venerdì 14 ottobre 2011

HOMELAND: la paura del terrorismo, il sospetto


 
Uno dei migliori appuntamenti della stagione – su Metacritic ha ricevuto un punteggio di 91 -  è sicuramente quello del nuovo telefilm dedicato al tema del terrorismo, Homeland (sull’americana Showtime dallo scorso 2 ottobre), un incrocio, come sensibilità, fra 24 e Rubicon, ma che evita gli eccessi da supereroi del primo e la esasperante immobilità del secondo. Sviluppato per la televisione americana da Alex Gansa e Howard Gordon (24) sulla base di una serie israeliana chiamata Hatufim e conosciuta anche come Prisoners of War (ovvero Prigionieri di Guerra, noti anche come POW), ideata da Gideon Raff, ha il pilot scritto dai tre ed è facilmente riassumibile con la tagline del poster del programma: “La nazione vede un eroe. Lei vede una minaccia”.   
Un marine disperso in azione, il sergente Nicholas Brody (Damian Lewis, Life) viene ritrovato dopo otto anni dalla sua cattura in Iraq e torna negli Stati Uniti come un eroe. Una analista della CIA però, Carrie Mathison (Claire Danes, al suo primo ruolo televisivo dopo quello che l’ha ressa famosa, nell’inedito da noi My So-Called Life), alcuni mesi prima ha ricevuto una soffiata in Iraq che le diceva che un militare americano in realtà era un terrorista convertito, e lei è convinta che quel terrorista sia il sergente Brody e vuole dimostrare la sua connessione con il leader di Al Qaeda, Abu Nazir. Nonostante qualche titubanza da parte dei suoi superiori, fra cui il suo mentore Saul Berenson (Mandy Patinkin, Chicago Hope, Criminal Minds), Carrie decide perciò di investigare e sorvegliarlo, mentre l’ex POW cerca di riprendere la sua vita con la moglie Jessica (Morena Baccarin, V) e i figli. 
Se la risposta telefilmica a ridosso degli eventi dell’11 settembre è stata Jack Bauer (24), viscerale e machista, a dieci anni di distanza, la reazione alla pressione di una minaccia alla propria sicurezza è Carrie Mathison, è psicologica, consapevole degli errori del passato, tinta di ansia e di sospetto, e nell’altra parte della medaglia è Nicholas Brody, il corpo e lo spirito segnati dalle torture di anni, dalla paura e dalla fatica. L’immagine della nazione non è quella del  terrore dello shock, è quella della forza logorante del terrore prolungato, vissuto e atteso.
Homeland, grazie anche ad una recitazione di prim’ordine da parte di tutti i coinvolti, riesce a intrigare e a tenere in sospeso. Vediamo l’urgenza di una donna che, sul fronte personale deve combattere i suoi demoni (le è stato diagnosticato un disordine bipolare e prende pastiglie di clozapina) – sineddoche dello stato della società –, e sul fronte professionale non può permettersi di lasciarsi sfuggire indizi che vogliono dire la differenza fra la vita e la morte, ma non deve permettere alla paranoia di avere il sopravvento. Vediamo la quieta distruzione di un uomo che, da un punto di vista personale deve imparare la vita da capo, mostrando le cicatrici nascoste (emblematiche a questo proposito le scene d’amore con la moglie nel pilot, o il suo rincantucciarsi in un angolo in 1.02), e da un punto di vista pubblico deve mascherare la propria fragilità e far fronte al sospetto.
Questo è il grande tema del programma, mi pare, all’esordio, quello del sospetto. Noi non sappiamo se Carrie abbia ragione o meno. Non sappiamo se Nicholas è il grande eroe che tutti vedono o no. Sappiamo che mente. E questo è l’elemento che ci instaura il dubbio e ci mette sullo stesso piano di Carrie. Non sappiamo la verità: dubbio, sospetto.  Efficace, anche, narrativamente e per regia, il modo in cui è costruita la sua scoperta di Allah come, quasi letteralmente, il momento in cui Brody “ha visto la luce” (1.02).
Alex Gansa, su Entertainment Weekly (#1171/1172; Sept. 9/16, 2011, p.21) ha dichiarato che quando hanno sviluppato la serie sono partiti da un quesito centrale: gli americani devono ancora temere oggi le stesse cose che temevano nei momenti subito successivi all’11 settembre? E che da lì sono nati altri quesiti: che cosa significa essere un patriota? In che modo l’America rende onore ai veterani? È giusto rinunciare ai propri diritti costituzionali in cambio delle sicurezza? Perché siamo andati in guerra e perché stiamo ancora combattendo? Numerose attualissime tematiche si intrecciano, e alcune di queste risuonano anche nella realtà italiana (le intercettazioni e il rapporto escort-politica, ad esempio).
Quello che è certo è che Homeland si prospetta una grande serie, avvincente da un punto di vista superficiale di affabulazione e suspense, e occasione di riflessione a un livello più profondo sulle paure, reali e no, fondate e no, della vita contemporanea e su come le affrontiamo.           

3 commenti:

  1. una delle mie nuove serie preferite, che ricorda infatti molto una delle mie passate serie preferite, 24.
    interessante il paragone che fai tra le due, in effetti adesso forse non c'è più bisogno di un jack bauer, ma di una carrie mathison. di cui spero vengo ampliato nei prossimi episodi il lato "pazzesco" :)

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  2. Non l'ho ancora guardata ma ispira, anche se parla di terrorismo quindi magari annoia, boh dopo provo a guardarlo.

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  3. @Marco. Credo di non essere stata la sola a fare questo paragone. Magari mi sbaglio, ma non escludo che lo abbiano fatto gli autori stessi.

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