della serie sono Vasilissa “Lissa” Dragomir (Daniela Nieves), una principessa moroi, e la sua guardiana ancora in formazione Rosemarie “Rose” Hathaway (Sisi Stringer), una dhampyr che frequenta la St Vladimir’s Academy, una scuola estremamente rigorosa. Le due sono come sorelle, ma si scopre in corso di via che fra loro c’è un legame molto diverso e più forte (a scanso di equivoci, non è di natura sessuale). Rose presto si innamora di Dimitri (Kieron Moore), suo superiore, anche se a lei è interessato il suo compagno di Accademia, Mason (Andrew Liner), mentre il cuore di Lissa batte per Christian (André Dae Kim), osteggiato perché i suoi genitori sono diventati strigoi. Dal momento che Lissa ha perso i genitori, suo tutore è lo zio Viktor Dashkov (J. August Richard, Angel), membro del coniglio reale e consulente della regina, malato, sposato con Robert e padre di Sonya (Jonetta Kaiser) e dell’adottata Mia (Mia McKenna-Bruce), che diversamente dal padre non sono però reali. Sonya è la ragazza di Mikhail (Max Parker), Mia è quella di Meredith (Rhian Blundell), una delle più brave studentesse dell’Accademia di St Vladimir, e compagna di corso di Rose. La regina (Pik-Sen Lim) deve annunciare chi la succederà sul trono. Victor si vede forzato ad ambire alla carica per ostacolare le ambizioni politiche di Tatiana Vogel (Anita-Joy Uwajeh), estremista che rischia di portare il regno indietro di secoli.

Con un cast multiculturale – quando mai prima si è vista una protagonista attratta da un ragazzo dai tratti orientali, tanto per dirne una? –, e un’ambientazione opulenta con scenografie che ti trasportano subito in modo convincente in una realtà alternativa, Vampire Academy tratta temi come l’amicizia, l’amore, il potere, il dovere, il lutto, i rapporti genitori-figli, le differenze sociali, i rapporti stato-chiesa, la dialettica tradizione-progresso…lo fa con dinamismo. Le redini sulla mitologia, il gergo e i rituali sociali sono da esperte e, anche se se ne sente la sovrabbondanza, non ci si sente persi, ma si riesce a seguire tutto con agio. C’è poco spazio per l’approfondimento però, lì dove si è presi dal vortice degli eventi. È un melodramma sovrannaturale che non teme di essere anche cheesy, mescolato a un pizzico di intrigo politico, recitato con sufficiente dignità, pieno di colpi di scena e coppie per cui schippare. Non sarà alta televisione, ma è facile immergervisi: avvincente.

lunedì 14 novembre 2022

DANGEROUS LIAISONS: non è Le Relazioni Pericolose, ma una origin story

“L’amore è letale, Camille. Esplora il tuo cuore, ma studia il cuore degli altri. Credimi quando ti dico che il tuo amante è il tuo futuro nemico”: dice così Genevieve de Merteuil (Lesley Manville), nobildonna della Francia pre-rivouzionaria a Camille (Alice Englert) nel pilot di Dangerous Liaisons (sull’americana Starz). Ma non è Le Relazioni Pericolose di Choderlos de Laclos questa serie in 8 puntate, e per me questa è stata la vera delusione, ma una sorta di origin story della Marchesa de Merteuil e del Visconte di Valmont, una specie di prequel, se vogliamo.

Camille è una giovane prostituta che è legata da un debito verso la responsabile del bordello per cui lavora, Madame Jericho (Clare Higgins), ma vorrebbe smettere di esserlo da momento che si è innamorata di Pascal Valmont (Nicholas Denton) un cartografo che ha perso denaro e titolo quando il padre ha lasciato tutto alla matrigna, Ondine de Valmont (Colette Dalal Tchantcho). Dice di amare Camille e di volerla sposare, ma ha donne in ogni parte di Parigi. Gli hanno scritto appassionate lettere e lui le ha conservate. Con quelle scrittegli da Genevieve de Marteuil la ricatta minacciandola di inviarle al marito se lei non gli procura un titolo nobiliare e del denaro. Contro i consigli dell’amica Victoire (Kosar Ali), cameriera del bordello, Camille accetta di sposare Pascal, salvo poi scoprire tutto questo. Si rivolge perciò alla nobildonna e in cambio delle lettere chiede di trasformarla in un’aristocratica. Lei accetta, ed è allora che le dice quello di cui sopra, suggerendole di nascondere il proprio dolore e chiudere il suo cuore all’amore e alla rovina che minaccia. Lei ha esperienza. Il marito è spesso via, ma può contare sull’amicizia del maggiordomo (Hakeem Kae-Kazim). Gabriel Carrè (Hilton Pelser), un ufficiale della morale, si è invaghito di Camille e, respinto, confessa ad un prete che il male si abbatterà su di loro.

Io ho amato il libro a cui la serie è liberamente ispirata, ho trovato eccellente anche l'omonimo film con Glenn Close e John Malkovich, così come la pellicola Valmont diretto da Forman, e pure la rivisitazione in teen drama Cruel Intentions l’avevo trovata a suo tempo gustosa, per cui la mia insoddisfazione di primo acchito è stata per qualcosa che a mio modo di vedere ha usurpato il titolo del romanzo epistolare da cui è tratta: l’ideatrice e showrunner Harriet Warner, pare si sia ispirata a una lettera in particolare contenuta nel testo. Se non mi rovinasse il ricordo dei personaggi, il cui fascino era soprattutto essere così sofisticati e smaliziati, sarei stata forse più indulgente nei confronti di un’idea che non ho trovato priva di pregi. All’esordio, dal pilot che è la sola puntata che ho visto, l’aspetto più interessante sembra l’amicizia, chiamiamola così, fra le due donne, una giovane e l’altra anziana, e un apprendistato non solo evidentemente al bel mondo, ma alla manipolazione. Un dettaglio come mostrare le cicatrici dei polsi tagliati della ragazza, che vengono coperti da dei magnifici nastri, lascia capire che quello c’è: la bellezza apparentemente frivola è una copertura per le proprie ferite.

Il romanzo è uno studio sulla seduzione e sui meccanismi del cuore umano, sui virtuosismi verbali capaci di ammaliare, ed è una graffiante meditazione sulla morale e la società dell’epoca, sul peso delle reputazioni, dell’apparenza versus la realtà. In fondo anche sull'idea di come sedurre non sia amare. E come a giocare troppo si rischi il cuore. Dal primo approccio però qui, sotto parrucche importanti e visi incipriati, abiti lussuosi e ricchezza, non c’è molta sostanza, e si è a un passo dal trash. Amore, desiderio, ambizione, rabbia, delusione, amor proprio, tradimento, vendetta sembrano in fondo di poco conto, volatili. Non capiamo davvero perché Camille e Pascal siano attratti l’uno dall’altra se non perché gli sceneggiatori hanno deciso che sia così, o perché tante donne siano rimaste sedotte da Valmont. E la lussuria, che apparentemente muove molti di loro, è ben poco lussuriosa. Sì, ci sono scene di sesso, ma completamente dimenticabili.

Gli intrighi di nobili francesi di fine ‘700 possono anche essere un godibile divertimento. Qui lo sono troppo poco, tanto che in futuro potrei ri-considerare di seguire la serie, già rinnovata per una seconda stagione, ma per ora passo. 

sabato 5 novembre 2022

BOO, BITCH: esasperata e fastidiosa

Boo, Bitch (Netflix) è una commedia soprannatural-adolescenziale insipida e dimenticabile, nonostante qualche elemento che la redime.

Erika Vu (Lana Condor) e la sua migliore amica Gia (Zoe Colletti), due ragazze dell’ultimo anno di liceo, si rammaricano di non essere popolari, ma completamente invisibili. Sono le ultime sei settimane di scuola, e decidono di non aver più niente da perdere, partecipano a una festa, ma tornando a casa mezze ubriache vengono investite. Quando si risvegliano scoprono che da sotto un alce spuntano i piedi di un cadavere che ha le scarpe di Erika. Presto perciò si rendono conto che, se è ancora visibile, deve essere diventata un fantasma. Erika si interroga su come mai sia ancora legata alla terra, e capisce che ha ancora questioni irrisolte nella vita e decide perciò di recuperare il tempo perduto, anche con l’aiuto dell’amica. Uno dei suoi desideri è conquistare Jake C (Mason Versaw), che ha da poco rotto la sua relazione a intermittenza con Riley (Aparna Brielle), che è molto ammirata socialmente e diventa presto una “frenemy” di Erika. Gia, dal canto suo, si interessa a Gavin (Tenzing Norgay Trainor), leader degli Afterlifers, un gruppo di compagni di scuola appassionati di occulto, composto anche dalla sensitiva Raven (Abigail Achiri), l'aspirante mago Brad (Reid Miller) e da Sail (Savira Windyani)

Ideata da Tim Schauer, Kuba Soltysiak, Erin Ehrlich e Lauren Iungerich, questa improbabile sit-com ha un inaspettato significativo colpo di scena in “Who Dat Bitch?” (1.06), si fonda soprattutto sull’amicizia fra le due protagoniste principali e prende in giro il linguaggio “giovane” fatto di abbreviazioni e parole troncate, volutamente così complicate che è necessaria la sovrimpressione per capire a che cosa fanno riferimento.

Ci sono troppe situazioni irrealistiche ed esasperate e tanti cliché, che rendono insulsa la visione. L’invisibilità, la sensazione che sia tutto questione di vita o di morte, i primi amori, la pressione sociale, l’amicizia e le rivalità sono tutte tematiche che potevano offrire molto se non fosse stato così cringy e ridicolo. Gli eccessi di Erika che, raggiunto lo status a cui agognava, manipola e guarda dall’alto in basso chi considera inferiore, risultano fastidiosi. Per la gran parte la serie manca di arguzia, e invece di un tagliente divertimento, si ha la sensazione di assistere a della sciocca, gratuita cattiveria. Ossessionata dal suo stato e dalla popolarità ottenuta, manda all’aria le priorità, salvo poi rendersi conto di essere diventata squallida come essere umano. E i cambiamenti improvvisi di 180°, quando alla fine si pente e si ravvede, hanno davvero poca credibilità e anche l’aspetto didascalico ne rimane schiacciato.