“Avevo trascorso l’intera
estate ad ascoltare la storia di Toby, vedendola solo attraverso i suoi occhi.
Avevo dimenticato una verità essenziale del giornalismo, cioè che dovresti
sempre domandarti, quando ascolti la versione delle cose di qualcuno, cosa l’altra
persona nella storia, quella che non era lì, direbbe se lo fosse. Avevo
dimenticato quella lezione, che avevo imparato da ogni storia che ho mai
scritto. Era che non ci sono veri cattivi nella vita, non veramente. Non ci
sono nemmeno veri eroi. Ognuno è grande e ognuno è terribile e ognuno ha dei
difetti, e non ci sono eccezioni a questo.” (1.07) Queste è un po’ l’ethos di Fleishman is in trouble - Fleishman a pezzi (di FX e Hulu, su Disney+ in Italia), per
bocca di Libby (Lizzy Caplan, Masters of
Sex), migliore amica del protagonista e narratrice in voice-over nella
serie. Tratta dall’omonimo romanzo di Taffy Brodesser-Akner, qui showrunner al
suo esordio, la serie, quasi in chiusura nella spettacolosa puntata del
sottofinale, chiosa così il ribaltamento di prospettiva della narrazione a cui
abbiamo assistito, che ha rivelato come centrale una tematica diversa da quella
che sembrava in corso di via.
POSSIBILI SPOILER A SEGUIRE.
Toby Fleishman (Jesse Eisenberg, The
Social Network) è un medico epatologo che ha da poco divorziato dalla
moglie Rachel (Claire Danes, Homeland),
una agente teatrale molto affermata, ambiziosa e di successo, dopo 15 anni di
matrimonio. Deve re-imparare a vivere senza di lei. Il suo mondo è capovolto -
letteralmente (la regia offre occasionalmente inquadrature capovolte). Hanno
avuto due figli insieme, Hannah (Meara Mahoney Gross) e Solly (Maxim Swinton), di 11 e 9 anni.
Un giorno, apparentemente di punto in bianco, Rachel svanisce nel nulla e Toby
si trova a trascurare il lavoro per gestire da solo i due figli ancora piccoli.
Si confida con i migliori amici di sempre, Libby e Seth (Adam Brody, the OC).
Attraverso la prospettiva di lui si esplorano molte tematiche: il matrimonio e
il divorzio e la difficoltà di trovare nuove persone con cui uscire, il lutto
della perdita di una relazione, l’educazione dei figli, il privilegio, la
disparità economica e la distribuzione della ricchezza, l’importanza o meno del
successo economico e dell’appagamento professionale, il potere di non avere
obbligazioni, la forza dei legami, le differenze fra la mezza età e la gioventù
(ci si sposa troppo presto? Si cambia?), la solitudine (avere molto amore e non
sapere dove metterlo - 1.05), l’importanza di ascoltare, il senso della
possibilità e il senso vita…temi affrontati in modo profondo e leggero insieme,
anche in modo frammentario un po’ come accade nella realtà dove le questioni si
intrecciano e ritornano. Libby, una giornalista che ha lasciato la carriera per
fare la mamma a tempo pieno, pure si sente persa anche se il suo matrimonio
con Adam (Josh Radnor, How I met your
mother) non è proprio in crisi, insoddisfatta, incerta di che cosa fare nella
vita, con l’opprimente sensazione che le opzioni a sua disposizione siano
drasticamente diminuite a seguito delle scelte che ha fatto, senza che se ne
rendesse conto.
In un momento molto meta, che commenta libro e serie e anche anticipa quella
che poi sarà a quel punto l’attesa conclusione, si osserva che parla “di tutto”:
“riguarda la vita e il matrimonio e i soldi e l’insoddisfazione e l’amicizia di
una vita e come tutte queste cose si fondono nella mezza età, rendendoti
infelice” (1.08): “Come si può essere così disperatamente infelici quando si è
così sostanzialmente felici?” (1.08) quando apparentemente si ha ciò che è
necessario e ciò che si è voluto? La crisi di mezza età colpisce tutti loro
amici, e naturalmente ha un valore metaforico la visita di Toby insieme ai
figli al museo di storia naturale di New York, dove è affascinato, attratto e
respinto, da una “esibizione” di Vantablack, il materiale più scuso mai
realizzato dall’uomo. Tutto il cast, di attori sia eccellenti che benvoluti,
brilla.
Il colpo di scena che cambia la prospettiva, prima di tornare sul binario
iniziale, è una storia di depressione post-partum e anche violenza ostetrica. Nella
puntata “Me-Time” (1.07) spicca il tour de force di Claire Danes, in particolare in un
momento in cui piange durante una sessione con un gruppo di supporto e ancor di
più in seguito in una citatissima scena in cui si lancia in un potente feroce
grido catartico in cui si coagulano tutte le emozioni di una vita segnata
dall’abbandono e votata al superlavoro come mezzo di compensazione. Memorabile.
La serie è concepita come autoconclusiva e me ne dispiace, anche in
considerazione del fatto che l’autrice, nel corso delle tavole rotonde di The
Hollywood Reporter di quest’anno, ha dichiarato che lei sarebbe disponibile ad
andare avanti indefinitamente. Vorrei una seconda stagione che non ci sarà; in
ogni caso sono già grata di questa che considero fra le migliori visioni
dell’anno.
NB: Ho seguito la serie in originale e le traduzioni sono mie. La versione italiana ufficiale potrebbe essere diversa.
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