Con rammarico devo
ammettere che proprio non mi è piaciuta la nuova incarnazione di Queer As Folk. Premetto che sono una
grande estimatrice della serie britannica (Channel4) originaria del 1999,
ideata da Russell T Davies, per me un vero capolavoro del piccolo schermo, e ho
amato molto anche il remake americano (Showtime, 2000-2005) — su entrambe ho scritto
estensivamente, anche una guida ai singoli episodi proprio in questo blog
(parte qui),
oltre che saggi (qui
e qui)
— e
comprendo anche bene e apprezzo quello che rappresenta, ma il primo pensiero
che ho avuto guardando questo reboot firmato da Stephen Dunn è che senso avesse
presentarsi sotto l’etichetta di Queer as
Folk, perché l’unica vera funzione che ci ho visto io, al di là di vaghi
richiami e riferimenti (il Babylon, la macchina che esplode, il parto nel pilot, Nathan e Canal Street e Manchester nella season finale…),
è quella di avere un “avviamento”, ovvero in un ambiente saturo di proposte fra
le quali è difficile emergere, avere il vantaggio di essere scoperti più
facilmente grazie al traino di un marchio di successo.
Brodie Beaumont (Devin
Way) lascia la facoltà di medicina per tornarsene a New Orleans, dove vivono i
genitori Brenda (Kim Cattrall, Sex and
the city) e Winston (Ed Begley Jr), e il fratello Julian (Ryan O’Connell).
Spera di poter riallacciare i legami con il suo ex, Noah (Johnny Sibilly), un
avvocato. Si reca per una serata al Babylon e la notte in cui si verifica una
sparatoria si prende una pallottola al braccio per salvare Mingus (Fin Argus).
Quest’ultimo è un ragazzo adolescente non-binario che frequenta ancora il
liceo, che aspirano (vogliono il pronome plurale) ad esibirsi come drag queen (belle le sue performance - in particolare quella in 1.07),
cosa che facevano proprio quella sera al locale, incoraggiati dalla madre Judy
(Juliette Lewis, Yellowjackets).
Quella stessa sera Shar, a cui Brodie ha donato il suo sperma, in quanto è la
compagna della sua migliore amica Ruthie, partoriscono (Shar è non binaria e pure loro vogliono i pronomi plurali) due gemelli. Ruthie insegna lettere in un
liceo, e fa i suoi allievi c’è Mingus.
Concedo due aspetti
apprezzabili a questa versione, che sono nello spirito originario. La serie ha
sempre voluto mostrare gay che non si scusano per quello che sono, ma vivono la
propria vita a dispetto di tutto. Questo aspetto è stato preservato. Sono
passati molti anni dalla prima “edizione” e la realtà è cambiata molto, sia in
termini di accettazione sociale condivisa della realtà omosessuale sia anche
solo per la tecnologia, con quello che comporta in termini di socializzazione,
ma le sfide da vincere sono ancora molte e quello che conta rimane sempre la
realtà umana. Anche se, ammetto, certi comportanti a me non sono sembrati tanto
rivendicare il diritto a essere se stessi nel mondo, come li hanno proposti, quando
cattiva educazione (penso specificatamente a Shar e Brodie a cena fuori per il
proprio anniversario).
L’altro elemento significativo
è che QAF aveva saputo mostrare realtà che non si erano mai viste prima. Ab
origine era vedere un uomo adulto avere una relazione omosessuale con un
ragazzo della metà dei suoi anni (con le problematiche del consenso). La
versione americana esordiva dicendo che tutto ruota intorno al sesso. Qui ho riso
quando ho visto che quando appare la schermata che dice che si tratta di una
serie originale del canale televisivo Peacock, aggiungono poi la sottolineatura
a “cock” (che è “cazzo” in inglese), però il sesso non è altrettantro centrale,
si direbbe. Si è scelto in ogni caso di mostrarlo in termini che io
personalmente non avevo mai visto, e lo applaudo. Intanto attraverso Ruthie, un
personaggio trans. So bene che non è il caso di chiedere come “siano fatte” le
persone, che non è appropriato e non sono affari nostri, allo stesso mi rendo
conto di non avere tutta questa esposizione, e come me immagino altri, a corpi
che hanno sia caratteristiche sessuali femminili che maschili, come è il caso
di Jesse James Keitel, che interpreta Ruthie, che vediamo nell’intimità con la
sua compagna Shar (CG). Penso che sia importante averla invece questa
esposizione, proprio perché quei corpi fanno parte delle naturali declinazioni in cui si presenta l’essere umano. Sotto questo profilo apprezzo
che abbiamo mostrato il personaggio nella sua nudità (1.02) nel fare sesso. Per
me è stato significativo. Lo stesso dicasi per Marvi (Eric Graise), che,
amputato, si muove sulla sedia a rotelle: fuori dalla serie Ramy, quando mai si vedono esplorate
le esigenze sessuali dei personaggi con disabilità? Qui lo vediamo copulare,
con le sue gambe a moncherino ben visibili: non credo di averlo mai visto
prima. Necessario. E lo stesso dicasi ancora per Julian, un personaggio con CP,
paralisi cerebrale. La serie, che ha anche una buona iniezione di Pose - e l'interpretazione di Armand Fields ha reso Bussey uno dei personaggi più umani -, è davvero inclusiva e mostra i
vari colori dell’arcobaleno.
Peccato per tutto il
resto: abrasiva, cringy, attivamente
sgradevole, eccessiva solo per esserlo (Vogliamo parlare dell'atroce cena in 1.07?). Non sono nemmeno del tutto convinta della scelta di debuttare con
un evento che ha colpito molto la coscienza collettiva: una sparatoria al
nightclub queer frequentato dagli amici. Certo è un buon punto di partenza per
mostrare la vulnerabilità di queste persone, e come la affrontano come
comunità. Il tema delle conseguenze di aver vissuto un evento traumatico come un
attacco armato, e il lutto, non mi è dispiaciuto. Allo
stesso tempo, per noi che non conosciamo per nulla i personaggi, l’impatto
emotivo è molto limitato. Muore — spoiler minore — Daddius (Chris Renfro),
che era il ragazzo di uno dei protagonisti, ma noi alla sua dipartita diciamo
“chi?”, a mala pena ricordiamo chi era, non esattamente il migliore dei traini.
Siamo a New Orleans, ma anche qui, la città è usata male. Non basta mostrare
due carri al Mardi Gras per trasmettere lo spirito di una città che ho sempre
sentito dire essere gay-friendly. Penso a una serie strepitosa come Treme,
e qui a paragone per me la città è completamente assente. Ammetto che qualche
perplessità l’ho avuta anche su come viene ritratto l’essere genitori,
soprattutto da parte delle neomamme, anche se a seguire la storia fino alla fine si dà anche un senso. La droga poi è sempre stato un leit motiv anche nelle versioni precedenti, ma qui sembra trattata un po' troppo allegramente.
Non scoraggerei nessuno a guardare questa nuova versione di Queer As Folk, ma se venisse rinnovata per una seconda stagione non credo che la seguirei. È stata una delusione.