Da adolescente per me Star Trek, l’originale, era praticamente una religione. Sono cresciuta con gli ideali della Federazione dei Pianeti Uniti: armonia, diversità, ricerca, scienza, esplorazione, senso del dovere, rispetto, humanism (nel senso in cui lo intende l’American Humanist Association)… Le più recenti incarnazioni del franchise non sono riuscite a cogliere l’autentico spirito di partenza, per me. ST: Discovery ha proposto intrecci interessanti, ma era proprio un’altra cosa, a dispetto del rispetto per il canone, e Picard, che pure ha avuto una solida affascinante prima stagione ha fatto uno scivolone con la seconda e, alla fine, ha avuto una sensibilità molto diversa. The Orville era più nello spirito di Star Trek di dare nuova vita alla creazione di Gene Roddenberry dei vari tentativi che ne portavano il nome. Con il nuovo arrivato, Star Trek: Strage New Worlds (Paramount+) è tutta un’altra storia. Si è forse narrativamente meno ambiziosi, affidandosi a puntate autoconclusive, ma si coglie la filosofia che animava la creazione originaria. Se la ruota funziona non è necessario reinventarla. Era l’epoca della fioritura delle Nazioni Unite e la Federazione dei Pianeti Uniti rappresentava un ideale di umanità e di civiltà. L’obiettivo primario era la ricerca scientifica, l’esplorazione di nuove civiltà, e questo finalmente ce lo si è ricordati.
Strange New Worlds ha anche tenuto alcune ingenuità dell’antenato:
qualche battaglia, ma non troppe, e l’equipaggio della nave che, colpita, si
aggrappa alle rispettive sedie inclinandosi a destra o a sinistra, qualche
scazzottata di cui si potrebbe fare anche a meno… ma ci stanno bene anche quelle,
non fosse per altro che per l’effetto nostalgia. C’è stato un momento in cui la
divisa dell’ufficiale medico, pur diversa, mi ha fatto l’effetto della madeleine
proustiana. È anche uno Star Trek
più umano questo, meno militare e più di rilassato. Le relazioni interpersonali
hanno più peso.
Visivamente c’è un upgrade
notevole: ci sono un ottimo production
design e una eccellente illuminazione, ma la tecnologia è giustamente
coerente con il mondo che conoscevamo. Questa è l’Enterprise del capitano
Christopher Pike (Anson Mount), meno una testa calda del suo successore Kirk,
più posato e desideroso di creare consenso, dove possibile. Si è ben saputo
recuperare le vicende che a lui erano capitate in Discovery, di cui questa serie è uno spin-off e dove lui ha avuto
modo di vedere il proprio futuro, in cui sarà sfigurato e su una sedia a
rotelle, con quelle della nave di Kirk, di cui questa serie è de facto un
prequel. E parte della riflessione è proprio sul futuro, su quanto sia già
stato scritto, su quanto le nostre azioni possono impattarlo. Primo ufficiale è
Una Chin-Riley (Rebecca Romijn), che nasconde un segreto. Ritroviamo Spock (Ethan
Peck), e si menziona anche la sorella che abbiamo conosciuto in Discovery. È
ufficiale scientifico, ed è promesso sposo della vulcaniana T’Pring (Gia Sandhu).
Nyota Uhura (Celia
Rose Gooding) qui è solo una cadetta, specializzata in linguistica, e ne si
costruisce e ne impariamo la backstory. Dei personaggi storici, chi risulta
trasformata in qualcuna di più peperina e dinamica - e va benissimo così - è Christine
Chapel (Jess Bush), l’infermiera del dottor Bones. Quest’ultimo è sempre stato
il mio preferito, e non c’è, ma ha senso. Al suo posto un ufficiale medico
originario del Kenya, Joseph M’Bega (Babs Olusanmokun), che pure faceva parte
del canone. Compare anche un Kirk, ma non il James T. che abbiamo imparato a
conoscere, ma un certo Samuel, antropologo. Il popolare capitano però è comparso in chiusura e lo rivedremo nella seconda stagione, con il volo di Paul Wesley (The Vampire Diaries). Per il poco che lo abbiamo visto, mi ha convinto.
Ci sono anche personaggi
nuovi di zecca, in questa creazione di Akiva Goldsman, Alex Kurtzman, and Jenny Lumet,
e in particolare: La’an Noonien-Sing (Christina Chong), addetta alla sicurezza
e discendente del “cattivo” Kahn; Erica Ortega (Melissa Navia), timoniera; e
come ingegnere capo, Hemmer (Bruce Horak), un
Aenar, ovvero una Andoriano albino quasi cieco e con capacità telepatiche. Insomma,
alla fine c’è un giusto mix fra nuovo e vecchio: si omaggia il passato e ne si onora
la tradizione valoriale aggiornandola.
Un applauso va al casting,
su più livelli. Ha fatto un re-casting dei personaggi noti molto oculato e
riuscito — probabilmente il più difficile di tutti era l’iconico Spock e
quest’attore ereditato da Discovery
ha fatto suo il ruolo senza tradire quello portato al successo da Leonard Nimoy. Strage New Worlds ha saputo essere inclusivo nel vero spirito della serie, anche nei personaggi
minori. Sono rimasta favorevolmente impressionata che per interpretare Aspen, una
pirata nella puntata “The Serene Squall” (1.07), abbiano scelto Jesse James Keitel
(Queer As Folk). Che bella idea
scegliere un’attrice non binaria per dire a Spock, in crisi fra l’essere umano
e vulcaniano, che si tratta di un falso dilemma, che non importa che cosa sei,
importa chi sei. Con una simile interprete il messaggio è passato due volte:
tanto di cappello alla serie perché così mette in pratica quello che predica.
In conclusione, Strange New Worlds è una visione facile, e poco serializzata per cui ci si può saltar dentro in ogni momento senza timore di non capire. Non è probabilmente quella che uno oggi chiamerebbe televisione imperdibile, ma è davvero Star Trek.
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