Siamo nella Marsiglia del
1940 occupata dai nazisti, dopo la caduta di Parigi, nella miniserie di Netflix
Transatlantic, ideata da Anna Winger
(Unorthodox)
e Daniel Hendler sulla base del romanzo The
Flight Portfolio (2019) di Julie Orringer e di fatti realmente accaduti. Si
tratta di una coproduzione internazionale e multilingue (inglese, francese,
tedesco…).
Il giornalista Varian Fry (realmente
esistito, e interpretato da Cory Michael Smith; Gotham) e l’ereditiera Mary
Jayne Gold (realmente esistita, a cui dà il volto Gillian Jacobs, Community), due americani che si trovano
in Europa in quella buia epoca, operano
per l’Emergency Rescue Committee (il Comitato di Soccorso d'Emergenza) con
l’obiettivo di far fuggire e mettere al sicuro quante più persone possibile
prese di mira dal governo nazista (nella realtà ne riuscirono a salvare circa
2000), in particolare intellettuali come Hannah Arendt, Walter Benjamin, Marc
Chagall e sua moglie, Marcel Duchamp, Max Ernst, Peggy Guggenheim, Walter
Mehring, Victor Serge... Cercano di procurare visti, organizzare viaggi in
nave, far arrivare i rifugiati in Spagna attraverso le montagne dei Pirenei,
far uscire dal carcere prigionieri politici. Ad aiutarli ci sono in particolare
Albert Hirschman (pure realmente esistito, e qui interpretato da Lucas
Englander), un rifugiato ebreo tedesco in fuga dalle persecuzioni naziste dal
1933, di cui Mary Jayne si innamora, e Lisa Fittko (pure lei esistita, qui con
il volto di Deleila Piasko), una ribelle antifascista, e dopo che la base delle
loro operazioni, l'Hotel Splendide, viene saccheggiato dalla polizia, anche Thomas
Lovegrove (un personaggio inventato, Amit Rahav) vecchio amore di Varian (sulla base di
effettiva documentazione che Fry aveva avuto numerosi amanti uomini), che offre
la sua casa di campagna, Villa Air-Bel. Insieme a loro anche alcuni africani,
come Paul Kandjo (Ralph Amoussou). Il
console americano Graham Patterson (Corey Stoll, House of Cards) si trova in una situazione ambigua, vista la
neutralità degli Stati Uniti, che a questo punto ancora dovevano entrare in
guerra.
Sembra un’elettrizzante
avventura quella che i protagonisti qui ritratti si trovano a vivere: questa è
stata la sensazione di fondo che ho percepito e che mi è parsa completamente
inappropriata. Si sente molto poco il senso del pericolo e il senso politico e valoriale
delle forze in campo. So di non essere stata l’unica a notarlo, anche se non
arrivo a considerarlo l’insulto alla memoria di chi ha vissuto quegli eventi
perché, anche grazie allo speciale dietro le quinte che accompagna la
produzione, mi sono resa conto che è stato programmatico. L’obiettivo della
produzione era quello di creare uno “screwball melodrama”, quindi un melodramma
con una certa leggerezza e qualche momento tinto di umorismo, facendo
riferimento anche alle opere cinematografiche dell’epoca. Si nota molto poco,
in realtà, e non si viene mai stupiti dalla eleganza o dall’originalità della cinematografia,
che invece di puntare a qualcosa di raffinato come fa la meritevole sigla di
chiusura di ogni puntata, ci propone quasi un’estetica da soap opera europea.
Anche le ambientazioni naturalistiche, stupende, in contrasto con gli orrori di
cui sono teatro, non riescono mai a diventare personaggio, ad imporsi in
dicotomia.
“Le persone pensano di non
poter far nulla per cui non fanno nulla”, si fa dire a Mary Jayne ad un certo
punto. Se è vero che riescono a mostrare che essere eroi non significa essere
invulnerabili figure esemplari ma persone reali con difetti e problematiche che
cercano di fare del proprio meglio e incappano in errori anche gravi, non si dà
un senso etico ed intellettuale di maggior spessore che facilmente si sarebbe
potuto avere dalla presenza di nomi così altisonanti. Già non è così moralmente
scontato che vada bene battersi per salvare un pittore più di quanto non lo sia
per salvare un padre di famiglia, cosa a cui c’è solo un fugare accenno, ma non
sarebbe stato molto più efficace capire in che cosa credevano alcuni di questi pensatori
che la Gestapo aveva nella propria lista nera? Sappiamo di Hannah Arendt, ad
esempio, quello che sapevamo prima di aver visto la serie. Non ci si poteva
sforzare di far capire perché ha avuto valore per l’umanità attivarsi a favore
di questi specifici ebrei invece di altri, qual è stato il loro contributo? Tanto
più nella prospettiva che dicono di abbracciare, ovvero quella di vedere il
passato come metafora della contemporaneità. Apprezzabile, se non altro, che si
sia visto che fra i perseguitati dai nazisti c’erano anche gli omosessuali,
quando normalmente si riduce troppo facilmente tutto solo all’ebraicità.
Si tratta perciò di 7 puntate che scorrono con piacevolezza, ma che deludono e si lasciano sfuggire troppe occasioni per un impatto empaticamente, eticamente, esteticamente e culturalmente più incisivo.
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