The Diplomat viene salutata da più parti come The West Wing dei giorni nostri,
un’affermazione esagerata, perché non ci sono grandi idealismi o retorica qui,
né altrettanta pregnanza rispetto all’attualità; allo stesso tempo sembra qualcosa
di più del paragone proposto da Daniel Fienberg di The Hollywood Reporter che lo considera alla stregua di un
cheeseburger gourmet (qui).
L’accostamento alla più famosa creazione di Aaron Sorkin non è infatti un’osservazione
del tutto fuori luogo, e non solo per la occasionale presenza qui del classico walk-and-talk reso lì popolare, o di una
trama orizzontale che potrebbe ben essere una puntata della seminale serie
della NBC dilatata per una stagione. Non sorprende scoprire che ad ideare questo
thriller politico sia stata Debora
Cahn, che in quella serie ha lavorato dalla quarta alla settima stagione, così
come in Homeland,
Grey’s Anatomy e Fosse/Vernon. E a ben guardare c’è
un po’ del DNA di tutte queste nella nuova produzione di Netflix, con una prima
stagione di 8 puntate già rinnovata per una seconda, dopo un esplosivo colpo di scena nella season finale: si mettono sotto i
riflettori i temi della diplomazia mondiale e matrimoniale, ed è avvincente,
avventurosa, attuale, brillante, dinamica e divertente, in un cocktail che
riesce ad essere leggero e arguto. Con un cast da fare invidia.
Kate Wyler, interpretata
da una Keri Russell la cui parte in The
Americans l’ha preparata ampiamente per questa parte, è la nuova ambasciatrice
degli Stati Uniti nel Regno Unito. In realtà lei non è troppo contenta della
carica, vorrebbe un ruolo più operativo e meno cerimoniale, per cui si sente
più adatta, ma la stanno grooming, se
mi si consente la dicitura inglese, la stanno preparando per diventare
vice-presidente di William Rayburn (Michael McKean), degli USA, ruolo che pure
non vorrebbe. Si aspettava di cominciare una missione a Kabul, e rimpiange di
essere costretta a rinunciarvi, tanto più dopo molto lavoro preparatorio. Accetta
sotto l’ingombrante spinta di un marito da cui vorrebbe separarsi, pure lui ex
ambasciatore con cui ha un rapporto professionale buono ma complicato, Hal, un
Rufus Sewell che abbiamo visto già in ruoli “politici” sia in Victoria che in The Man in the High Castle. Lui, esperto
di politica estera con molti contatti e grande capacità di tenere discorsi, deve imparare a fare da spalla e a
giocare solo il ruolo di consorte.
Kate viene subito affidata
al suo dipendente Stuart Hayford (Ato Essandoh), vice capo missione
dell'ambasciata statunitense a Londra, che la introduce nel nuovo ambiente, e a
Eidra Park (Ali Ahn), capo di una
divisione della CIA. Si vede subito costretta a disinnescare una crisi
internazionale molto delicata. Una portaerei britannica è stata appena
attaccata nel Golfo Persico, uccidendo 41 marinai e si sospetta dell’Iran. Il
primo ministro britannico Nicol Trowbridge (un sempre magnifico Rory Kinnear, Penny Dreadful) vuole mostrare il pugno
di ferro, ma Kate, sapendo che l’Iran non è stato, cerca la complicità di
Austin Dennison (David Gyasi), Ministro degli Esteri del Regno Unito, per fa sì
che i toni si smorzino e Kate convince il Segretario di Stato americano Miguel
Ganon (Miguel Sandoval) a non rilasciare immediatamente dichiarazioni. Presto
emerge chi è il vero responsabile, o così pare. Fra colpi di scena (potenziali
rapimenti e avvelenamenti, possibili depistaggi e altro ancora), alleanze strategiche,
rapporti di intelligence e riunioni politico-diplomatiche, Kate deve trovare
anche il tempo, e soprattutto lo spirito, per posare per una rivista di moda o
partecipare a un ricevimento, tutto in nome del lavoro.
Se escludo l’infantile
riluttanza di Kate per abiti eleganti e situazioni sociali che una nella sua
posizione dovrebbe capire che sono significative per il suo lavoro — la considero la trita scappatoia per rendere
una donna seria e tosta (come se così fosse) —, ho trovato spassoso
questo drama che, sullo sfondo di vicende
genuinamente complesse, con evidenti echi alla situazione presente (Russia e Ucraina
sono sulle labbra dei personaggi più di una volta, tanto per fare un esempio) e di delicati equilibri relazionali, riesce a imbastire un gustoso
intrattenimento, con humor, senso dell’avventura e la consapevolezza che il palcoscenico
mondiale che si calca è più complesso di quanto le news possano lasciar
trasparire. Forse è un’occasione sprecata nel senso che ha effettivamente poco
a che fare con la diplomazia vera e propria, e in questo senso il titolo è
magari fuorviante, ma non è una serie che intende cambiare il mondo o farci
grandi discorsi parenetici. Non è cronaca vera e naturalmente si prende
parecchie licenze poetiche, ma è anche accurata (e per saperne di più in
proposito si legga questo articolo
de Il Post). È poi notevole come i due
interpreti di Kate e Hal abbiano creato un’intesa istantanea fra loro come è
difficile trovarne, fatta di ambizioni, di reciproche negoziazioni, e di
genuino apprezzamento e sentimento l’uno per l’altra, e anche fra la protagonista
e Dennison c’è ampio spazio di manovra per una storia romantica.
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