Rinnovata per una
seconda stagione, The Unicorn ha come
protagonista Wade (Walton Goggins, The
Shield, Justified), vedovo e ora
padre single di due ragazzine adolescenti, Grace (Ruby Jay) e Natalie (Makenzie
Moss), che cerca di capire come andare
avanti dopo la morte della moglie. È quello che il suo
gruppo di amici definisce un “unicorno” (da cui il titolo), ovvero una brava
persona, senza grilli per la testa,
devota alla famiglia e con un buon lavoro – è un architetto paesaggista –
che è in cerca di una nuova relazione e non ha paura di impegnarsi: una
creatura elusiva che tutte le donne cercano, una rarità insomma. Un DILF (la
versione maschile di MILF), come ha scherzato qualcuno. E i suoi tentativi di
avviare una nuova relazione, sebbene con riluttanza, e il suo ruolo genitoriale
ora che è sua sola responsabilità sono il fulcro di questa commedia scaldacuore
dove il grande motore che fa sì che la vita continui è l’amicizia. Wade può
infatti contare sul supporto, e le spinte, di Forrest (Rob Corrdry, The Daily Show with Jon Stewart) e Delia
(Michaela Watkins, Casual), lui
specialista in risorse umane, lei pediatra, e di Ben (Omar Benson Miller) e
Michelle (Maya Lynne Robinson), genitori oberati di quattro figli.
La serie di ritrova necessariamente
ad affrontare il tema della perdita. In 1.03 il protagonista viene spinto dagli
amici a rivolgersi a un gruppo di aiuto-aiuto di persone che hanno perso
il proprio partner di vita, come modo di
affrontare la propria rabbia. Il primo impatto non è dei migliori, perché le
vedove son tutte donne, parlano molto di sesso e sebbene lui non sia puritano,
si sente fuori luogo. Ci riprova però e riesce a trovare una connessione
proprio sul tema della rabbia, trova la legittimazione a provarne – ha diritto
di essere arrabbiato di quello che gli è successo - e a sfogarla in modo produttivo. La figlia
minore a sua volta trova il modo di manifestare la propria rabbia per le cose
che stanno cambiano e per il modo in cui lei si sente lasciata in disparte.
In realtà però non è
tanto il lutto a farla da padrone. Altrimenti, come After Life, ben ha dimostrato recentemente, uscire con qualcuno che
ha appena subito la perdita di una persona tanto amata tanto facile non è. Qui è
trascorso più di un anno dal funerale e sono le piccole grandi quotidianità
delle vita ordinaria a dominare la scena, in particolare la difficoltà a
trovare una persona con cui si possa davvero andare d’accordo al punto da
condividere la vita su base stabile, con la prospettiva di una persona ormai
matura. La forza del programma è quella di trattare con una certa intelligenza
la propria premessa: anche nel mostrare l’inesperienza del protagonista in certi aspetti dell’educazione delle
proprie figlie, ma di non lo fanno apparire un’inetto ai fini di strappare una
facile risata.
Nulla di quanto accade
sulle schermo è in realtà particolarmente divertente. Si sorride, ma non ci
sono grandi risate, ma c’è un tono fine e gentile che la rende amabile. E in finale
di stagione (1.18), in cimitero, grazie a una puzzola, si mette in campo quello
che con ogni probabilità potrà essere l’interesse sentimentale (Natalie Zea)
del protagonista nel prosieguo delle vicende.
Ideata da Bill Martin,
Mike Schiff e Grady Cooper, questa sit-com non rivoluziona certo il genere, ma
rinverdisce il classico “una famiglia di amici” con un cast davvero di
prim’ordine.
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