Se
leggete questo blog, probabilità vuole che siate appassionati di televisione, o
comunque vi interessi approfondire quello che guardate. Se anche conoscete bene
l’inglese, vi invito a seguire Tim
Goodman, su Substack, come
io faccio con costanza.
Probabilità
vuole anche, in realtà, che già lo conosciate essendo stato un critico
televisivo per una ventina d’anni, dal 2010 al 2019 quello di punta di The
Hollywood Reporter e in precedenza per il San Francisco Chronicle, oltre ad
aver scritto per molte altre pubblicazioni.
Ed ha anche insegnato nel dipartimento di Visual Studies del California
College of the Arts come professore aggiunto dal 2006 al 2020 e Critica alla
Graduate School of Journalism dell'Università della California, Berkeley, tutte
cose che potete leggere sul suo curriculum. Io indubbiamente l’ho menzionato in
più di un’occasione.
Riesce ad essere estremamente profondo, ma in un
modo anche rilassato, e di lui apprezzo moltissimo quello che è espresso nelle
righe a seguire, che traduco, che risalgono all’estate scorsa, ma che ha riproposto
proprio in questi giorni (qui in
originale):
"Non esistono serie
televisive perfette, né dovrebbero cercare di esserlo. Tutte le più grandi
hanno episodi difettosi in quasi tutte le stagioni, ma mai un'intera stagione
che sia stata considerata brutta, o addirittura mediocre (sono un professionista
e su questo potete litigare con me più tardi). Se credete nel wabi-sabi,
come me, allora tutte le cose veramente belle hanno dei difetti e a volte i
difetti contengono la bellezza. Ma in una conversazione strettamente incentrata
sulle serie televisive, a volte bisogna amare una grande serie anche se i
suoi difetti ci infastidiscono o ci deludono.
I mondi delle lagnanze e della delusione sono (purtroppo, ma questo è un altro discorso) terreno comune per i critici. Parte del lavoro consiste nel trovare i difetti e rivelarli. In teoria, questa abilità ha un valore per la società, perché aiuta le persone a capire cos'è la grandezza e perché, illuminando così contemporaneamente ciò che è meramente buono e perché. (È tutta un’altra questione stroncare le cose veramente orribili, ma io sostengo, o sostenevo, che ci sia un valore anche in quello).
È chiaro che non riesco a
spegnere il mio cervello critico tanto spesso quanto vorrei. Ora evito
semplicemente le cose brutte (a meno che non mi piaccia la loro bruttezza) e
per il resto non ne parlo. Apprezzo gli sforzi artistici buoni e molto buoni,
anche se non sono all'altezza di ciò che un critico potrebbe definire grande.
È tutta un'altra impresa amare
una serie che azzecca molte cose, ma che inciampa anche quando spereresti
che non lo facesse. A volte i passi falsi sono determinanti. A volte sono,
beh, diciamo solo sfortunati. E si va avanti. Al giorno d'oggi, sono più
interessato al motivo per cui sono disposto ad andare avanti e a continuare ad
abbracciare qualcosa quando fallisce. Se questo vi sembra strano, beh,
probabilmente non siete dei critici (e siatene riconoscenti). In passato,
troppe volte un'ottima serie è stata vicina alla grandezza, ma continuava a
commettere degli errori banali, degli errori di valutazione privi di logica,
e io non riuscivo ad abbracciarla completamente. (Il che, se ci pensate, è
un modo poco gioioso di vivere la propria vita - ed è per questo che
ho detto che dovreste essere grati di essere solo degli spettatori attenti e
sagaci, con una reale empatia e senza il tempo di serbare rancore o di essere
delusi dalle cose che guardate, invece di essere dei critici – passate oltre,
perché siete degli esseri umani normali)”.
Oltre al fatto che penso che le sue parole siano sagge, anche per le relazioni umane in generale, abbraccio io stessa questa filosofia.
Sia come
sia, davvero ve lo caldeggio. E non parla solo di televisione, ma anche di
cinema, musica, e della vita in generale.
Potete tornare a ringraziarmi in seguito per il suggerimento.