Nobody
Wants This, la commedia romantica che ha debuttato su Netflix lo scorso
settembre, ha i due protagonisti principali interpretati da attori molti
popolari e amati, che conosciamo da quando erano poco più che adolescenti e
interpretavano personaggi che lo erano. Adam Brody (45 anni) lo abbiamo messo a
fuoco in The O.C. dove interpretava Seth Cohen, anche se aveva avuto
anche ruoli precedenti, e che si ricorda anche sempre per aver reso popolare Chrismukkah. Recentemente
lo abbiamo apprezzato in Fleishman
is in Trouble. La deliziosa Kristen Bell (44 anni) era la brillante
investigatrice Veronica Mars, e più recentemente era finita nell’aldilà
e cercava di redimersi diventando una brava persona in The
Good Place, ma è stata anche la voce narrante di Gossip Girl e quella
della principessa Anna nell’originale del film Frozen.
Qui sono
lui un rabbino, Noah, lei una podcaster che parla di sesso e relazioni
sentimentali, Joanne, che si innamorano l’uno dell’altra. A condurre il
programma con Joanne c’è anche la sorella Morgan (Justine Lupe, Succession),
che si trova spiazzata che finalmente lei abbia una relazione
appagante. Lui può contare sull’amicizia del fratello maggiore un po’ impacciato
Sasha (Timothy Simons, Veep), ma dal momento che ha deciso di lasciare
quella che tutti davano per sua futura sposa, Rebecca (Emily Arlook), nessuno è
molto contento. Nessuno vuole questa cosa, come recita il titolo in traduzione.
Il motivo è anche che Joanne è una “shiksa”, che originariamente
doveva essere il titolo del programma, ovvero una non ebrea che, come si può
leggere più approfonditamente al link, bionda dagli occhi azzurri che nulla sa
dei precetti religiosi che tanto importanti sono per Noah.
La
godibilissima serie ideata da Erin Foster, già rinnovata per una seconda
stagione, mi ha visto subito entusiasta perché fa quello che ultimamente
sembrano non sprecarsi a fare più, ovvero permettono ai personaggi di
conoscersi realmente per gradi, facendo capire a loro e a noi che cosa trovano attraente.
Quello per cui ha riscosso tanti consensi è che mostra poi per una volta una
coppia funzionale. Degli adulti con i loro problemi, ma disposti ad affrontarli
e a cercare degli accomodamenti per stare insieme. Entrambi i personaggi, ben
supportati da attori ben navigati in tal senso, sono venati di un lieve
umorismo e da autoironia, che non guasta. Anche i comprimari funzionano alla
perfezione.
Molte
delle situazioni in cui si ritrovano i personaggi hanno il potenziale da
sit-com, ma il modo in cui lo humor è costruito è ben poco tale e le emozioni e
gli ostacoli che la coppia deve superare per stare insieme sono molto vere,
come il fatto che vengano da due mondi diversi: per lei non c’è mai stato posto
per la religione nella vita, lui ne fa il fulcro e gli dà pace e sicurezza, ma
il fatto di essere accoppiato con lei può impedirgli una carriera di rabbino a
cui aspira, lei è disposta a convertirsi? Si piacciono genuinamente, ma è
sufficiente? E, sebbene ci sia una grande leggerezza di fondo, si affrontano anche questioni su cui ci si
interroga in generale nella vita, attraverso le parole che sono lo strumento
per entrambi, lui con i sermoni, lei con il podcast. Abbiamo la possibilità di
svegliarci e dare una nostra direzione alla nostra vita, ci ricordano, e tutto
può avere un proposito se lo permettiamo. Quanto è importante essere privati e
quanto invece essere aperti senza vergogna per questioni su cui c’è
apparentemente pudore? Raccontare qualcosa che ti fa sentire a disagio aiuta le
persone a connettersi con te.
Le famiglie
sono importanti per entrambi e il complicato rapporto con i loro membri è molto
sotto i riflettori: la sorella di lei è quella con cui condivide tutto, ma non
sempre vanno d’accordo, il padre è gay e separato dalla madre. La famiglia di
cui ostracizza la nuova scelta di lui e in questo forse il programma mostra una
evidente debolezza quando ritrae le donne ebree un po’ macchiettisticamente poco
disposte a qualunque apertura verso l’esterno. Anche se è giustificato nel caso
delle amiche della ex di lui e della severa madre Bina (Tovah Feldshuh), è
anche vero che hanno calcato un po’ la mano. Come ha ben scritto Dani
Kessel Odom su Screen Rant. “Quando si tratta della rappresentazione
delle donne ebree in TV, gli stereotipi si trovano all'incrocio tra
antisemitismo e misoginia. Le donne ebree sono state stereotipate come avide,
invadenti, aggressive, dominatrici, prepotenti, nevrotiche e bugiarde - tratti
considerati indesiderabili. Due dei tropi ebraici più significativi che si
basano su queste caratteristiche sono la principessa ebrea americana e la madre
ebrea”. E se la prima sarebbe Rebecca, “nevrotica, invadente ed egoista sulla
base della sua introduzione”, la seconda “appare subito come prepotente,
controllante e poco accogliente, caratteristiche del tropo della madre ebrea”,
ma non viene risparmiata nemmeno la cognata di Noah, Esther (Jackie Tohn) “presentata
come aggressiva e dominatrice nei primi due episodi”. Ammetto di avere molta
poca familiarità con gli stereotipi nei confronti delle donne ebree, ma non c’è
dubbio che gli aggettivi con cui le descrive l’articolo citato riflette quello
che ho visto sullo schermo.
In ogni caso è una rom-com che non sarà particolarmente innovativa, e con qualche stereotipo di cui avrebbe potuto facilmente fare a meno, ma è irresistibilmente dolce e genuinamente romantica e sono stata contenta di vederla rinnovata per una seconda stagione.