Star Trek: Strage New Worlds (Paramount+) ha confezionato una seconda
stagione decisamente appagante, confermando di essere fedele allo spirito
dell’originale, sia perché ne incarna bene i valori, sia perché lo storytelling
è elastico a sufficienza da permette allo spettatore di immaginarsi come un
potenziale personaggio altro all’interno della diegesi, una forza essenziale
per il coinvolgimento in questo genere di programmi con puntate per la gran
parte autoconclusive.
L’esordio non mi ha
convinto come avrei sperato e temevo il cosiddetto sophomore slump che per fortuna non si è verificato nonostante una
partenza al di sotto delle aspettative. Spock (Ethan Peck) che vuole “rubare”
l’Enterprise e impedire ai Klingon di trovare un’occasione per riaprire la
guerra (“Il Circolo Spezzato”, 2.01) mi è parsa un po’ debole. “Ad Astra per
Aspera” (2.02) si è concentrata sul processo alla prima ufficiale Una
Chin-Riley (Rebecca Romijn) accusata di aver mentito per entrare nella flotta
stellare non rivelando di aver subito una modifica genetica, in quanto
Illyriana, pratica proibita. Nonostante gli importanti temi trattati - le
persecuzioni politiche e biologiche, le leggi razziali nei confronti dei
potenziati da parte della federazione, la legge non solo come specchio della
società ma come ideale, la bellezza della diversità - non mi ha convinto
appieno e trovo che sia stata un’occasione sprecata non usare Sam Kirk (Dan
Jeannotte), che come xeno-antropologo
sarebbe stato adeguato a dare una prospettiva potente, invece al di là del
titolo professionale sembra che non sappiano ancora bene come usarlo. Leggendo
poi le vicende come metafora dell’esperienza trans (per cui non ci si deve
sforzare molto), The Orville è
riuscita a costruire in proposito degli episodi ben più efficaci e memorabili.
Per chi si è lagnato che fosse una puntata troppo “woke”, beh, signori miei, Star Trek è sempre stato woke ante litteram, e fiero di esserlo,
e se non si capisce questo non si capisce questo franchise.
Si è poi preso quota,
dimostrando anche una profonda conoscenza del canone e rispettandolo. Penso in
particolare a Spock, che in occasione del suo fidanzamento con T’Pring (Gia
Sandhu) in “Sciarada” (2.05) rivede la madre Amanda (Mia Kirshner) ma non in
padre con cui non era all’epoca effettivamente in buoni rapporti, e durante la
stagione allaccia una relazione più che puramente amicale con l’infermiera
Christine Chapel (Jess Bush) che nell’originale dimostra un interesse verso di
lui. Si riesce insomma a creare delle backstory per i personaggi - lo stesso vale
per Uhura (Celia Rose Gooding) in “Lost in Translation” (2.06) - rimanendo
fedeli a quello che sarà, e costruendo molto di più sul lato umano. Spock poi
nello specifico è usato come comic relief
con risultati eccellenti. L’idea di renderlo temporaneamente umano è stata
esilarante.
Ugualmente umoristica è
stata la puntata cross-over con Star
Trek: Lower Decks con l’improbabile, ma riuscitissima “Tutti Onorati
Scienziati - Those Old Scientists” (2.07, e notare che le iniziali della
puntata sono TOS, ovvero l’acronimo della serie originale - tanto di cappello
ai traduttori italiani che sono riusciti a conservare le iniziali con un titolo
perfetto). La USS Cerritos arriva su un pianeta dove si trova un portale.
Boimler (Jack Quaid), uno dei guardiamarina mandati in esplorazione, viene
catapultato attraverso di esso nel passato. Scopre che non mentiva la collega
Tendi, un’ororiana, quando diceva che era una sua antenata ad aver scoperto
quel portale, e veniamo a sapere come sono andati i fatti. L’episodio, visto
il cross-over con una serie a cartone animato, ha sezioni disegnate - e pure la
sigla viene disegnata, come poi in modo diverso cambierà anche nella puntata
musical che avrà la parte musicale cantata a cappella (2.09): che leccornia
visiva nel primo caso, uditiva nel secondo. La gioia della visione viene
soprattutto dall’atteggiamento da fanboy di Boimler, che è super elettrizzato a
conoscere i suoi miti, un po’ avatar per una volta in carne e ossa di tutti noi
fan della serie storica. Noi stessi in fondo, con questo prequel stiamo facendo
un viaggio temporale nel passato e vediamo i nostri beniamini prima che fossero
ciò che sono poi diventati: geniale.
Si fa un trattamento
umoristico a uno dei temi forti della stagione, quello dei viaggi temporali,
esplorato invece in modo ben più serio e doloroso con “Domani e Domani e
Domani” (2.03) in cui La’an incontra un alternativo James T. Kirk e se ne
innamora. Sono completamente convinta dall’approccio di Paul Wesley al capitano
per ora ancora tenente, e stanno usando il personaggio in modo occasionale ma
ricorrente in modo efficace. Ammetto di essermi attivamente commossa al primo
incontro fra Kirk e Spock (2.06), e nel vedere loro due con Uhura ad un tavolo
insieme da giovani. Ugualmente sono molto ben impressionata dall’introduzione
di Montgomery Scott, “Scotty” (Martin Quinn), nella season finale (2.10), un
po’ come avevano fatto con Kirk nella stagione precedente: approvo il casting e
come è stato scritto il personaggio. Nonostante un’attrice che ha vinto Oscar
ed Emmy, non mi ha invece convinta Pelia (Carol Kane) la nuova ingegnere capo,
una lanthanitiana, nonostante il suo personaggio sulla carta mi piaccia. È
proprio l’attrice che mi ha infastidita. La brillante Ortegas (Melissa Navia)
è, fra i personaggi principali, quella che per ora ha ricevuto meno attenzioni,
ma avrà tempo di rifarsi.
C’è stato parecchio
umorismo in tutta la stagione, ma non sono mancati momenti oscuri, anche
umanamente, in fondo anche la previamente citata “Ad astra per aspera”, ma
soprattutto con le esperienze di guerra di M’Benga (Babs Olusanmokun) e Chapel
sul pianeta J’gal, in occasione della visita a bordo l'ambasciatore Dak'Rah
(Robert Wisdom) ex generale klingon, autore di gravi atrocità, in “Sotto la
cappa della guerra” (2.08), e nella conclusiva “Egemonia” (2.10) ambientata in
una colonia del pianeta Parnassus Beta, attaccata dai gorn, i mostruosi esseri
che vedono gli umani solo come prede di cui nutrirsi (non sarebbe male un
ulteriore sviluppo metaforico animalista su questo fronte in futuro).
Imparata la lezione di
“One more with feeling” di Buffy, ST: Strange New Worlds ci ha anche
regalato una memorabile puntata musical, “Rapsodia subspaziale” (2.09) dove a
seguito della creazione di un campo di indeterminazione quantistica, una delle
illimitate realtà che si sono create fa sì che ce ne sia una (la loro) in cui i
protagonisti si comportino come in un musical, ovvero si mettano a cantare e
ballare quando le emozioni sono troppo forti, rivelando il proprio intimo pur
non volendo. E prima del canto corale finale che unisce ecumenicamente tutto
l’equipaggio, abbiamo modo di gustarci La’an che combatte contro i propri
sentimenti per James Kirk, a bordo dell'Enterprise per un tirocinio in vista
della sua nomina a Primo Ufficiale della Farragut; il capitano Pike che esterna
le sue difficoltà nella relazione con la capitana Batel (Melanie Scrofano); e Chapel entusiasta di aver vinto una borsa
di studio presso il dottor Korby (altro riferimento a TOS) con tutto quello che
comporta nella relazione fra lei e Spock. La mia grande passione di ST:TOS è
sempre stata Bones, non Spock come per molti, ma diciamo che non sono insensibile
al fascino di quest’ultimo in questa incarnazione e sto shippando questo duo.
Il cliffhanger di un chiaro “to be continued” ha chiuso una seconda solida stagione, realizzata con cura e recitata in modo convincente, che appaga in pieno la Trekkie che è in me.
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