martedì 27 agosto 2024

HOUSE OF THE DRAGON: la seconda stagione

Personalmente ho trovato appagante la seconda stagione di House of the Dragon (HBO, sky Atlantic) che ha una sua identità diversa dal Trono di Spade, pur essendone chiaramente una costola, ambientata circa 200 anni prima, anche se molti sono rimasti delusi soprattutto da una conclusione anticlimatica o comunque priva degli eventi significativi che speravano.

ATTENZIONE SPOILER

Ci sono due schieramenti contrapposti della famiglia Targaryen che regna a Westeros. Da un lato ci sono i Verdi, attualmente al potere: ad Approdo del Re il figlio maggiore della regina vedova Alicent (Olivia Cooke), Aegon (Tom Glynn-Carney), è il sovrano: è giovane, insicuro e inesperto, ma vuole fare di testa sua. La madre lo sostiene convinta che il defunto marito volesse effettivamente lui sul trono. Nonno Otto (Rhys Ifans) lo consiglia, ma nella sua irruenza il ragazzo crede di saper meglio lui che cosa è giusto fare e lo licenzia senza mezzi termini. Inoltre decide di andare in battaglia lui stesso, guidando un drago, ma il tradimento del fratello minore Aemond (Ewan Mitchell), che vuole per sé il potere, lo riduce a un invalido perennemente sofferente, situazione che consente a Larys Strong/"Piededuro" (Matthew Needham) di avvicinarsi a lui come consulente. Il popolo è scontento perché affamato ed è tenuto all’oscuro delle effettive condizioni del regnante.

Dall’altro lato nella pretesa al trono ci sono i Neri, rappresentati dalla regina Rhaenyra (Emma D'Arcy), legittima erede di Viserys I. Spetterebbe a lei  sedervisi, per volontà paterna, e se Alicent è convinta del contrario è solo perché ha mal interpretato i vaneggiamenti del marito morente. Rhaenyra vorrebbe riconquistare il ruolo che le spetta, anche con la forza se è necessario, ma rimane cauta perché ha ereditato dal padre 80 anni di pace e non vuole mettervi fine con leggerezza. I consiglieri vorrebbero che si mettesse da parte, anche perché donna, ma lei ha la stoffa per governare e intende farlo. Il marito Daemon (Matt Smith) si reca da altri signori del regno per chiedere sostegno e raccogliere alleanze per un esercito, mentre a Roccia del Drago lei, che fino in ultimo non sa se poter contare sulla lealtà del marito, arruola nuovi Cavalieri di Draghi fra i “bastardi”, una cosa mai fatta prima, dal momento che solo chi ha sangue Targaryen è in grado di farlo, ma fino ad ora per cavalcare questi esseri considerati alla stregua di dei erano solo stati scelti mobili di nascita legittima. La cosa non aggrada molto al figlio Jacaerys (Harry Collett). Fra i consiglieri di Rhaenyra, c’è Mysaria (Sonoya Mizuno), ex-prostituta.

La guerra civile è inevitabile, e si condensa bene nella sorte che spetta ai membri della Guardia Reale Arryk and Erryk Cargyll (Luke ed Elliott Tittensor), costretti a combattere l’uno contro l’altro.

La puntata più appassionante della stagione è stata indubbiamente “Il drago rosso e il drago dorato” (2.04) scritta da Ryan Condal e con la regia di Alan Taylor, e questo anche perché si vedono all’opera i draghi, aspetto epico che è sempre un appassionante piacere, ma soprattutto perché c’è una lotta senza esclusione di colpi in cui perde la vita Rhaenys (Eve Best), la regina che non fu, oltre che il tradimento di Aemond che colpisce il fratello. Tuttavia come ci viene ricordato da Mysaria nella puntata successiva (2.05) “esiste più di un modo per combattere una guerra”, non solo attraverso le armi. È stato criticato da qualcuno che non è realistico che si cerchi così persistentemente la pace, perché non sarebbe stato così in epoca medievale. L’accusa sarebbe di essere “troppo morali”, anche rispetto al fatto che il popolo si lamenta dell’abbondanza dei regnanti quando loro muoiono di fame, nella convinzione che certe disparità socio-economiche erano considerate nell’ordine delle cose in quelle epoche e per questo non contestate. Ammesso anche che sia vero, l’obiezione non ha fondamento per il fatto che siamo in un mondo immaginario, non reale, per quanto ispirato magari al nostro medioevo – in proposito si veda questo interessante video di iStorica in cui si spiega come la serie si ispiri all’Anarchia, una guerra di successione che divise per vent’anni l'Inghilterra nel XII secolo. E poi, delle tante licenze poetiche che si possono prendere, quella di carcare di preservare la pace un po’ più a lungo non sarà eventualmente certo un problema, soprattutto viste tutte le critiche di eccessi di violenza che macchiavano la serie madre, e lo stesso vedere i poveri che si lamentano della propria situazione criticando l’atteggiamento dei ricchi.

Semmai è più ragionevole lamentarsi della Siberia narrativa in cui è stato Daemon che, separato dal resto del cast principale, si è trovato ad Harrenhal ed è stato tormentato tutto il tempo da allucinazioni e incubi visionari, da una giovane Rhaenyra (Milly Alcock) fino a scene che iniziano con un montaggio in cui lo si vede far sesso con una donna e in cui si capisce alla fine che si tratta di sua madre Alyssa Targaryen (Emeline Lambert), che molti hanno trovato tediose e in quest’ultimo caso disturbante. Se concordo che fossero abbastanza sottotono, ne capisco il valore per il personaggio per il cui il viaggio è soprattutto spirituale e lo porta alla fine della stagione a confermare la sua lealtà alla moglie. La sua assenza però, soprattutto dinanzi al pungolo di una guerra imminente, è vero che si è fatta sentire. E ha brillato la determinazione dell’adolescente Ser Oscar Tully (Archie Barnes), che in parecchi hanno già definito la versione maschile di Lyanna Mormont, nel gestire Daemon.

Tutti, non solo me compresa ma George Martin compreso (si legga qui), hanno trovato assolutamente adorabile un piccolo personaggio che è stato aggiunto nella versione televisiva, il cane di Formaggio, un ammazzatopi che Daemon aveva assoldato, insieme alla guardia cittadina Sangue, per uccidere Aemond. Il piano fallisce e al posto viene scozzato il principino Jaehaerys prelevato dal proprio lettino. Formaggio viene impiccato e l’adorabile cagnolino lo si vede fedele fino in ultimo. Il pubblico si è arrabbiato di più per il fatto che Formaggio a un certo punto gli ha tirato un calcio che non per il bambino umano assassinato. Scrive bene Martin: “quel cane è stato fantastico. Ero pronto a odiare Formaggio, ma l'ho odiato ancora di più quando ha preso a calci quel cane. E poi, quando il cane si è messo ai suoi piedi, con lo sguardo rivolto verso l'alto... mi ha quasi spezzato il cuore. Una cosa così piccola... un cane così piccolo... ma la sua presenza, i pochi brevi momenti in cui era sullo schermo, hanno dato all’ammazzatopi così tanta umanità. Gli esseri umani sono creature così complesse. La presenza silenziosa di quel cane ci ha ricordato che anche il peggiore degli uomini, il vile e il venale, può amare ed essere amato”. Mi aggiungo alle voci di coloro che vorrebbero che gli autori trovassero un modo per farlo ricomparire con una coda scodinzolante, da qualche parte.

In ogni caso ad affascinare sono stati soprattutto i rapporti fra le persone. Egon-Aemond. Si è tanto parlato della scena di nudo frontale di Ewan Mitchell (2.03), ma se è stato tanto significativo è perché vediamo che Aemond se ne va senza veli quando Aegon lo schernisce mentre è a letto con una prostituta. Alicent – Rhaenyra. Io non ci vedo la tensione lesbica che alcuni ci leggono, leggere sempre tutto in termini sessuali mi pare mancanza di fantasia, ma il loro rapporto di ex-amiche, due donne su schieramenti opposti è un asse portante. Rhaenyra-Mysaria. Si è dato vita a una complicità femminile notevole che qui sì può avere senso sia sfociata in un bacio. Aegon-Larys…

Chi vuole solo azione, guerra e sangue, questa stagione sarà moscia, più di preparativi e attesa che altro, ma narrativamente è stata solida. 

lunedì 19 agosto 2024

THE GOOD DOCTOR: una series finale inclusiva

Con una settima stagione più corta delle altre (solo 10 episodi) The Good Doctor (ABC, Rai2) ha chiuso il suo corso con una series finale delicata ed appropriata.

SPOILER SULLA FINALISSIMA

L’arco conclusivo ha visto il dottor Shaun Murphy (Freddie Highmore) dibattersi davanti a due casi importanti per cercare di salvare da un lato il Dr. Aaron Glassman (Richard Schiff), suo mentore e figura paterna, a cui era tornato il cancro, e dall’altro l'amica di sempre, la dottoressa Claire Browne (Antonia Thomas), alle prese con una grade infezione, rientrata negli USA per farsi curare anche lei per un cancro, in questo caso al seno, proprio per questo ultimo atto, dopo lunga assenza giustificata dal fatto che alla fine della quarta stagione aveva deciso di trasferirsi in Guatemala per seguire una clinica lì. Per il primo purtroppo è calato il sipario, e il programma lo ha espresso in modo molto elegante, semplicemente mostrandoci Sean su una giostra da solo; la seconda ha avuto più fortuna, grazie proprio alla brillantezza dei propri colleghi e al sostegno di un ritrovato Jared Kalu (Chuku Modu), nonostante la perdita non indifferente di un braccio.

La serie ha detto ormai quello che aveva da dire: si è portata consapevolezza su alcune problematiche dell’autismo e, come ha rilevato in più di un’intervista l’attore protagonista, si è riusciti a mostrare come anche le persone con autismo possano cambiare ed evolversi , così come le persone neurotipiche. Nella settima stagione si è pure potuto vedere il dottor Murphy nel ruolo di padre. L’evento più significativo è stata la prematura scomparsa del dottor Asher Wolke (Noah Galvin) a causa di un violento attacco omofobico, proprio a ridosso del fidanzamento con Jerome Martel (Giacomo Baessato). E sono stati introdotti due nuovi studenti praticanti, la dottoressa Charlie Lukaitis (Kayla Cromer), pure lei nello spettro dell’autismo e che idolatra Shaun, anche se lui non la vede con lo stesso favore, e Dominick “Dom” Hubank (Wavyy Jonez), molto in difficoltà di  fronte alla vista del sangue.

Già in corso di via si è notato l’impegno a chiudere le vicende. Con l’avvicinarsi della conclusione già avevano dato il lieto fine per altri personaggi come la dottoressa Morgan Reznick (Fiona Gubelmann) e il dottor Alex Park (Will Yun Lee) che si sono finalmente sposati. Della finalissima, che è stata appropriatamente intitolata “Goodbye” (7.10), erano le ultime battute quelle di cui ero più curiosa, vedere in che modo si sarebbe scelto di dire l’addio definitivo al San Jose St. Bonaventure Hospital. Si è andati nel futuro. Nella coda di quella che diversamente sarebbe stata una puntata come le altre, vediamo  Shaun impegnato in un TED Talk – sullo sfondo appaiono i nomi dei pazienti che ha aiutato nella sua carriera: gli effettivi nomi dei personaggi con cui ha interagito nel corso delle puntate; Adam, il primo che compare, è quello che ha salvato nel pilot. Ascoltando il suo discorso, pronunciato in onore del  dottor Glassman, e vedendo chi è presente, veniamo a sapere “come sono andate le cose”: è diventato primario di chirurgia; ha aperto insieme Claire  una fondazione per promuovere la presenza medici neurodivergenti, la Dr. Aaron Glassman Foundation for Neurodiversity in Medicine; con Lea (Paige Spara) ha avuto un altro figlio, una bambina questa volta…Più o meno tutti sono fra il pubblico. La dottoressa Audrey Lim (Christina Chang) la vediamo pronta a partire con “Surgeons for a Better World" per un’altra opportunità lavorativa e la dottoressa Bria Samoné Henderson vediamo che si è sposata con Danny Perez (Brandon Larracuente).

C’è stato insomma un lieto fine che ha cercato di non lasciare fuori nessuno e ci è riuscito. Forse questi personaggi mancheranno, ma ha chiuso in modo appagante e in linea con quello che la serie è stata in questi anni: un appuntamento gradevole che ha sostenuto l’inclusività.

venerdì 9 agosto 2024

LA REGINA CARLOTTA: uno spin-off di Bridgerton

La regina Carlotta (Netflix), la serie che ha debuttato il 4 maggio 2023, con molta consapevolezza adotta il sottotitolo Una storia di Bridgerton. La ragione non è solamente che è, appunto, uno spin-off di Bridgerton, ma che sebbene sia ispirata infatti alle vicende della Regina consorte del re del Regno Unito, Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, non è storia vera, è una rilettura rosa che si prende molte licenze poetiche.

La più significativa di tutte è che molti studiosi ritengono fondatamente che la regnante avesse un'eredità culturale mista e fosse nera, ma questo è stato spesso insabbiato. La serie, che non a caso è stata ideata e prodotta da Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy), si è invece chiesta che cosa sarebbe successo se la società avesse accolto queste differenze invece di ignorarle e negarle e avesse elevato le persone nere (o di colore in senso più ampio) a posizioni e ranghi di rilievo. Nelle vicende ci si riferisce a questo come al “grande esperimento”, che non è avvenuto nella realtà, ma nella fantasia degli autori che reimmaginano come sarebbe potuto essere il mondo se fosse stata fatta una scelta simile. Urge domandarsi che tipo di valore epistemologico abbia un simile esperimento, in questo caso non sociale ma narrativo, se ne abbia uno al di là della mera soddisfazione di un mondo più equo almeno nella fantasia e dell’aprire la mente ad immaginarlo come possibile.

Queen Charlotte si muove fra due assi temporali: uno nel 1817, il presente di Bridgerton (si è debuttato fra la seconda e la terza stagione di questa), in cui la regina (Golda Rosheuvel) fa pressione sui suoi numerosi figli perché si decidano a fornirle un/a erede al trono – nella realtà, solo il quarto è stato in grado di produrne uno, quella che poi sarebbe diventata la regina Vittoria, quando lei era ormai scomparsa; uno nel 1761, che ci fa scoprire la backstory di Carlotta, quando giovanissima (una perfetta India Amarteifio) viene data in sposa dal fratello Adolfo (Tunji Kasim), a un uomo che non conosce nemmeno, re Giorgio III (Corey Mylchreest, e se nel suo scarnissimo curriculum ha interpretato Adone in The Sandman è perché brutto non è, mettiamola così), conosciuto dalla storia come il “re pazzo”.  

Le vicende, che portano tutte la regia di Tom Verica (che per me sarà sempre il papà nella rimpianta serie American Dreams), si concentra sullo spaesamento delle nuova venuta e sul matrimonio con il re che mal vive la pressione del suo ruolo. Vorrebbe poter essere “solo Giorgio”, dedicarsi alla scienza, all’astronomia e all’agricoltura e non agli impegni imperiali che gravano su di lui, anche perché periodicamente ha episodi psicotici. Ufficialmente si dice che soffrisse di porfiria, ma oggidì si sono avanzate altre ipotesi (avvelenamento da arsenico, disturbo bipolare, problemi psichiatrici di altra natura). Sebbene nella sue fasi buone il consorte fosse amabile e affascinante, il pubblico empatizza subito con la neo-arrivata che si ritrova a dover far fronte a comportamenti inspiegabili che la lasciano profondamente triste e sola, anche perché per questi non vi è alcuna spiegazione. Quando la spiegazione arriva (dedicando una puntata a “riempire i vuoti” che c’erano dall’aver visto la sola prospettiva di lei al comportamento di lui, mostrando così l’immagine completa) si soffre con il paziente che si fa sottoporre a letterali torture da un medico sadico che promette di guarirlo, pur di star meglio, e si ha nuovo rispetto per Carlotta che gli sta vicino e fornisce il balsamo migliore con il suo amore. E se la “malattia mentale” è tabù e si brancola nel buio ora, immaginarsi fra ‘700 e ‘800.

Personalmente non ho mai avuto in particolare simpatica il personaggio della regina, troppo capricciosa e distante per i miei gusti, né al di là di questo aspetto in fondo irrilevante l’ho mai trovata degna di un secondo sguardo. Eppure, questo approfondimento l’ha davvero umanizzata e resa vulnerabile e amabile: una donna risoluta, forte, ma mossa da cervello e cuore al posto giusto, si direbbe. E allo stesso tempo si è dato ampio e gradito rilievo ad altri personaggi: la dinamica, frizzante Lady Agatha Danbury (Adjoa Andoh), che diventa presto la migliore amica della regina, ma che era inizialmente (Arsema Thomas) incastrata in un matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei e alla sua morte si era innamorata niente meno che del padre della giovanissima Violet (Connie Jenkins-Greig), che ora conosciamo come la viscontessa madre di tutti i Bridgerton (Ruth Gemmell) e assistiamo a come è nata quella amicizia e le vediamo ora vedove confidarsi sul proprio “giardino” (il luogo principe del piacere sessuale insomma), sulla solitudine e le relazioni; e, grande sorpresa, scopriamo un giovane Brimsley (Sam Clemmett), segretario e valletto personale della regina, sempre pochi passi dietro a lei: siamo abituati a vederlo ritto accanto a lei (Hugh Sachs) ormai anziano, ma è magnifico infilarsi nei ricordi che lo vedono avere una romantica storia con Reynolds (Freddie Dennis), segretario e valletto del re, e scoprire quello che i due hanno fatto per la coppia di cui sono fedelissimi servitori. Plot secondari molto ben calibrati. La voce di Lady Whistledown (Julie Andrews in originale, Melina Martello nella versione italiana) assicura continuità. L’ampiamento del worldbuilding dell’epoca antecedente a quella Regency in cui abbiamo conosciuto i personaggi è appagante per chi segue le vicende.

In costumi mozzafiato e gloriose ambientazioni, non mancano balli e occasioni mondane, l’attesa riflessione su protocolli e convenzioni sociali, e c’è naturalmente il classico must del genere rosa in cui lui confessa di non poter vivere senza di lei, ragione di vita, con un fluire di sentimenti e passione che non si riescono a trattenere. Però si va oltre: Carlotta acquisisce progressivamente consapevolezza della sua posizione e del suo ruolo, così come Agatha sa mantenersi in buon equilibrio facendo valere i propri interessi, ma allo stesso tempo mantenendosi fedele all’amicizia con la regnante. E non c’è l’asettico “vissero felici e contenti”, ma vissero felici nella misura in cui le circostanze della vita lo hanno consentito, che vista la malattia di lui non è stata poi così generosa. In mezzo a tanta fantasia, un nocciolo amaro che non ha reso meno apprezzabile la serie, anzi. Molti l’hanno salutata come la migliore. Non disdegnerei altre incursioni del passato dei personaggi con appositi spin-off.