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domenica 27 agosto 2023

STAR TREK: STRANGE NEW WORLDS: una appagante seconda stagione

Star Trek: Strage New Worlds (Paramount+) ha confezionato una seconda stagione decisamente appagante, confermando di essere fedele allo spirito dell’originale, sia perché ne incarna bene i valori, sia perché lo storytelling è elastico a sufficienza da permette allo spettatore di immaginarsi come un potenziale personaggio altro all’interno della diegesi, una forza essenziale per il coinvolgimento in questo genere di programmi con puntate per la gran parte autoconclusive.

L’esordio non mi ha convinto come avrei sperato e temevo il cosiddetto sophomore slump che per fortuna non si è verificato nonostante una partenza al di sotto delle aspettative. Spock (Ethan Peck) che vuole “rubare” l’Enterprise e impedire ai Klingon di trovare un’occasione per riaprire la guerra (“Il Circolo Spezzato”, 2.01) mi è parsa un po’ debole. “Ad Astra per Aspera” (2.02) si è concentrata sul processo alla prima ufficiale Una Chin-Riley (Rebecca Romijn) accusata di aver mentito per entrare nella flotta stellare non rivelando di aver subito una modifica genetica, in quanto Illyriana, pratica proibita. Nonostante gli importanti temi trattati - le persecuzioni politiche e biologiche, le leggi razziali nei confronti dei potenziati da parte della federazione, la legge non solo come specchio della società ma come ideale, la bellezza della diversità - non mi ha convinto appieno e trovo che sia stata un’occasione sprecata non usare Sam Kirk (Dan Jeannotte), che come  xeno-antropologo sarebbe stato adeguato a dare una prospettiva potente, invece al di là del titolo professionale sembra che non sappiano ancora bene come usarlo. Leggendo poi le vicende come metafora dell’esperienza trans (per cui non ci si deve sforzare molto), The Orville è riuscita a costruire in proposito degli episodi ben più efficaci e memorabili. Per chi si è lagnato che fosse una puntata troppo “woke”, beh, signori miei, Star Trek è sempre stato woke ante litteram, e fiero di esserlo, e se non si capisce questo non si capisce questo franchise.

Si è poi preso quota, dimostrando anche una profonda conoscenza del canone e rispettandolo. Penso in particolare a Spock, che in occasione del suo fidanzamento con T’Pring (Gia Sandhu) in “Sciarada” (2.05) rivede la madre Amanda (Mia Kirshner) ma non in padre con cui non era all’epoca effettivamente in buoni rapporti, e durante la stagione allaccia una relazione più che puramente amicale con l’infermiera Christine Chapel (Jess Bush) che nell’originale dimostra un interesse verso di lui. Si riesce insomma a creare delle backstory per i personaggi - lo stesso vale per Uhura (Celia Rose Gooding) in “Lost in Translation” (2.06) - rimanendo fedeli a quello che sarà, e costruendo molto di più sul lato umano. Spock poi nello specifico è usato come comic relief con risultati eccellenti. L’idea di renderlo temporaneamente umano è stata esilarante.

Ugualmente umoristica è stata la puntata cross-over con Star Trek: Lower Decks con l’improbabile, ma riuscitissima “Tutti Onorati Scienziati - Those Old Scientists” (2.07, e notare che le iniziali della puntata sono TOS, ovvero l’acronimo della serie originale - tanto di cappello ai traduttori italiani che sono riusciti a conservare le iniziali con un titolo perfetto). La USS Cerritos arriva su un pianeta dove si trova un portale. Boimler (Jack Quaid), uno dei guardiamarina mandati in esplorazione, viene catapultato attraverso di esso nel passato. Scopre che non mentiva la collega Tendi, un’ororiana, quando diceva che era una sua antenata ad aver scoperto quel portale, e veniamo a sapere come sono andati i fatti. L’episodio, visto il cross-over con una serie a cartone animato, ha sezioni disegnate - e pure la sigla viene disegnata, come poi in modo diverso cambierà anche nella puntata musical che avrà la parte musicale cantata a cappella (2.09): che leccornia visiva nel primo caso, uditiva nel secondo. La gioia della visione viene soprattutto dall’atteggiamento da fanboy di Boimler, che è super elettrizzato a conoscere i suoi miti, un po’ avatar per una volta in carne e ossa di tutti noi fan della serie storica. Noi stessi in fondo, con questo prequel stiamo facendo un viaggio temporale nel passato e vediamo i nostri beniamini prima che fossero ciò che sono poi diventati: geniale.

Si fa un trattamento umoristico a uno dei temi forti della stagione, quello dei viaggi temporali, esplorato invece in modo ben più serio e doloroso con “Domani e Domani e Domani” (2.03) in cui La’an incontra un alternativo James T. Kirk e se ne innamora. Sono completamente convinta dall’approccio di Paul Wesley al capitano per ora ancora tenente, e stanno usando il personaggio in modo occasionale ma ricorrente in modo efficace. Ammetto di essermi attivamente commossa al primo incontro fra Kirk e Spock (2.06), e nel vedere loro due con Uhura ad un tavolo insieme da giovani. Ugualmente sono molto ben impressionata dall’introduzione di Montgomery Scott, “Scotty” (Martin Quinn), nella season finale (2.10), un po’ come avevano fatto con Kirk nella stagione precedente: approvo il casting e come è stato scritto il personaggio. Nonostante un’attrice che ha vinto Oscar ed Emmy, non mi ha invece convinta Pelia (Carol Kane) la nuova ingegnere capo, una lanthanitiana, nonostante il suo personaggio sulla carta mi piaccia. È proprio l’attrice che mi ha infastidita. La brillante Ortegas (Melissa Navia) è, fra i personaggi principali, quella che per ora ha ricevuto meno attenzioni, ma avrà tempo di rifarsi.

C’è stato parecchio umorismo in tutta la stagione, ma non sono mancati momenti oscuri, anche umanamente, in fondo anche la previamente citata “Ad astra per aspera”, ma soprattutto con le esperienze di guerra di M’Benga (Babs Olusanmokun) e Chapel sul pianeta J’gal, in occasione della visita a bordo l'ambasciatore Dak'Rah (Robert Wisdom) ex generale klingon, autore di gravi atrocità, in “Sotto la cappa della guerra” (2.08), e nella conclusiva “Egemonia” (2.10) ambientata in una colonia del pianeta Parnassus Beta, attaccata dai gorn, i mostruosi esseri che vedono gli umani solo come prede di cui nutrirsi (non sarebbe male un ulteriore sviluppo metaforico animalista su questo fronte in futuro).

Imparata la lezione di “One more with feeling” di Buffy, ST: Strange New Worlds ci ha anche regalato una memorabile puntata musical, “Rapsodia subspaziale” (2.09) dove a seguito della creazione di un campo di indeterminazione quantistica, una delle illimitate realtà che si sono create fa sì che ce ne sia una (la loro) in cui i protagonisti si comportino come in un musical, ovvero si mettano a cantare e ballare quando le emozioni sono troppo forti, rivelando il proprio intimo pur non volendo. E prima del canto corale finale che unisce ecumenicamente tutto l’equipaggio, abbiamo modo di gustarci La’an che combatte contro i propri sentimenti per James Kirk, a bordo dell'Enterprise per un tirocinio in vista della sua nomina a Primo Ufficiale della Farragut; il capitano Pike che esterna le sue difficoltà nella relazione con la capitana Batel (Melanie Scrofano);  e Chapel entusiasta di aver vinto una borsa di studio presso il dottor Korby (altro riferimento a TOS) con tutto quello che comporta nella relazione fra lei e Spock. La mia grande passione di ST:TOS è sempre stata Bones, non Spock come per molti, ma diciamo che non sono insensibile al fascino di quest’ultimo in questa incarnazione e sto shippando questo duo.

Il cliffhanger di un chiaro “to be continued” ha chiuso una seconda solida stagione, realizzata con cura e recitata in modo convincente, che appaga in pieno la Trekkie che è in me.

martedì 18 ottobre 2022

STRANGE NEW WORLDS: è davvero STAR TREK

Da adolescente per me Star Trek, l’originale, era praticamente una religione. Sono cresciuta con gli ideali della Federazione dei Pianeti Uniti: armonia, diversità, ricerca, scienza, esplorazione, senso del dovere, rispetto, humanism (nel senso in cui lo intende l’American Humanist Association)… Le più recenti incarnazioni del franchise non sono riuscite a cogliere l’autentico spirito di partenza, per me. ST: Discovery ha proposto intrecci interessanti, ma era proprio un’altra cosa, a dispetto del rispetto per il canone, e Picard, che pure ha avuto una solida affascinante prima stagione ha fatto uno scivolone con la seconda e, alla fine, ha avuto una sensibilità molto diversa. The Orville era più nello spirito di Star Trek di dare nuova vita alla creazione di Gene Roddenberry dei vari tentativi che ne portavano il nome. Con il nuovo arrivato, Star Trek: Strage New Worlds (Paramount+) è tutta un’altra storia. Si è forse narrativamente meno ambiziosi, affidandosi a puntate autoconclusive, ma si coglie la filosofia che animava la creazione originaria. Se la ruota funziona non è necessario reinventarla. Era l’epoca della fioritura delle Nazioni Unite e la Federazione dei Pianeti Uniti rappresentava un ideale di umanità e di civiltà. L’obiettivo primario era la ricerca scientifica, l’esplorazione di nuove civiltà, e questo finalmente ce lo si è ricordati.

Strange New Worlds ha anche tenuto alcune ingenuità dell’antenato: qualche battaglia, ma non troppe, e l’equipaggio della nave che, colpita, si aggrappa alle rispettive sedie inclinandosi a destra o a sinistra, qualche scazzottata di cui si potrebbe fare anche a meno… ma ci stanno bene anche quelle, non fosse per altro che per l’effetto nostalgia. C’è stato un momento in cui la divisa dell’ufficiale medico, pur diversa, mi ha fatto l’effetto della madeleine proustiana. È anche uno Star Trek più umano questo, meno militare e più di rilassato. Le relazioni interpersonali hanno più peso.

Visivamente c’è un upgrade notevole: ci sono un ottimo production design e una eccellente illuminazione, ma la tecnologia è giustamente coerente con il mondo che conoscevamo. Questa è l’Enterprise del capitano Christopher Pike (Anson Mount), meno una testa calda del suo successore Kirk, più posato e desideroso di creare consenso, dove possibile. Si è ben saputo recuperare le vicende che a lui erano capitate in Discovery, di cui questa serie è uno spin-off e dove lui ha avuto modo di vedere il proprio futuro, in cui sarà sfigurato e su una sedia a rotelle, con quelle della nave di Kirk, di cui questa serie è de facto un prequel. E parte della riflessione è proprio sul futuro, su quanto sia già stato scritto, su quanto le nostre azioni possono impattarlo. Primo ufficiale è Una Chin-Riley (Rebecca Romijn), che nasconde un segreto. Ritroviamo Spock (Ethan Peck), e si menziona anche la sorella che abbiamo conosciuto in Discovery. È ufficiale scientifico, ed è promesso sposo della vulcaniana T’Pring (Gia Sandhu). Nyota Uhura (Celia Rose Gooding) qui è solo una cadetta, specializzata in linguistica, e ne si costruisce e ne impariamo la backstory. Dei personaggi storici, chi risulta trasformata in qualcuna di più peperina e dinamica - e va benissimo così - è Christine Chapel (Jess Bush), l’infermiera del dottor Bones. Quest’ultimo è sempre stato il mio preferito, e non c’è, ma ha senso. Al suo posto un ufficiale medico originario del Kenya, Joseph M’Bega (Babs Olusanmokun), che pure faceva parte del canone. Compare anche un Kirk, ma non il James T. che abbiamo imparato a conoscere, ma un certo Samuel, antropologo. Il popolare capitano però è comparso in chiusura e lo rivedremo nella seconda stagione, con il volo di Paul Wesley (The Vampire Diaries). Per il poco che lo abbiamo visto, mi ha convinto. 

Ci sono anche personaggi nuovi di zecca, in questa creazione di  Akiva Goldsman, Alex Kurtzman, and Jenny Lumet, e in particolare: La’an Noonien-Sing (Christina Chong), addetta alla sicurezza e discendente del “cattivo” Kahn; Erica Ortega (Melissa Navia), timoniera; e come ingegnere capo, Hemmer (Bruce Horak), un Aenar, ovvero una Andoriano albino quasi cieco e con capacità telepatiche. Insomma, alla fine c’è un giusto mix fra nuovo e vecchio: si omaggia il passato e ne si onora la tradizione valoriale aggiornandola.

Un applauso va al casting, su più livelli. Ha fatto un re-casting dei personaggi noti molto oculato e riuscito probabilmente il più difficile di tutti era l’iconico Spock e quest’attore ereditato da Discovery ha fatto suo il ruolo senza tradire quello portato al successo da Leonard Nimoy. Strage New Worlds ha saputo essere inclusivo nel vero spirito della serie, anche nei personaggi minori. Sono rimasta favorevolmente impressionata che per interpretare Aspen, una pirata nella puntata “The Serene Squall” (1.07), abbiano scelto Jesse James Keitel (Queer As Folk). Che bella idea scegliere un’attrice non binaria per dire a Spock, in crisi fra l’essere umano e vulcaniano, che si tratta di un falso dilemma, che non importa che cosa sei, importa chi sei. Con una simile interprete il messaggio è passato due volte: tanto di cappello alla serie perché così mette in pratica quello che predica.  

In conclusione, Strange New Worlds è una visione facile, e poco serializzata per cui ci si può saltar dentro in ogni momento senza timore di non capire. Non è probabilmente quella che uno oggi chiamerebbe televisione imperdibile, ma è davvero Star Trek.