Attenzione! Ci sono spoiler sulla prima parte della seconda stagione.
Pretty Little Liars ha chiuso la prima parte della seconda stagione (2.10) con le quattro protagoniste sospettate di avere a che fare con l’omicidio di Alison. Sono tutte vestite a festa con abiti color rosa-champagne che hanno indossato per le nozze del padre di Hanna e, lasciata la cerimonia, sono sporche di terra per aver scavato il terreno dove credevano che la loro psicologa fosse stata sepolta viva, quando in realtà è viva. La polizia le trattiene al commissariato perché per farlo, oltre alle nude mani, hanno usato anche una pala che era stata l’arma che è servita ad uccidere la loro amica.
Osservando la serie si può notare quella che è la cifra stilistica del drama adolescenziale, quella che penso di poter definire un’estetica del teasing.
È difficile trasferire con una sola parola in significato di teasing in italiano, parola che peraltro può avere tanto una valenza positiva che negativa. Il teasing in un primo senso può essere una presa in giro, che può essere scherzosa o amichevole, ma anche invece “una forma di bullismo o abuso emozionale”, come scrive wikipedia nel link sopra fornito, e che “se fatto in pubblico, può essere considerato come umiliazione” e che dal punto di vista della vittima può spesso ferire chi ne è oggetto. In un secondo senso però il teasing è anche una sollecitazione che provoca, stimola, alletta, indipendentemente dall’appagamento che ne può o meno derivare, è la “provocazione della curiosità e del desiderio e può di fatto non comportare l’intenzione di soddisfare o rivelare”. (Non per niente in gergo televisivo viene chiamato teaser il pezzettino di storia che va in onda prima della sigla d’apertura – è quello che ti provoca a vedere di più).
Pretty Little Liars è indubbiamente un esercizio in teasing, su più livelli.
Su un primo livello, in qualche modo più contenutistico, quello a cui assistiamo nell’affabulazione è un continuo teasing delle protagoniste che vengono perseguitate dalla fantomatica A. La trama non è che un susseguirsi di messaggi e imposizioni e ricatti e umiliazioni di “A” che tiene come marionette al suo comando Aria, Hanna, Spencer ed Emily. Prendiamo alcuni esempi dalla seconda stagione. Emily, vittima preferita in questa tranche, volendo restare in città e non trasferirsi con i suoi, aveva scritto una finta lettera in cui si diceva che avrebbe avuto la borsa di studio per il college se si fosse fermata. Non se l’era sentita però alla fine di imbrogliare i propri genitori e aveva deciso di non spedirla. A la fa arrivare lo stesso ai genitori Emily e, nel cestino dove lei era convinta di averla gettata, trova un biglietto che le dice “Non si più giocare a gatto e topo se il topo si trasferisce in Texas. Ho bisogno di te qui. Congratulazioni Em! – A” (2.03). Tornata a scuola dopo che è finita in ospedale per ormoni della crescita che le sono stati somministrati a sua insaputa, nella scatola dei cereali che hanno la forma delle letterine trova tante piccole “A” (2.10). Va a fare dei massaggi e solo alla fine si rende conto che ad averglieli fatti non era stata la massaggiatrice, ma A che le fa avere un SMS in cui le dice “Visto come è facile per me metterti le mani intorno al collo?” (2.10). La sfilata di beneficienza rovinata da un CD in cui le immagini della defunta vengono condite di insulti e prendono fuoco (2.06) le attacca davanti a tutti. Le bambole ricevute da ciascuna con le istruzioni con quello che devono fare se non vogliono che la dottoressa Sullivan, che credono rapita, muoia, le obbliga a una lotta contro il tempo per salvarla… E il senso di persecuzione e paranoia è reso ancora più forte, pressante e costante da tanti piccoli dettagli (il poliziotto di cui non potersi fidare, il genitore che vuole tenere nascosta la presenza di un pezzo una mazza da hockey sepolta in giardino, i movimenti sospetti del fratello della vittima, la psicologa ascoltata da una cimice, i membri del misterioso N.A.T....). Non le lascia mai.
Su un secondo livello, volendo più stilistico, c’è un continuo teasing messo in atto nei confronti dello spettatore che si trova la tantalica promessa di una soluzione che non arriva mai. Possiamo prendere due esempi eclatanti. Ian, che le ragazze hanno creduto colpevole della morte di Alison già per gran parte della prima stagione, alla fine muore, impiccato all’interno del campanile di una chiesa, ma poi il corpo sparisce (1.22). Agli inizi della seconda stagione sospettano che sia ancora vivo e in contatto con la sorella di Spencer. Quando finalmente lo trovano morto e con una confessione in cui si autoaccusa dell’omicidio di Alison (2.04), in teoria ci dovrebbe essere una risoluzione di qualche tipo, ma ecco che le quattro ragazze vengono richiamate in cimitero dove, fra le lapidi, viene proiettato il video sulla base del quale lo hanno sempre creduto colpevole, ma ora con un addendum che in passato non avevano mai visto, ovvero delle immagini che dimostrano che quando Ian ha lasciato la compagnia di Alison, questa era ancora viva (2.05). La soluzione, per un momento apparentante raggiunta, non c’è affatto, viene ancora una volta rimandata. Veniamo sempre perennemente teased. Non è come in Veronica Mars, dove alla soluzione si arriva con epifanie che riscrivono la realtà, ma che danno un senso di raggiungimento della verità per approssimazioni successive. Qui siamo in un circolo vizioso, e senza uscita. Quanto al secondo esempio, pensiamo a quando le ragazze finalmente decidono di confidarsi con la dottoressa Sullivan e dirle che vengono tormentate da A (2.11). Verso la fine della puntata, la psicologa le chiama con la promessa di una rivelazione: “So chi è A”, anticipa nel convocarle in fretta e furia. Quando le ragazze arrivano al suo studio lei è scomparsa nel nulla. Ancora una volta c’è stata una provocazione con la promessa di un piacere (il teasing dell’agnizione di A) e la negazione dello stesso a favore di una nuova situazione di incertezza. C’è un teasing and denial (chiaramente non usato da me qui in senso sessuale, come spesso si intende con questa dicitura) per poter mettere in alto un nuovo teasing. Lo spettatore fa esperienza di una sorta di sensucht, di anelito verso qualcosa di mai appagato.
L’ideatrice I. Marene King, in un’intervista ad Entertainment Weekly (June 17, 2011), dice rispetto all’identità di A: “Non penso che la scoprirete fino all’ultimissima puntata del programma.” Fino alla fine sarà solo teasing, insomma. Questa comune esperienza, paventata e deleteria per i personaggi, presumibilmente cercata e goduta per lo spettatore, in qualche modo li associa nell’essere oggetto di questa tecnica. Così come la medesima filosofia estetica associata tanto a contenuto, quanto a forma la cementa in modo molto forte.
Questi due aspetti del teasing sono anche metaforici della condizione adolescenziale. Nel primo senso di bullismo, i tormenti delle quattro eroine sono i tormenti della loro età, spesso ma non sempre ignorati dai genitori. La dottoressa Sullivan chiamata a parlare davanti a un nutrito gruppo di studenti, comprese le ragazze che così si sentono “esposte”, afferma (la traduzione è mia): “La pressione a cui siete sottoposti in questo momento può essere molto intensa: scegliere il college giusto, entrarci, lasciare casa. Può fare paura. Qualche settimana fa il vostro preside mi ha chiamata per parlarvi di alcune delle dure scelte che state affrontando. Ma come potete fare una qualunque buona scelta, quando non vi sentite al sicuro. Molti di voi non si sentono al sicuro. Sentite che non potete fare una mossa senza che qualcuno vi giudichi, vi sfidi, o peggio, vi minacci. I bulli sono in giro da quando il primo uomo delle caverne ha inventato il club. Quando ero a scuola io l’atteggiamento era “i ragazzi sono crudeli, ma essere malmenati un po’ forma il carattere”. I bulli di oggi possono causare molti più danni, hanno armi migliori. Possono continuare a premere “invio”, ancora e ancora, e nascondersi dietro l’anonimato di un SMS o di una e-mail, e non si può essere più codardi di così.” Poi suggerisce alle eventuali vittime di farsi avanti e parlare perché è l’unico modo per fermare questo genere di bullismo. La spiegazione dell’allegoria, semmai ce ne fosse bisogno, è così presentata su un piatto d’argento. Tra parentesi si nota anche con piacere lo sforzo sinergico messo in atto dalla rete ABC Family, che proprio in contemporanea con gli episodi, sta mandando in onda una serie di spot di una campagna contro il bullismo digitale, di cui ho parlato in un post di luglio, a cui partecipano anche alcuni degli attori di PLL. L’allegoria però, è anche nel senso dell’adolescenza tout court come momento della vita che è un perenne teasing verso l’età adulta. Si tende verso il seguito, verso “la soluzione dell’adolescenza”, ma quando questa viene raggiunta, quando il teasing cessa, è la fine dell’adolescenza.
In un tiro alla fune fra piacere e frustrazione, davvero Pretty Little Liars ha elevato la sua estetica del teasing a forma d’arte.
riflessione molto interessante su una serie a suo modo parecchio geniale. e, come conferma la tua analisi, più profonda di quello che può sembrare in superficie..
RispondiEliminaHai ragione, Marco, PLL è una serie "finta scema".
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