mercoledì 26 giugno 2024

Un suggerimento: TIM GOODMAN su SUBSTACK

Se leggete questo blog, probabilità vuole che siate appassionati di televisione, o comunque vi interessi approfondire quello che guardate. Se anche conoscete bene l’inglese, vi invito a seguire Tim Goodman, su Substack, come io faccio con costanza.

Probabilità vuole anche, in realtà, che già lo conosciate essendo stato un critico televisivo per una ventina d’anni, dal 2010 al 2019 quello di punta di The Hollywood Reporter e in precedenza per  il San Francisco Chronicle, oltre ad aver scritto per molte altre pubblicazioni.  Ed ha anche insegnato nel dipartimento di Visual Studies del California College of the Arts come professore aggiunto dal 2006 al 2020 e Critica alla Graduate School of Journalism dell'Università della California, Berkeley, tutte cose che potete leggere sul suo curriculum. Io indubbiamente l’ho menzionato in più di un’occasione.

Riesce ad essere estremamente profondo, ma in un modo anche rilassato, e di lui apprezzo moltissimo quello che è espresso nelle righe a seguire, che traduco, che risalgono all’estate scorsa, ma che ha riproposto proprio in questi giorni (qui in originale):

"Non esistono serie televisive perfette, né dovrebbero cercare di esserlo. Tutte le più grandi hanno episodi difettosi in quasi tutte le stagioni, ma mai un'intera stagione che sia stata considerata brutta, o addirittura mediocre (sono un professionista e su questo potete litigare con me più tardi). Se credete nel wabi-sabi, come me, allora tutte le cose veramente belle hanno dei difetti e a volte i difetti contengono la bellezza. Ma in una conversazione strettamente incentrata sulle serie televisive, a volte bisogna amare una grande serie anche se i suoi difetti ci infastidiscono o ci deludono.

I mondi delle lagnanze e della delusione sono (purtroppo, ma questo è un altro discorso) terreno comune per i critici. Parte del lavoro consiste nel trovare i difetti e rivelarli. In teoria, questa abilità ha un valore per la società, perché aiuta le persone a capire cos'è la grandezza e perché, illuminando così contemporaneamente ciò che è meramente buono e perché. (È tutta un’altra questione stroncare le cose veramente orribili, ma io sostengo, o sostenevo, che ci sia un valore anche in quello).

È chiaro che non riesco a spegnere il mio cervello critico tanto spesso quanto vorrei. Ora evito semplicemente le cose brutte (a meno che non mi piaccia la loro bruttezza) e per il resto non ne parlo. Apprezzo gli sforzi artistici buoni e molto buoni, anche se non sono all'altezza di ciò che un critico potrebbe definire grande.

È tutta un'altra impresa amare una serie che azzecca molte cose, ma che inciampa anche quando spereresti che non lo facesse. A volte i passi falsi sono determinanti. A volte sono, beh, diciamo solo sfortunati. E si va avanti. Al giorno d'oggi, sono più interessato al motivo per cui sono disposto ad andare avanti e a continuare ad abbracciare qualcosa quando fallisce. Se questo vi sembra strano, beh, probabilmente non siete dei critici (e siatene riconoscenti). In passato, troppe volte un'ottima serie è stata vicina alla grandezza, ma continuava a commettere degli errori banali, degli errori di valutazione privi di logica, e io non riuscivo ad abbracciarla completamente. (Il che, se ci pensate, è un modo poco gioioso di vivere la propria vita - ed è per questo che ho detto che dovreste essere grati di essere solo degli spettatori attenti e sagaci, con una reale empatia e senza il tempo di serbare rancore o di essere delusi dalle cose che guardate, invece di essere dei critici – passate oltre, perché siete degli esseri umani normali)”.

Oltre al fatto che penso che le sue parole siano sagge, anche per le relazioni umane in generale, abbraccio io stessa questa filosofia.

Sia come sia, davvero ve lo caldeggio. E non parla solo di televisione, ma anche di cinema, musica, e della vita in generale.

Potete tornare a ringraziarmi in seguito per il suggerimento.  

sabato 22 giugno 2024

Libri e serie TV: sono stata ospite di BOOKATINI


Con mia grande gioia sono stata ospite di “Bookatini”, il podcast per chi è ghiotto di libri, realizzato da Tania Da Ros (mia sorella, nota anche come Libridine) e Francesca Vedovelli, una cara amica.

La puntata a cui ho partecipato, la numero 78, è stata dedicata ai libri da cui sono state tratte delle serie TV. Io ho parlato di The Handmaid’s Tale e di Normal People. Tania ci ha raccontato di Dexter, e Fra ha scelto Ripley.

È stata una gustosissima chiacchierata che vi invito ad ascoltare qui.

sabato 15 giugno 2024

CONSTELLATION: ambizioso, ma confuso

Constellation (Apple TV+) non è stata rinnovata per una seconda stagione: qualcuno ha avuto pietà. Non mancava di ambizione questa serie che presto (1.03) ha reso chiaro quale fosse il proprio concetto ispiratore, colonna vertebrale delle vicende, il principio di indeterminazione di Heisenberg. Peccato che sia stato svolto in modo molto confuso: ti aspettavi che progressivamente ci fosse maggiore senso e chiarezza, ma non arrivava mai. Spesso non si capiva chi era chi, e non mi considero una spettatrice del tutto sprovveduta. Poi si è scaduti in ingenuità risibili.

In questo thriller psicologico fantascientifico ideato da Peter Harness su un concetto di Sean Jablonski, Johanna “Jo” Ericsson (Noomi Rapace) è un’astronauta svedese che lavora per l’ESA sulla Stazione Spaziale Internazionale. Mentre sono impegnati in un esperimento chiamato Cold Atomic Lab (CAL), un oggetto li colpisce e il suo collega Paul (William Catlett) rimane ferito e muore. Jo esce in perlustrazione per valutare i danni e vede il cadavere di una cosmonauta russa. I colleghi sopravvissuti rientrano sulla Terra, lei invece rimane indietro per riparare il modulo di emergenza funzionante rimasto che, nonostante strani fenomeni a bordo, poi riporta a casa anche lei, dove la attendono con ansia il marito Magnus (James D'Arcy) e la figlioletta Alice (Davina Coleman e Rosie Coleman), ma dove desiderano conferire con lei anche l’eroe della NASA Henry Caldera (Jonathan Banks), che dirige l’esperimento che stavano conducendo, e Irena Lysenko (Barbara Sukowa), capo del volo della Roscosmos.

Tornata sul nostro pianeta però, la donna trova la realtà che la circonda e le persone intorno a lei diverse da com’erano e i fatti non sembrano collimare – la macchina di famiglia ha un colore diverso, la figlia non sa più parlare svedese, un collega dice di aver avuto una relazione extraconiugale con lei che lei ritiene di non aver mai avuto, il nome della vedova del suo collega è differente…-, viene messa in dubbio la sua stabilità mentale, almeno da alcuni, e le vengono somministrati dei farmaci contro quelle che apparentemente sono allucinazioni. Lei stessa non riesce ad essere sicura se il problema sia suo o meno. “La realtà è una cospirazione?”, recita la locandina.

È presto chiaro che esiste un mondo parallelo in cui ad essere morto non è il suo collega Paul, ma lei: Jo è il gatto di Shrödinger che è contemporaneamente vivo e morto, ma a causa dell’esperimento che stavano conducendo con il CAL in alcuni momenti il confine fra le due realtà è poroso: si hanno visioni dell’altra parte, che interferiscono con quello che accade, e delle due versioni della realtà, Jo sembra capitata in quella sbagliata. Anche sua figlia, particolarmente perspicace, si rende conto che quella che ha davanti non è la sua “mamma” o “mami” (la chiama in due modi diversi a seconda della versione in cui è). Anche di Caldera c’è un’altra versione, Bud, in cui non ha scritto un libro diventando una leggenda, ma è una sorta di fallito alcolizzato, e la stessa Irena ha vissuto lo stesso che sta passando Jo. C’è chi sa la verità, anche se non vuole dirla.

Come dicevo, ambizioso, ma estremamente contorto: le vicende si intuiscono, ma non si mai sicuri di sapere chi si sta vedendo, con il risultato di tanta confusione. Fra passato, presente e realtà parallele nello spazio e qui, i passaggi logici sfuggono e non in modo da stimolare una curiosità investigativa, ma in modo frustrante. Talvolta è bello lasciarsi trasportare dall’atmosfera, senza la necessità di comprendere ogni cosa. Non qui. La protagonista poi passa molto tempo in una baita in montagna immersa nella neve, ma poi le baite sono due, così come le figlie e lei cammina e cammina nella bufera fra una e l’altra. È un flashforward ricorrente, ma spostarsi su più timeline oltre che fra realtà diverse non è elettrizzante, rende solo più torbida la visione.  A bordo della stazione spaziale ha visioni di alcune delle realtà di casa. Tutto un minestrone. Il marito della protagonista, un insegnante di scuola elementare, pare un rammollito a cui la figlioletta di dieci anni deve spiegare le cose. Ad un certo punto la bimba esce dalla baita in piena notte e lui che cosa fa? Dorme. E passi, ma poi si sveglia, non la trova e va a cercarla riportandola indietro. Tempo di riprendersi e lei esce di nuovo non vista. Lui dov’è? Sta di nuovo dormendo. Ma andiamo! Risibile. E vedere un astronauta che si trova su una navicella di emergenza per il rientro che non si stacca e per farla funzionare si mette a tirare pugni al quadrante della sofisticata tecnologia, come faceva Fonzie per far partire la musica dei i juke-box, è stato imbarazzante. Mi sono sinceramente vergognata per loro. Non intendeva essere umoristico.

Forse era un potenziale film che è stato diluito impropriamente in una serie. Ci sono stati stimoli interessanti, riflessioni sull’orrore che può anche rappresentare lo spazio immenso, l’effetto psicologico che la distanza da casa può avere sulle persone, la sensazione di isolamento… il senso di disorientamento poteva avere un valore estetico di forma che rispecchia il contenuto, ma non può andare avanti ad oltranza, perché, anche complice il ritmo lento e le situazioni ripetitive, alla fine a nessuno piace rimanere perennemente nel vuoto.    

mercoledì 5 giugno 2024

BABY REINDEER: una potente storia di stalking e stupro sul protagonista

Atroce per quello che racconta, magnifico per come lo fa, Baby Reindeer (Netflix), è una storia di stalking e violenza sessuale, tratta dalla vita reale dell’attore/ideatore Richard Gaddis che dà il volto al protagonista. Non è una narrazione facile proprio per i temi trattati e la complessità emotiva con cui riesce ad affrontarli, ma è scritta in modo impeccabile sia nel suo outline che nel dialogo ed è recitata in modo altrettanto convincente. Il suo immediato, inaspettato successo è proprio dovuto al tam tam degli spettatori che ne hanno riconosciuto l’innegabile qualità. Quello che forse mi ha colpito di più, anche per la sua rarità, non è solo la tridimensionalità dei personaggi, guardati con empatia e amore, ma per la capacità di ammettere per sé stessi sentimenti e comportamenti profondamente conflittuali, con i loro risvolti autolesionisti.

ATTENZIONE SPOILER

Donald “Donny” Dunn (Richard Gadd) è un aspirante comico che lavora come barista al Heart, un pub londinese. Un giorno entra nel locale una cliente, Martha Scott (una Jessica Gunning già in odore di Emmy), che lui vede molto giù di corda, e le offre un tè. Lei, colpita dal gesto, comincia presentarsi lì continuamente lusingandolo e cominciandolo a chiamare “baby reindeer”, quindi “baby renna” – e nell’ultima puntata si spiega il perché di questo nomignolo. Comincia a mandargli centinaia di mail sgrammaticate al giorno e diventa la sua stalker. Nonostante lui scopra che lei è stata già condannata per simili comportamenti, accetta anche la sua amicizia su Facebook e il loro rapporto diventa sempre più complicato. Solo dopo sei mesi, quando ormai non ce la fa più e teme l’ossessione della donna, decide di denunciarla alla polizia. Martha, che si presenta con una sonora risata e una gioia aggressiva, ha chiari problemi psicologici, e Donny teme che possa mettere a rischio i suoi genitori e Teri (Nava Mau), la donna trans di professione terapeuta, di cui nel frattempo si è innamorato, la sua isola felice, che pure viene aggredita da una Martha gelosa, come pure lui stesso che finisce sanguinante. Nel ripercorrere quello che gli è accaduto, che poi racconta verbalmente in un crollo emotivo sul palco durante uno spettacolo (1.06), lo vediamo ricordare la violenza sessuale di cui è stato vittima (leggi infra), in un attorcigliarsi di eventi ed emozioni che sono difficili da districare l’uno dall’altro, imbevuti di odio per sé stesso.

Quello che è coraggioso è stato mostrare come questo ragazzo, molto sensibile, ha sentimenti che non sono solo generosi nei confronti di Martha. All’inizio ne prova pena e vuole aiutarla. È infastidito dalle sue attenzioni eccessive, ma contemporaneamente ne è attratto. Lei passa ore davanti alla fermata dell’autobus davanti a casa sua, si intrufola fra il pubblico nei suoi spettacoli comici, lo lascia perennemente senza tregua, vedendo fra loro una relazione che non esiste. Donny si vede costretto a cambiare casa. Martha è “una bomba ad orologeria nella sua vita”. Allo stesso tempo non è solo perché vede un’anima tormentata e infelice che le dà ascolto anche quando buon senso suggerirebbe di allontanarsene, ma in un qualche modo né è anche affascinato, trova conforto nelle attenzioni di lei. Lui si presenta come qualcuno che è sempre stato convinto che la realizzazione dei suoi sogni lo avrebbero condotto alla felicità, e constatare come non è facile raggiungerli lo delude. Da lei si sente visto e apprezzato, nonostante la sgradevolezza dei suoi approcci. Ne prova fascinazione, tanto da chiedersi, in un momento di allontanamento, se gli manchi: tutte le scene drammatiche, le attenzioni, la distrazione che lei gli permetteva. Martha lo vedeva come lui desiderava essere visto. Questa pulsante, tragica ma umana contraddizione è ammessa senza vergogna ed è il fulcro di ciò che la serie indaga.

Nel mettere a nudo il suo stato emotivo che lo ha condotto ad accettare simili attenzioni pur nella loro evidente pericolosità, di fronte alla domanda del poliziotto che gli domanda perché ci abbia messo così tanto a sporgere denuncia, ricorda quello che è accaduto anni prima (nell’ormai celeberrimo episodio 1.04). Era a Edimburgo per un festival in cui sperava di farsi notare come comico, e lo sceneggiatore di uno show televisivo di successo, Darrien (Tom Goodman-Hill, Mr Selfridge), che aveva lavorato con alcuni dei nomi che più lui rispettava nell’ambiente, lo aveva incoraggiato ed avevano cominciato a trascorrere molto tempo insieme. Poi la svolta: Darrien lo ha iniziato a droghe pesanti e poi ha abusato sessualmente di lui mentre era privo di coscienza o semi-svenuto. Insicurezza, rabbia, confusione sulla propria sessualità, fantasie omicide nei suoi confronti non hanno impedito al nostro protagonista di tornar da lui ancora e ancora, finché questi di punto in bianco non è sparito; nel presente “baby-renna” sente il senso di colpa per non averlo denunciato, quando ora invece si appresta a denunciare Martha.

Ho trovato grandiosa, e ragionevole, la reazione emotiva del personaggio, anche se c’è chi ha criticato la rappresentazione di un uomo gay maturo come predatore che fra grooming di un giovane ingenuo, “convertendolo” all’omosessualità, visto che è in seguito a questi incontri che Donny mette in dubbio le proprie preferenze, si domanda se ora sia bisessuale o che cosa, ed è solo in seguito a questi eventi che, dopo molti incontri sessuali toccata e fuga con chi capitava, scopre la gioia di nuovo con Teri. Io non ci do questa lettura, nel senso che non credo che il programma voglia alludere al fatto che sia lo stupro che ha fatto cambiare preferenze sessuali a Donny, ma come ogni esperienza sconvolgente, gli ha fatto mettere in dubbio e rivalutare quello che credeva vero per sé stesso. Ho pure trovato importante che mostrassero come quando sono gli uomini a venire molestati o aggrediti sessualmente, sì dà loro meno peso di quando non accade a una donna. La polizia non si preoccupa più di tanto di una donna stalker, finché lui non li costringe a cercare il suo nome sul web e non si accorgono che in effetti ha numerosissimi precedenti ed è pericolosa.

Alla fine delle vicende Martha si dichiara colpevole e viene condannata a 9 mesi di carcere e viene emessa nei suoi confronti un’ordinanza restrittiva della durata di cinque anni. La gente sul web ha cercato freneticamente di sapere chi fosse Martha nella vita reale, con tutti i potenziali rischi della questione, e c’è stata un’intervista valutata di dubbio valore etico, in cui si è fatta avanti una donna che dice di essere lei. Ugualmente molti hanno cercato di individuare chi fosse in corrispondente di Darrien nella vita reale: un’innocente è stato accusato, tanto che l’autore è dovuto intervenire per scagionare il malcapitato. Risvolti deprimenti.  

Ho trovato ancora una volta coraggioso chiudere con quello che è stato un po’ un tema ricorrente della miniserie, per quanto possa lasciare a disagio, ovvero che Donny in fondo vede Martha come sé stesso in uno specchio, con le proprie insicurezze e timore per il futuro. Quando qualcun altro ti vede veramente questo crea connessione, e quello che ha portato il protagonista a flirtare con una situazione così pericolosa senza tranciarla in partenza è stato proprio questo auto-riconoscimento. Nella series finale finisce in un bar e, specularmente a quanto era accaduto fra lui e Martha, lui si trova seduto sullo sgabello a ordinare qualcosa, ma non ha un centesimo con sé. Il barista, che lo ha visto piangere un momento prima e si è accorto del suo stato, gli offre a sue spese la bevanda. Esattamente quello che ha fatto lui con Martha. La corrispondenza è un’illuminazione per lui, una volta di più. Una chiusura impeccabile, come la serie tutta.