venerdì 24 marzo 2023

REBOOT: una sit-com molto "meta"

Ideata da Steve Levitan (Modern Family), anche co-produttore esecutivo, Reboot (Hulu, in Italia su Disney+), cancellata dopo solo una stagione di 8 puntate,  è stata una serie molto “meta”: si irride la pratica dell'industria televisiva di riavviare vecchi show di successo, costruendo la propria sul reboot da parte di Hulu della fittizia sitcom dei primi anni '80 Step Right Up, e si coglie l’occasione, come del resto ha già fatto anche Hacks, per riflettere sulla comicità, sul valore che ha sui suoi meccanismi su che cosa la renda immortale o al contrario passata e ora magari offensiva e cringy.

Rachel Bloom (Crazy Ex-Girlfriend) è Hannah, una scrittrice di sitcom con un nuovo punto di vista sulla serie che intendono riproporre. Si vede suo malgrado costretta a lavorare con l’ideatore della versione originaria, Gordon (Paul Reiser, Mad About You), che altri non è, SPOILER, se non suo padre biologico: peccato che quando era ragazzina avesse abbandonato lei e la madre per costruirsi un’altra famiglia, quindi fra loro il rapporto non è proprio idilliaco, anche se si vede che in fondo si vogliono bene. Non è una riunione solo per loro però, ma per l’intero cast, ora invecchiato, che deve vedersela con questioni irrisolte del passato e navigare la nuova cultura dei social media. Reed (Keegan-Michael Key, Schmigadoon), laureato alla scuola di teatro di Yale, mal sopporta che la sitcom dove interpreta il patrigno gli abbia rovinato la carriera; ha un passato sentimentale con la collega Bree Marie Jensen (Judy Greer, Married), che nella fittizia serie interpreta la madre, è tornata negli USA dopo il divorzio da un duca dei paesi nordici e prova ancora per lui più di quanto non voglia ammettere; Clay Barber (Johnny Knoxville), che in Step Right Up è l’ex-marito, non è mai stato particolarmente brillante, e ora è alle prese con un passato di alcolismo, abuso di droghe e ripetuti arresti per reati minori. Zack (Calum Worthy) è l’ex bimbo ora adolescente realmente mai cresciuto che si prende una cotta per Elaine (Krista Marie Yu, Last Man Standing, Dr. Ken), una dirigente dello studio che deve supervisionare tutto, ma ha ancora poca esperienza.

Anche Episodes, per me decisamente più divertente, ci aveva portato in una writers’ room: qui il pregio sta nel mostrare il divario generazionale e nel mostrare come la comicità sia cambiata nel corso degli anni. Quando però cerca di convincerci che certi stilemi umoristici sono classici perché funzionano, nel mio caso toppa. Penso alla puntata “Growing Pains” (1.03) dove Gordon cerca di far capire ad Hannah che inciampare e cadere è divertente. Quando alla fine accade nella diegesi, tutti ridono, io no. A me non ha dimostrato che certe dinamiche sono inerentemente divertenti, ma l’opposto. Già si è andati meglio nel pilot, con una gag sui pop-corn, ma non mi hanno convinta del tutto. In ogni caso gli scontri fra i due team di sceneggiatori su quello che è più o meno occasione di ilarità funziona bene. Dicono di aver proprio incorporato nella storia effettive discussioni avvenute fra gli sceneggiatori mentre si confrontavano sull’opportunità di specifichi motteggi.

Keegan-Michael Key ha una plasticità facciale e un tempismo che lo rende impeccabile, e la sua intesa con Judy Greer rendeva il duo spassoso. Quello che mi ha convinto meno è Zack, troppo macchietta, ma ha funzionato bene quando è stato l’occasione di riflettere su come, in seguito al #MeToo, Hollywood sia cambiata in termini di atteggiamenti e politiche in materia di molestie sessuali. Nella finzione viene adottata la regola che stabilisce che chi lavora alla sit-com può chiedere di uscire a un altro membro del cast o della troupe solo una volta. Se questi dice di no, e viene ripetuto, allora è considerato una molestia sessuale. Naturalmente la vita non è così rigida e la situazione si fa divertente quando Zack chiede a Eleine di uscire, ma non è chiaro se lei abbia sentito o meno la domanda, e non sa bene se chiederglielo di nuovo per paura di violare inavvertitamente la politica sulle molestie sessuali. La questione è ulteriormente approfondita, dagli scrupoli di lei che, nonostante sia attratta da lui, rifiuta di uscirci perché tecnicamente è il capo di lui e teme anche di non essere poi presa sul serio sul lavoro, e poi dalla situazione di Hannah che si prende una cotta per la rappresentante delle risorse umane Mallory (Stephanie Allynne), ma che non è ben sicura di quale sia l’approccio più corretto.

Reboot, che pure aveva spazio per crescere, riesce prende in giro l'industria televisiva intelligentemente, senza spirito di condanna, ma con garbo ed evidente affetto. Le recensioni favorevoli e due nomination ai Critics' Choice Awards non le hanno però evitato la cancellazione, e la possibilità di venire salvata da un altro servizio di streaming è stato considerato fallito. 

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