giovedì 17 agosto 2023

FLEISHMAN IS IN TROUBLE: una miniserie su...tutto

“Avevo trascorso l’intera estate ad ascoltare la storia di Toby, vedendola solo attraverso i suoi occhi. Avevo dimenticato una verità essenziale del giornalismo, cioè che dovresti sempre domandarti, quando ascolti la versione delle cose di qualcuno, cosa l’altra persona nella storia, quella che non era lì, direbbe se lo fosse. Avevo dimenticato quella lezione, che avevo imparato da ogni storia che ho mai scritto. Era che non ci sono veri cattivi nella vita, non veramente. Non ci sono nemmeno veri eroi. Ognuno è grande e ognuno è terribile e ognuno ha dei difetti, e non ci sono eccezioni a questo.” (1.07) Queste è un po’ l’ethos di Fleishman is in trouble - Fleishman a pezzi (di FX e Hulu, su Disney+ in Italia), per bocca di Libby (Lizzy Caplan, Masters of Sex), migliore amica del protagonista e narratrice in voice-over nella serie. Tratta dall’omonimo romanzo di Taffy Brodesser-Akner, qui showrunner al suo esordio, la serie, quasi in chiusura nella spettacolosa puntata del sottofinale, chiosa così il ribaltamento di prospettiva della narrazione a cui abbiamo assistito, che ha rivelato come centrale una tematica diversa da quella che sembrava in corso di via.

POSSIBILI SPOILER A SEGUIRE.
Toby Fleishman (Jesse Eisenberg, The Social Network) è un medico epatologo che ha da poco divorziato dalla moglie Rachel (Claire Danes, Homeland), una agente teatrale molto affermata, ambiziosa e di successo, dopo 15 anni di matrimonio. Deve re-imparare a vivere senza di lei. Il suo mondo è capovolto - letteralmente (la regia offre occasionalmente inquadrature capovolte). Hanno avuto due figli insieme, Hannah (Meara Mahoney Gross) e Solly (Maxim Swinton), di 11 e 9 anni. Un giorno, apparentemente di punto in bianco, Rachel svanisce nel nulla e Toby si trova a trascurare il lavoro per gestire da solo i due figli ancora piccoli. Si confida con i migliori amici di sempre, Libby e Seth (Adam Brody, the OC).

Attraverso la prospettiva di lui si esplorano molte tematiche: il matrimonio e il divorzio e la difficoltà di trovare nuove persone con cui uscire, il lutto della perdita di una relazione, l’educazione dei figli, il privilegio, la disparità economica e la distribuzione della ricchezza, l’importanza o meno del successo economico e dell’appagamento professionale, il potere di non avere obbligazioni, la forza dei legami, le differenze fra la mezza età e la gioventù (ci si sposa troppo presto? Si cambia?), la solitudine (avere molto amore e non sapere dove metterlo - 1.05), l’importanza di ascoltare, il senso della possibilità e il senso vita…temi affrontati in modo profondo e leggero insieme, anche in modo frammentario un po’ come accade nella realtà dove le questioni si intrecciano e ritornano. Libby, una giornalista che ha lasciato la carriera per fare la mamma a tempo pieno, pure si sente persa anche se il suo matrimonio con Adam (Josh Radnor, How I met your mother) non è proprio in crisi, insoddisfatta, incerta di che cosa fare nella vita, con l’opprimente sensazione che le opzioni a sua disposizione siano drasticamente diminuite a seguito delle scelte che ha fatto, senza che se ne rendesse conto.

In un momento molto meta, che commenta libro e serie e anche anticipa quella che poi sarà a quel punto l’attesa conclusione, si osserva che parla “di tutto”: “riguarda la vita e il matrimonio e i soldi e l’insoddisfazione e l’amicizia di una vita e come tutte queste cose si fondono nella mezza età, rendendoti infelice” (1.08): “Come si può essere così disperatamente infelici quando si è così sostanzialmente felici?” (1.08) quando apparentemente si ha ciò che è necessario e ciò che si è voluto? La crisi di mezza età colpisce tutti loro amici, e naturalmente ha un valore metaforico la visita di Toby insieme ai figli al museo di storia naturale di New York, dove è affascinato, attratto e respinto, da una “esibizione” di Vantablack, il materiale più scuso mai realizzato dall’uomo. Tutto il cast, di attori sia eccellenti che benvoluti, brilla.

Il colpo di scena che cambia la prospettiva, prima di tornare sul binario iniziale, è una storia di depressione post-partum e anche violenza ostetrica. Nella puntata “Me-Time” (1.07) spicca il tour de force di Claire Danes, in particolare in un momento in cui piange durante una sessione con un gruppo di supporto e ancor di più in seguito in una citatissima scena in cui si lancia in un potente feroce grido catartico in cui si coagulano tutte le emozioni di una vita segnata dall’abbandono e votata al superlavoro come mezzo di compensazione. Memorabile.

La serie è concepita come autoconclusiva e me ne dispiace, anche in considerazione del fatto che l’autrice, nel corso delle tavole rotonde di The Hollywood Reporter di quest’anno, ha dichiarato che lei sarebbe disponibile ad andare avanti indefinitamente. Vorrei una seconda stagione che non ci sarà; in ogni caso sono già grata di questa che considero fra le migliori visioni dell’anno.

NB: Ho seguito la serie in originale e le traduzioni sono mie. La versione italiana ufficiale potrebbe essere diversa.

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