In Living with Yourself (Netflix), Miles (Paul Rudd) è un uomo maturo insoddisfatto
di se stesso e della vita: è un copywriter in una agenzia pubblicitaria, ma
ormai ha perso lo stimolo creativo di un tempo, e sebbene innamorato della
moglie Kate (Aisling Bea), un’architetto d’interni, il rapporto è ormai
piuttosto statico, annoiato. Non riescono ad avere figli e lui non si decide
mai ad andare alla clinica di fertilità dove lei ormai da tempo lo spinge a
recarsi. Un collega gli segnala una spa
che gli ha cambiato la vita, un centro per migliorare le stesso. Vi si reca e
presto si scopre il fattaccio: lo hanno clonato in modo tale da creare una
perfetta copia di se stesso solo geneticamente migliorata, ma qualcosa è andato
storto, e adesso ci sono due versioni di sé, quella vecchia e quella nuova.
La premessa di questo
dramedy fantascientifico, spassosa ma allo stesso tempo con una potenziale gravitas
esistenziale non indifferente, non riesce a realizzare il proprio potenziale. La
commedia e la tragedia del trovarsi faccia a faccia e del confrontarsi non solo
con se stessi, ma con una versione migliore di se stessi, con il sé che si
sarebbe voluto ma non si è riusciti ad essere, avrebbe potuto essere migliore
di così.
Counterpart con questo stesso tema è riuscito a dire dolorose
e delicate verità in modo molto più
brillante. Qui si echeggia Maniac,
nel desiderio di una “soluzione facile” al miglioramento di se stessi, e non si
riesce né propriamente a far ridere, né a riflettere più di tanto su un altro sé,
se non molto tiepidamente, e più che altro sulla logistica di convivere nella
stessa realtà. The Good Place nel
meditare su come essere persone migliori, ha pescato filosoficamente più a
fondo senza mettere in piazza la modifica
posticcia di qualche gene.
Paul Rudd è molto
convincente nel recitare con se stesso -
un’impresa non certo facile – e la trama fila via spedita e lineare. Non ci
sono esuberi narrativi di cui si sarebbe fatto a meno. La conclusione pure è
piuttosto appagante e lascia spazio a una seconda stagione. Solo, questa creazione di Timothy
Greenberg ha poca sostanza.
Miles si rende
improvvisamente conto di comportamenti che metteva in atto che erano negativi,
e sviluppa un nuovo apprezzamento per la vita e i rapporti che aveva, riscopre
le passioni passate (ad esempio scrivere teatro) È anche critico del suo sé migliorato, ha occasione di riflettere sul tipo di uomo che è stato nel suo
matrimonio, ma fuori da queste osservazioni abbastanza superficiali non ci sono
grandi epifanie, pregnanti rivelazioni. Questa è la più grande pecca di uno
show che è stato una visione gradevole, ma che dubito continuerei.
Avevo persino dimenticato di averlo visto, cosa di cui mi sono ricordata vedendo questo post. E' carino, per carità, e Paul Rudd è sempre Paul Rudd. Però evidentemente non lascia il segno.
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