Ideata da Steve Levitan
(Modern Family), anche co-produttore esecutivo, Reboot (Hulu, in Italia su Disney+), cancellata dopo solo una
stagione di 8 puntate, è stata una serie
molto “meta”: si irride la pratica dell'industria televisiva di riavviare vecchi
show di successo, costruendo la propria sul reboot da parte di Hulu
della fittizia sitcom dei primi anni '80 Step
Right Up, e si coglie l’occasione, come del resto ha già fatto anche Hacks, per riflettere sulla comicità,
sul valore che ha sui suoi meccanismi su che cosa la renda immortale o al
contrario passata e ora magari offensiva e cringy.
Rachel Bloom (Crazy Ex-Girlfriend) è Hannah, una
scrittrice di sitcom con un nuovo punto di vista sulla serie che intendono
riproporre. Si vede suo malgrado costretta a lavorare con l’ideatore della
versione originaria, Gordon (Paul Reiser, Mad
About You), che altri non è, SPOILER, se non suo padre biologico: peccato
che quando era ragazzina avesse abbandonato lei e la madre per costruirsi
un’altra famiglia, quindi fra loro il rapporto non è proprio idilliaco, anche
se si vede che in fondo si vogliono bene. Non è una riunione solo per loro
però, ma per l’intero cast, ora invecchiato, che deve vedersela con questioni
irrisolte del passato e navigare la nuova cultura dei social media. Reed (Keegan-Michael
Key, Schmigadoon), laureato alla
scuola di teatro di Yale, mal sopporta che la sitcom dove interpreta il patrigno
gli abbia rovinato la carriera; ha un passato sentimentale con la collega Bree
Marie Jensen (Judy Greer, Married),
che nella fittizia serie interpreta la madre, è tornata negli USA dopo il
divorzio da un duca dei paesi nordici e prova ancora per lui più di quanto non
voglia ammettere; Clay Barber (Johnny Knoxville), che in Step Right Up è l’ex-marito, non è mai stato particolarmente
brillante, e ora è alle prese con un passato di alcolismo, abuso di droghe e
ripetuti arresti per reati minori. Zack (Calum Worthy) è l’ex bimbo ora
adolescente realmente mai cresciuto che si prende una cotta per Elaine (Krista
Marie Yu, Last Man Standing, Dr. Ken), una dirigente dello studio che
deve supervisionare tutto, ma ha ancora poca esperienza.
Anche Episodes,
per me decisamente più divertente, ci aveva portato in una writers’ room: qui
il pregio sta nel mostrare il divario generazionale e nel mostrare come la
comicità sia cambiata nel corso degli anni. Quando però cerca di convincerci che
certi stilemi umoristici sono classici perché funzionano, nel mio caso toppa.
Penso alla puntata “Growing Pains” (1.03) dove Gordon cerca di far capire ad Hannah
che inciampare e cadere è divertente. Quando alla fine accade nella diegesi,
tutti ridono, io no. A me non ha dimostrato che certe dinamiche sono
inerentemente divertenti, ma l’opposto. Già si è andati meglio nel pilot, con
una gag sui pop-corn, ma non mi hanno convinta del tutto. In ogni caso gli
scontri fra i due team di sceneggiatori su quello che è più o meno occasione di
ilarità funziona bene. Dicono di aver proprio incorporato nella storia effettive
discussioni avvenute fra gli sceneggiatori mentre si confrontavano sull’opportunità
di specifichi motteggi.
Keegan-Michael Key ha una
plasticità facciale e un tempismo che lo rende impeccabile, e la sua intesa con
Judy Greer rendeva il duo spassoso. Quello che mi ha convinto meno è Zack, troppo
macchietta, ma ha funzionato bene quando è stato l’occasione di riflettere su come,
in seguito al #MeToo, Hollywood sia cambiata in termini di atteggiamenti e
politiche in materia di molestie sessuali. Nella finzione viene adottata la
regola che stabilisce che chi lavora alla sit-com può chiedere di uscire a un
altro membro del cast o della troupe solo una volta. Se questi dice di no, e
viene ripetuto, allora è considerato una molestia sessuale. Naturalmente la vita
non è così rigida e la situazione si fa divertente quando Zack chiede a Eleine
di uscire, ma non è chiaro se lei abbia sentito o meno la domanda, e non sa
bene se chiederglielo di nuovo per paura di violare inavvertitamente la
politica sulle molestie sessuali. La questione è ulteriormente approfondita,
dagli scrupoli di lei che, nonostante sia attratta da lui, rifiuta di uscirci
perché tecnicamente è il capo di lui e teme anche di non essere poi presa sul
serio sul lavoro, e poi dalla situazione di Hannah che si prende una cotta per
la rappresentante delle risorse umane Mallory (Stephanie Allynne), ma che non è
ben sicura di quale sia l’approccio più corretto.
Reboot, che pure aveva spazio per crescere, riesce prende in giro l'industria televisiva intelligentemente, senza spirito di condanna, ma con garbo ed evidente affetto. Le recensioni favorevoli e due nomination ai Critics' Choice Awards non le hanno però evitato la cancellazione, e la possibilità di venire salvata da un altro servizio di streaming è stato considerato fallito.
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