sabato 31 maggio 2025

MISS AUSTEN: misurata, credibile e coinvolgente

Basata sull’omonimo romanzo di Gill Hornby, Miss Austen (BBC1 e per ora inedita in Italia), è una miniserie in 4 puntate che catapulta in atmosfere simili a quelle delle famosa scrittrice Jane Austen di cui quest’anno ricorre il 250esimo anniversario della nascita.

Ci si muove su due linee temporali: nel 1830, tredici anni dopo la morte della sorella Jane (Patsy Ferran), le vicende seguono Cassandra (Keeley Hawes, Orphan Black: Echoes) che si reca a Kintbury, presso la casa della famiglia Fowle. Ufficialmente è lì per aiutare Isabella (Rose Leslie, Game of Thrones), figlia della defunta amica Eliza, che dopo la morte del padre è costretta a traslocare in fretta e furia e ha un futuro incerto; è innamorata del dott. Lidderdale (Alfred Enoch), ma con lui non vede futuro. In realtà l’obiettivo di Cassandra è un altro: trovare e distruggere le lettere private di Jane, che potrebbero compromettere la reputazione della sorella se divulgate.

ATTENZIONE SPOILER

Attraverso una serie di flashback, si svelano episodi della giovinezza delle sorelle Austen: il promesso sposo di una giovanissima Cassandra (Synnøve Karlsen) muore subito prima di sposarla, ma dal momento che lei aveva promesso che non si sarebbe sposata con nessun altro, rifiuta le avance di un giovane di cui si era successivamente innamorata, nonostante le pressioni della sorella Jane che al contrario vuole poter dedicare la propria vita alla scrittura e, come Cassandra stessa, vive con i genitori, mentre loro fratello è diventato il marito di Mary (Liv Hill da giovane, Jessica Hynes da adulta), sorella di Eliza, la migliore amica di Jane a cui aveva scritto tutte quelle lettere che ora da adulta Cassandra intende recuperare. Anche Mary, piuttosto odiosa a tutti e manipolatrice, che esalta il marito come scrittore non riconoscendo la maggiore grandezza letteraria di Jane, arriva a casa Fowle e cerca quelle stesse lettere.

È molto pacata e sensibile questa miniserie, diretta da Aisling Walsh e sceneggiata da Andrea Gibb, che ricalca quelli che erano le passioni e le difficoltà e le sfide nel XIX° secolo per le donne, limitate nella possibilità di esprimere se stesse e spesso rassegnate a ruoli molto specifici, oltre che completamente dipendenti dagli uomini da un punto di vista economico. C’è affetto nei confronti dei personaggi e della narrativa dell’illustre scrittrice britannica, verso Persuasione in particolare, che viene letto dai personaggi nella diegesi e punteggia le vicende offrendo anche lo spunto per una soluzione alla vita amorosa di Isabella, permettendole così un lieto fine. Il restraint, la moderazione, la compostezza, la misura, il controllo delle proprie reazioni, la mancanza di ostentazione sono la nota distintiva. L’amore per l’autrice la cui memoria viene omaggiata non la fanno eroina sopra le altre, anzi, si vede come la sua brillantezza è anche consentita dal supporto e dall’amore delle persone che le stanno vicine e la sostengono nella propria vita.

Le interpretazioni sono di prim’ordine e dimostrano molta profondità emozionale, e anche i valori produttivi sono elevati. C’è chi ha lamentato una tensione drammatica limitata. Dal momento che la serie è più incentrata su una tranquilla riflessione emotiva e sui ricordi personali piuttosto che su drammi o conflitti esterni, alcuni ritengono sia un po' troppo sommessa o priva di slancio per coloro che si aspettano una narrazione più dinamica. Chi conosce la letteratura a cui fa riferimento però non può rimanere deluso da questa caratteristica, anzi, perché è proprio un suo punto di forza. Diversa l’obiezione di chi ha visto un eccesso di empatia nei confronti di Cassandra, plasmata negli anni dal proprio dolore e dall’amore per la sorella, nel suo atto di distruggere le lettere di quest’ultima per proteggere la reputazione, il decoro e la privacy suoi e dei propri familiari, mal giudicata per aver compiuto un atto di vandalismo culturale – di circa 3000 lettere stimate ne sono sopravvissute solo 160, probabilmente le più “innocue” (fonte: wikipedia). Personalmente vedo buone ragioni in entrambe le posizioni (distruggere o preservare le lettere cioè) e non so scegliere quella più meritevole da sostenere, perciò mi sta bene la scelta della serie che rimane sospesa sul giudizio. Lo comprende e non lo condanna e questa è, volendo, una presa di posizione, ma preferisco interpretarla come una presa di posizione rimandata a eventuali considerazioni successive quando qui si guarda solo alle motivazioni di Cassandra che agiva come persona del suo tempo con un rapporto personale con un’autrice che poteva stimare ma non poteva sapere quanto importante sarebbe divenuta per i posteri.

Questa specifica narrazione è finzione, ma sembra vera, credibile e coinvolgente, svolta con ragione e sentimento, è il caso di dirlo.

mercoledì 21 maggio 2025

THE WHITE LOTUS: la terza stagione, in Thailandia

La conclusione è stata degna di una tragedia classica, e il cast è di prim’ordine, ma per il resto, la terza stagione di The White Lotus (HBO, Sky Atlantic), sempre naturalmentre firmata da Mike White, è stata sottotono rispetto alle precedenti, pur comunque appassionante.

Ci siamo spostati in Thailandia e al resort vanno tre gruppi che seguiremo durante la vacanza. Ci sono tre amiche dai tempi della scuola, Jaclyn Lemon (Michelle Monaghan), che è diventata una famosa attrice e ha deciso di pagare l’esperienza alle altre due, Laurie Duffy (Carrie Coon), avvocata a New York recentemente divorziata, e Kate Bohr (Leslie Bibb), una texana conservatrice. Presto sono attratte da Valentin (Arnas Fedaravicius), aiutante coach del benessere.

C’è la famiglia Ratliff: padre Timothy (Jason Isaacs), un ricco uomo d’affari che sta avendo gravi problemi finanziari di cui non vuole dire nulla agli altri, la madre Victoria (Parker Posey) amante del lusso e perennemente impasticcata, e i loro tre figli. Saxon (Patrick Schwarzenegger), il figlio maggiore che lavora con il padre, sa di essere un ragazzo dalle attrattive non indifferenti ed è sicuro di sé come seduttore. Piper (Sarah Catherine Hook) è stata la causa del loro viaggio. Convertitasi al buddismo ha infatti detto di voler scrivere una tesi di laurea intervistando un monaco locale, quando in realtà la sua intenzione è quella di trasferirsi per un anno a vivere in monastero e ha voluto cogliere questa occasione per capire se possa andarle a genio; Lochlan (Sam Nivola) è il figlio più giovane e un po’ timido a cui il fratello maggiore vuole insegnare come far colpo sulle donne.

C’è poi una coppia. Rick Hatchett (Walton Goggins), il cui obiettivo non è quello di rilassarsi nel resort di proprietà dell’ex attrice e cantante Sritala (Lek Patravadi) ma di affrontare l’anziano marito di lei e co-proprietario, Jim Hollinger (Scott Glenn), che ritiene responsabile della morte del proprio padre, ha portato con sè anche la ben più giovane fidanzata Chelsea (Aimee Lou Wood, Sex Education) che, a dispetto della differenza di età, è genuinamente innamorata di lui. In loco Rick contatta un vecchio amico, Frank (Sam Rockwell).

In trasferta per imparare in Thailandia dal direttore del centro di wellness Pornchai (Dom Hetrakul) nuove tecniche di massaggio, c’è anche Belinda Lindsey (Natasha Rothwell), che avevamo già conosciuto perché direttrice della spa del White Lotus alle Hawaii, che viene poi raggiunta dal figlio Zion (Nicholas Duvernay). Con sorpresa trova lì Gary (Jon Gries), che riconosce come il vedovo e lei sospetta l’assassino di Tanya McQuoid con cui in passato era intenzionata a mettersi in affari prima che quest’ultima si tirasse indietro. Lui, divenutone l’erede, è ricchissimo e frequenta una giovane donna, Chloe (Charlotte Le Bon). Al resort, sotto la direzione di Fabian (Christian Friedel) lavorano anche Mook (Lalisa Manobal, a quanto pare una superstar nel suo Paese), coach del benessere, e Gaitok (Tayme Thapthimthong), timida guardia di sicurezza che è innamorato di lei.

SPOILER PER LA TERZA STAGIONE

Il percorso più affascinante e forse quello più affine a un tema conduttore di tutte le stagioni della serie, ovvero quello che il denaro corrompe, è quello di Belinda e di Piper, che arrivano a delle scelte diametralmente opposte a quelle con cui hanno iniziato. Piper, che si era vantata di dare poco peso al denaro e alle comodità, tutta protesa a una vita spirituale, ha conosciuto se stessa meglio realizzando di essere molto più attaccata alla bella vita di quanto non credesse; Belinda si considerava integerrima nel non sorvolare sul fatto che si trova davanti un presunto assassino, anche di fronte alla più grossa somma di denaro, salvo poi cedere invece e, cosa emotivamente ustionante, la vediamo fare a Pornchai, con cui aveva fatto progetti di aprire un’attività, quello che Tanya aveva fatto a lei, noncurante della sua situazione e dei suoi sentimenti. Davvero caustico, graffiante, corrosivo. E per quest’ultima in particolare davvero una corruzione dell’io che abbiamo visto sbriciolarsi più gradatamente, memori anche del suo storico. In fondo, per motivi diversi anche Gaitok tradisce se stesso, mite e non violento, per conquistare il cuore di Mook che lo vuole più ambizioso e macho.

La vicenda più piccante e chiacchierata, e godibile anche perché a tratti giocata in termini umoristici, è stata quella di Saxon e il fratello Lochlan e il loro rapporto incestuoso: Lochlan bacia il fratello (3.05) e poi successivamente Saxon si rende conto con dei flashback di semi-lucidità che quest’ultimo lo ha masturbato (3.06), e il suo imbarazzo e disgusto, sono stati fulcro di tanta attenzione. Con il fatto che entrambi erano sotto l’effetto di sostanze in quello che è partito come un ménage à trois con Chloe ha fatto sì che la questione diventasse meno “problematica” di quanto non avrebbe potuto diversamente essere, ma ugualmente è stata significativa, anche perché ha messo in crisi la mascolinità performativa del fratello maggiore, rivelandone la fragilità e rendendolo  molto più umano e di spessore di quanto non sembrasse inizialmente, indagando anche questioni di potere e identità. I tre fratelli Ratliff, mostrati all’arrivo metaforicamente come le tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo”, sono ri-mostrati come trio al ritorno con un parallelo ma ben diverso aspetto.

Le tre amiche, apparentemente legatissime ma poi pronte a sparlare l’una dell’altra fra loro alla prima occasione in cui una si assenta, è stata una disamina veritiera di alcune dinamiche femminili, ma concordo con chi ritiene che la serie non si sia guadagnata attraverso una adeguata costruzione narrativa quella che è la conclusione finale del loro rapporto, espressa in chiusura di vacanza da Laurie, durante l’ultima cena al resort, anche se per me rimane vero almeno per alcuni dei personaggi, e penso in particolare a Timothy, che ha avuto pensieri intrusivi di suicidio per tutta la stagione. Vista anche l’ambientazione, uno dei focus è stata la spiritualità. Che cosa ci fa andare aventi e che cosa è qualcosa a cui ci aggrappiamo come se fosse una religione? Per tutti i personaggi è qualcosa di diverso. Laurie in un breve monologo dice che per lei questo qualcosa è stato il lavoro, poi ha creduto lo fosse l’amore, che si è rivelata una religione dolorosa, successivamente ha sperato che a salvarla fosse il diventare madre. Alla fine la sua illuminazione è stata quella di non avere un sistema di credenze, ma si è resa conto – e questa è la lezione morale ultima della stagione – che non ha bisogno di religione e di Dio per dare un senso alla propria vita, perché è l’hic et nunc del tempo trascorso con le persone a cui si vuole bene quello che dà senso, quello che conta.  

Il marchio di fabbrica del ritrovamento di un cadavere nella scene d'apertura, con la soluzione riservata per la chiusura, rimane un espediente tensivo che funziona, rinforzato da piccoli dettagli in corso di via che ti fanno immaginare ora l’uno ora l’altro come possibile vittima. Questa eccitazione immaginativa rimane un buon propulsore. Ammetto che è stata una delusione la variazione della musica sui tableaux animati dei titoli di testa. Per il resto visivamente la serie rimane uno spettacolo, e ti porta in vacanza, ma in quel senso non c’è dubbio che la satira del capitalismo che mette in scena  ̶ dei soldi che non ti rendono meno infelice, dello stress che non ti fa mai staccare da una tecnologia che porta miseria, degli eccessi che non riescono ad anestetizzarti, delle apparenze che nascondono tensioni sommerse, del privilegio di gente che vede gli altri come persone da fruttare a proprio vantaggio  ̶ , riguardano gli americani, e americani in vacanza appunto. I locali, nel senso delle persone del luogo, per quanto presenti, sono un pensiero secondario.  C’è stato tanto su cui riflettere in ogni caso, anche sul potere corrosivo dei propri pensieri (penso a Rick in particolare).  

Già ci sono ipotesi su dove potrà essere ambientata la quarta stagione.

lunedì 12 maggio 2025

MEDICI COME PAZIENTI: su ME/CFS, Long-COVID, Lyme cronica, PAIS

Solitamente non parlo di film in questo blog, ma solo di programmi televisivi, ma in questo caso faccio un’eccezione perché il film documentaristico in questione, uscito solo qualche giorno fa, è su YouTube e riguarda la patologia di cui soffro io e di cui oggi si celebra la giornata mondiale di sensibilizzazione.

Doctors as Patients, Medici come Pazienti cioè, tratta perciò di Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica (ME/CFS), ma anche di Long-COVID, Lyme cronica, PAIS (Sindromi infettive post-acute) ed è firmato da Anil van der Zee, lui stesso un paziente, che ne ha curato regia e montaggio.

La particolarità? Come è facile intuire dal titolo, a parlare sono medici che sono diventati loro stessi pazienti e hanno dovuto abbandonare il lavoro a pausa del proprio stato di salute. Si tratta di una prospettiva originale, che non mi risulta mai adottata prima, e molto efficace. Sappiamo di medici che soffrono della nostra patologia, e talvolta ne parlano anche da pazienti, ma spesso, anche per ragioni professionali, dal momento che si tratta di una disabilità invisibile, preferiscono non fare coming out, per così dire, come malati. Lo stigma è ancora profondo. Rispetto chi per ragioni varie preferisce non dirlo, ma applaudo chi ha il coraggio di farlo. Forte della propria competenza professionale la loro testimonianza ha più peso.

Vengono loro poste diverse domande, a cui rispondono proprio dalla loro prospettiva particolare di professionisti della salute. In ogni caso, con un linguaggio accessibile. Uno degli elementi di maggiore impatto è proprio quello che è stato scelto come esergo del film, ovvero

“Ho imparato di più quando sono stata promossa a paziente”

- Jolien Plantinga, medica di medicina generale

L’originale è in olandese, ma è ora disponibile anche con i sottotitoli in italiano. La traduzione nella nostra lingua l’ho fatta io stessa: https://youtu.be/J0ywwLIfH_w

giovedì 8 maggio 2025

SOMEBODY SOMEWHERE: una potente, intima terza e ultima stagione

Ha chiuso i battenti con una spettacolosa terza stagione Somebody Somewhere, con il suo tono agrodolce, sempre sul confine fra lo spezzarti il cuore e il farti ridere.

In “Margarini” (3.01) ci sono grandi cambiamenti per la gran parte dei personaggi: Joel (Jeff Hiller), il migliore amico della protagonista, decide di andare a vivere con il suo innamorato Brad (Tim Bagley), la sorella Tricia (Mary Catherine Garrison) ha divorziato ed esce con vari uomini, l’amico Fred Rococo (Murray Hill) ora che è sposato deve mettersi a dieta per la salute e non può più incontrarla al solito locale dove pranzavano insieme, perfino la fattoria del padre ora è stata data in affitto a qualcun altro, un europeo dei Paesi nordici, Víglundur 'Iceland' Hjartarson (Ólafur Darri Ólafsson). Tutti hanno qualcosa da fare e Sam (Bridget Everett) rimane da sola. Viene tentata di adottare un cane, ma alla fine anche quello le sfugge.

La serie è stata ancora una volta la celebrazione dell’amicizia e dell’amore in senso ampio, familiare ed amicale prima ancora che romantico, con momenti toccanti come quello in cui Brad canta a Joel una canzone d’amore. Mai a suo agio nell’esprimere i propri sentimenti, chiede a Sam di insegnarglielo e alla fine è lei a cantare lì dove lui non è in grado di farlo. O in chiusura, quando nella series finale (“AGG”, 3.07) sono tutti riuniti proprio per celebrare l’amicizia reciproca, e ancora una volta Sam canta, mostrando il potere comunicativo, evocativo, liberatorio, catartico di questa forma di espressione vocale. E il balsamo che è la condivisione lo si vive attraverso il rapporto Sam-Joel, come in passato, ma anche attraverso la crescente intimità emozionale con la sorella, che sia quando lei si becca la clamidia o quando la difende credendola offesa da un uomo che le interessa, “Iceland”, che ha affittato la fattoria del padre.

L’amicizia è la forma ultima di riscatto e di salvezza dalla scarsa autostima che Sam si porta dentro. Ci viene ricordato  ̶  in “Nums Num” (3.05) ad esempio, la puntata di Thanksgiving  ̶  che non conosciamo mai l'interiorità altrui e quali emozioni ci possano essere subito sotto la superficie. Ci sono momenti in cui la nudità fisica di Sam, a una visita medica, è anche metaforica. La dottoressa le dice che ha zuccheri e colesterolo troppo alti, artrite a un ginocchio, che deve dimagrire: è come se Sam percepisse che tutti le dicono che lei non va bene, che c’è qualcosa di sbagliato in lei. Le piace “Iceland”, e a lui piace lei, ma la sua insicurezza le fa credere che nel momento in cui lui dovesse conoscerla sul serio non gli piacerebbe più, e così auto-sabota una possibilità di felicità. È attraverso uno scambio molto umano, terribilmente reale con persone che ci tengono a lei che questa cruda vulnerabilità viene a galla e si prova a superarla. Con rispetto e amore. Attraverso gli occhi altrui impara a volersi bene e a prendersi cura di se stessa. E quanto coraggio ci vuole.

Sono contenta che, pur nelle difficoltà, abbiano deciso di mostrare Sam che ha interesse per un uomo. Qualche critico l’aveva letta come lesbica solo perché non stava con qualcuno e aveva amici tutti fondamentalmente della comunità LGBTQ+. Lo avevo trovato stereotipico e ingannevole, nel senso che nulla si era detto in tal senso e poteva essere asessuale, o semplicemente senza qualcuno per le motivazioni più varie. La verità delle persone è più varia e indefinita delle categorie in cui vogliamo infilarle, e sono stata proprio contenta di vedere che il fatto di non averla vista con un uomo e con amicizie “queer” (nel senso non offensivo del termine) non sia stato fatto equivalere a un’identità necessariamente tale.

Si riesce ad essere grandi e potenti nelle vicende minime e apparentemente ininfluenti. Scrive bene Kathryn VanArendonk su Vulture, quando dice: “Non succede quasi nulla, ed è per questo che Somebody Somewhere è la migliore serie televisiva di quest'anno e uno dei grandi show televisivi di quest'epoca. Fa esattamente tutto nel modo sbagliato, secondo le attuali regole della televisione. La maggior parte delle serie recenti deve giustificare la propria esistenza con le dimensioni: la grandezza delle star, la proprietà intellettuale, il budget, la reputazione dello showrunner, l'universo narrativo collegato, la posta in gioco. Somebody Somewhere è minuscola: una storia splendida, introspettiva e intima su una donna con problemi devastantemente banali, il cui ostacolo principale è il suo stesso doloroso senso di dolore e dislocazione. (...) Le sue vittorie e le sue complicazioni rimangono sviluppi modesti, insignificanti per i  tipici standard televisivi e monumentali sulla scala della vita quotidiana (un divorzio, una tempesta, una conversazione difficile, una morte)”.

La nota di speranza e di gioia con cui termina la serie è proprio quella del quotidiano esserci gli uni per gli altri, condividendo dolori e gioie: è la vita. Mi unisco al loro brindisi.