venerdì 27 marzo 2020

LIVING WITH YOURSELF: gravedole ma superficiale


In Living with Yourself (Netflix), Miles (Paul Rudd) è un uomo maturo insoddisfatto di se stesso e della vita: è un copywriter in una agenzia pubblicitaria, ma ormai ha perso lo stimolo creativo di un tempo, e sebbene innamorato della moglie Kate (Aisling Bea), un’architetto d’interni, il rapporto è ormai piuttosto statico, annoiato. Non riescono ad avere figli e lui non si decide mai ad andare alla clinica di fertilità dove lei ormai da tempo lo spinge a recarsi.  Un collega gli segnala una spa che gli ha cambiato la vita, un centro per migliorare le stesso. Vi si reca e presto si scopre il fattaccio: lo hanno clonato in modo tale da creare una perfetta copia di se stesso solo geneticamente migliorata, ma qualcosa è andato storto, e adesso ci sono due versioni di sé, quella vecchia e quella nuova.

La premessa di questo dramedy fantascientifico, spassosa ma allo stesso tempo con una potenziale gravitas esistenziale non indifferente, non riesce a realizzare il proprio potenziale. La commedia e la tragedia del trovarsi faccia a faccia e del confrontarsi non solo con se stessi, ma con una versione migliore di se stessi, con il sé che si sarebbe voluto ma non si è riusciti ad essere, avrebbe potuto essere migliore di così.

Counterpart con questo stesso tema è riuscito a dire dolorose e delicate verità in modo molto più brillante. Qui si echeggia Maniac, nel desiderio di una “soluzione facile” al miglioramento di se stessi, e non si riesce né propriamente a far ridere, né a riflettere più di tanto su un altro sé, se non molto tiepidamente, e più che altro sulla logistica di convivere nella stessa realtà. The Good Place  nel meditare su come essere persone migliori, ha pescato filosoficamente più a fondo senza mettere in piazza la modifica posticcia di qualche gene.  

Paul Rudd è molto convincente nel recitare con se stesso  - un’impresa non certo facile – e la trama fila via spedita e lineare. Non ci sono esuberi narrativi di cui si sarebbe fatto a meno. La conclusione pure è piuttosto appagante e lascia spazio a una seconda stagione. Solo, questa creazione di Timothy Greenberg ha poca sostanza.

Miles si rende improvvisamente conto di comportamenti che metteva in atto che erano negativi, e sviluppa un nuovo apprezzamento per la vita e i rapporti che aveva, riscopre le passioni passate (ad esempio scrivere teatro) È anche critico del suo sé migliorato, ha occasione di riflettere sul tipo di uomo che è stato nel suo matrimonio, ma fuori da queste osservazioni abbastanza superficiali non ci sono grandi epifanie, pregnanti rivelazioni. Questa è la più grande pecca di uno show che è stato una visione gradevole, ma che dubito continuerei.

1 commento:

  1. Avevo persino dimenticato di averlo visto, cosa di cui mi sono ricordata vedendo questo post. E' carino, per carità, e Paul Rudd è sempre Paul Rudd. Però evidentemente non lascia il segno.

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