martedì 10 giugno 2025

BLACK MIRROR: la settima stagione

Black Mirror, dopo una virata verso un Red Mirror (ne avevo parlato qui), con la settimana stagione è tornata quella di prima, con mia soddisfazione. Gli episodi sono tutti scritti da Charlie Brooker, in qualche caso accostato da altri sceneggiatori. Tecnologia, vita digitale e intelligenze artificiali sono perciò al centro delle vicende. Forse non dice nulla di particolarmente originale, ma è una solida stagione. Segue un’analisi episodio per episodio.

ATTENZIONE SPOILER

 


COMMON PEOPLE – GENTE COMUNE

Tristissima e graffiante, disperata e accusatoria, la prima delle nuove puntate, “Common people” (7.01) è una caustica denuncia della mercificazione della salute e della medicina che impone costi sanitari proibitivi alla gente che, persone comuni appunto, non possono sostenerle se non rinunciando alla propria dignità e umanità. Gli esseri umani non sono visti come tali, ma come abbonati di servizi che ti succhiano sempre di più con la promessa di qualcosa di sempre migliore, con il risultato di offrirtelo sì, ma di rovinarti la vita nel frattempo. Siamo in un prossimo futuro in cui sono api robot ad impollinare i fiori. Una giovane insegnante, Amanda (Rashida Jones), che con il marito Mike (Chris O'Dowd), che lavora come saldatore, sta da tempo cercando di avere dei figli, ha un malore ed entra in coma a causa di un tumore al cervello. Mike viene approcciato da Gaynor (Tracee Ellis Ross) della Rivermind, che gli parla di una nuova tecnologia capace di risanare la moglie. Clonano la parte del cervello che poi le asportano, che viene rimpiazzata da tessuto sintetico. Dal back-up del loro server, poi, ritrasmettono in modalità wireless i dati della funzione cognitiva al cervello della donna, dietro pagamento di un canone mensile. La copertura geografica è limitata e Amanda è costretta a dormire molto, ma il marito si sobbarca volentieri turni extra di lavoro pur di tenere in vita la moglie. A poco a poco, il piano della Rivermind ha delle funzioni sempre più sofisticate a un prezzo sempre più alto a cui ci si può abbonare, diversamente, Amanda si ritrova a pronunciare frasi pubblicitarie di cui non è consapevole nel bel mezzo della conversazione, ad esempio promuovere una marca di cereali al miele quando parla delle api ai propri studenti, o suggerire un lubrificante mentre fa sesso col marito e altre cose ancora più problematiche, tanto che le costano il lavoro. Ed è costretta a dormire sempre di più. Pur di far sopravvivere la moglie, Mike fa ogni tipo di lavoro e comincia a far soldi un Internet prestandosi alle sfide più umilianti (tipo bere la propria urina, usare una trappola per topi sulla propria lingua o togliersi un dente in diretta). La situazione diventa sempre più insostenibile: per avere un figlio dovrebbero pagare una cifra ulteriore. Un anno dopo sono allo stremo: Mike, su richiesta della moglie, la soffoca con un cuscino mentre lei promuove l’ennesimo prodotto. La denuncia di un mondo che dà un prezzo ad ogni cosa, di come questo diventi sempre più alto e insostenibile dalla gente comune non potrebbe essere più esplicito e tagliente.

 


BÊTE NOIRE – BESTIA NERA

Una brillante creatrice di nuovi cibi al cioccolato, Maria (Siena Kelly), si vede assumere nella sua azienda una vecchia compagna di scuola, Verity (Rosy McEwen), che lei ricorda come una tipa strana, una nerd del computer che veniva pesantemente bullizzata e isolata. All’improvviso Maria inizia a notare che nella sua vita ci sono piccoli eventi che sono diversi da come lei li ricordava, anche se avrebbe giurato di che la sua versione fosse quella corretta e di avere ragione. Ad esempio era convinta di aver mandato una mail con una specifica indicazione e non era così, o ricorda il nome di un locale con una lettera diversa…La situazione peggiora e lei si rende conto che dietro c’è Verity, che vuole vendicarsi degli abusi subiti da ragazza, finché non scopre che lei riesce a cambiare la realtà attraverso una  serie di computer collegati a un suo pendente, sintonizzando le frequenze a una delle realtà parallele in cui quei che lei dice è sempre stato vero. In questo modo la realtà è qualunque cosa lei voglia. L’episodio, pur con il suo fascino e la sua inquietudine nel mostrare qualcuno la cui realtà e verità cambiano in modo non riconoscibile, alla “Ai confini della Realtà”, minando le certezze sulla propria sanità mentale, è la più irreale delle puntate, soprattutto nelle estreme conseguenze in cui la si vede arrivare, tuttavia riflette sulla manipolazione delle informazioni, poiché ci si trova in una sorta di deep fake portato alle estreme conseguenze, oltre che su come le cattiverie e le maldicenze che si è costretti a subire non te le scrolli di dosso facilmente rimangono anche se diventi “imperatrice dell’universo”.

 


HOTEL REVERIE (titolo invariato in italiano)

Un’attrice di successo che ama i vecchi film che le fanno sognare l’amore, Brandy Friday (Issa Ray), accetta di partecipare a un remake di un grande classico romantico che adora, “Hotel Reverie”, non sapendo esattamente a che cosa va incontro, nel ruolo della protagonista che nell’originale era un uomo. Quello che rende speciale la produzione è che le riprese non sono tradizionali, ma immergono la sua coscienza in una quinta dimensione facendo sì che le sue sinapsi di interfaccino con la storia che per i personaggi del film è una realtà vera e l’unica che conoscono. Inizialmente tutto procede per il meglio, finché una serie di incidenti di percorso non la costringono ad andare fuori copione e a rivelare la situazione alla protagonista femminile della storia, Dorothy (Emma Corrin), con cui vive un’autentica storia d’amore. Se non chiude però con le battute finali del copione originario, lei rischia di rimanere intrappolata della realtà della pellicola per sempre. La puntata, malinconica e delicata e con una certa tensione, riflette su un tema che già in passato è stato trattato dalla fantascienza (penso ad esempio a Star Trek: TNG) ovvero quello della possibilità di una coscienza dei personaggi di finzione, confinati dalla storia in un ruolo ma passibili di una propria identità, e della possibilità che una simile situazione si verifichi ora che abbiamo l’intelligenza artificiale.

 


PLAYTHING – COME UN GIOCATTOLO

Un talentuoso ma timido recensore di videogiochi, Cameron Walker (Lewis Gribben) sottrae l’ultimo progetto di un famoso ideatore (Will Poulter, The Bear) di nuovi games, dal titolo “Thronglet”. Da anziano (Peter Capaldi) viene arrestato, o meglio fa in modo di farsi arrestare, come presto si scopre, e racconta la sua storia a un poliziotto e una psicologa che lo interrogano rispetto all’omicidio di un uomo di cui non conoscono l’identità che è stato trovato a pezzi in una valigia. Spiega così di aver sviluppato un profondo legame con le creature digitali del videogioco, con cui riusciva a comunicare grazie all’utilizzo di droghe che il defunto gli procurava. Quando questi le aveva uccise per puro divertimento, lui che curava amorevolmente queste creature, per le quali si era anche fatto impiantare nel cranio una porta  cerebrale per ospitarli dentro di sé, aveva reagito con violenza uccidendolo. Il suo obiettivo di farsi arrestare ora, era di permettere ai Thronglets di prendere il controllo del server centrale del governo attraverso le telecamere di sicurezza e riprogrammare la mente umana. La puntata, in cui si possono leggere dei riferimenti biblici (la mela del paradiso terrestre, Caino e Abele), indaga la violenza dell’umanità come specie, e anche in questa prospettiva ci si interroga sull’apprendimento delle intelligenze artificiali. Il protagonista sviluppa una coesistenza simbiotica con degli esserini digitali, che imparano tutto da lui e da quello che lui immette loro. Mimano il comportamento sociale umano. Se vedono violenza, imparano violenza. Che cosa stiamo insegnando alle intelligenze artificiali con cui noi interagiamo ogni giorno?

 


EULOGY  (titolo invariato in italiano)

Un uomo maturo, Philip (Paul Giamatti) viene a sapere della morte di un suo vecchio amore, Carol, una donna con cui ha perso i contatti da tempo e che da ragazzo lo ha fatto molto soffrire, quando viene contattato da Eulogy, una compagnia che realizza dei funerali di esperienza immersiva, grazie alla condivisione dei ricordi delle persone che avevano conosciuto la defunta in vita. Lui ha fatto di tutto per dimenticare, compreso eliminare il volto dell’amata da tutte le foto che li ritraevano insieme. Grazie all’aiuto di un avatar, The Guide (Patsy Ferran, Miss Austen), cerca di ricostruire quella parte del proprio passato, ripercorre quando era accaduto finendo anche per rileggere gli eventi in una nuova luce. Nel più lirico e nostalgico degli episodi di questa stagione, si affronta il tema della memoria, del valore dell’essere ricordati e di quello che ci spinge a conservare le nostre tracce mnestiche o a volerle cancellare, sulla necessità o meno di dimenticare, sul valore delle foto per come riportano in vita sentimenti ed esperienze passate e di come ricostruiscono per noi realtà lontane, sulla possibilità di riesaminare il passato con occhi nuovi, propri e di altri, e sull’appropriatezza di condividere aspetti della vita più o meno privati. Una puntata delicata, eppure incisiva, fatta anche di rimpianti. E poi, più che dalla puntata da un evento che troppo spesso si verifica nella vita reale, un monito: assicuriamoci che i messaggi rilevanti di vita che siamo convinti di aver trasmesso a qualcuno, siano davvero stati ricevuti – anche se non c’entra, come ho ripensato alla vita reale di William Howell Masters a questo proposito (che si era dichiarato al suo grande amore, si era creduto respinto quando lei in realtà non aveva mai ricevuto il suo messaggio).

 


USS CALLISTER: INTO INFINITY - USS CALLISTER: INFINITY

Sequel dell’episodio della quarta stagione USS Callister, che partiva da una rivisitazione parodistica di Star Trek, questo “Into Infinity” vede l’equipaggio della USS Callister intrappolato nel videogioco Infinity. Per sopravvivere, guidati da Nan (clone di Nanette) Cole (Cristin Milioti), vivono come pirati digitali che rubano ai milioni di utenti della vita reale il necessario per non essere cancellati. Per loro non è una vita virtuale da cui possono staccarsi a piacimento, è la vita reale. Per sfuggire da questa situazione intendono anche hackerare i server per ottenere uno spazio tutto loro. Attraverso Walt, il clone rigenerato del CEO James Walton (Jimmi Simpson), che scoprono essere vivo, e che nella sua controparte reale vuole in realtà eliminarli, vogliono raggiungere il cuore di Infinity dove chiedono alla versione digitale dell’ideatore del gioco Robert Daly (Jesse Plemons), morto nella vita reale, di fondere le loro coscienze con quelle del loro mondo reale. Lui, pur vedendosi come un eroe, è uno psicotico disperato di contatti che cerca di ottenere con la forza quando viene respinto. Aveva creato cloni digitali senzienti di persone reali, una tecnologia in sé fuorilegge, con l’obiettivo di abusare di loro. Messa alle strette dall’ennesimo tentativo di abuso, per salvarsi la vita, Nan lo uccide e si attiva l’autodistruzione del gioco, ma non prima che i suoi compagni siano stati copiati nella sua testa. Ricca di suspense e colpi di scena l’episodio si apre anche alla possibilità di un ulteriore sequel, esamina un tema caro a questa stagione che è quello della identità e della coscienza delle creature virtuali, ponendosi interrogativi etici sulla natura della vita digitale e sulle sue potenziali conseguenze, compreso il diritto alla vita della creature virtuali. Come ben argomentato su Nocturno in un notevole pezzo, si affrontano anche i temi della depressione, dell’isolamento, della misoginia e della cultura incel.