Questo è
quello che voglio vedere quando seguo una serie con delle streghe, ho pensato
guardando Agatha All Along (Disney TV+): gustosa avventura con donne
grintose, pentoloni (o in questo caso un lavandino a fare da pentolone) e
pozioni magiche, formule rituali meglio se in latino, congreghe che si
riuniscono con pentacoli e candele, l’occasionale volo con la scopa, e meglio se
poi come in questo caso ci si lamenta pure che è diventata un simbolo
commerciale e un’ovvia icona di domesticità della donna, senso di connessione
con la natura e con la Dea, timore dei roghi, un po’ di giocoso divertimento
con la classica iconografia…con qualche spruzzata di saggezza Wicca.
Non avevo
alcun desiderio di approfondire il personaggio di Agatha, dopo la visione di WandaVision,
che pure avevo apprezzato (ne avevo parlato qui),
né ho un interesse particolare ad approfondire il mondo Marvel, ma le
recensioni di questo spin-off ideato da Jac Schaeffer erano meritatamente buone:
complice lo spirito di Halloween per cui è ideale, me la sono divorata con
gusto. Nata come miniserie in 9 puntate, sembra possa avere stagioni
successive: le aspetto. E sebbene riprenda elementi dalla serie madre, la
mancata visione di quest’ultima non inficia l’apprezzamento di questa nuova
creazione. Il viaggio dell’eroe con le sue tappe, le varie prove da superare e
i suoi archetipi è una delle strutture narrative più collaudate che ci siano, e
qui la si mette a buon frutto in modo prima di tutto fisico, dato che è un vero
viaggio quello che intraprende la protagonista con le sue comprimarie.
Agatha
Harkness (una versatile, magnetica Kathryn Hahn, Tiny
Beautiful Things, I
love Dick), che alla fine di WandaVision era stata intrappolata da un incantesimo
di Wanda nella cittadina di Westview, nel
New Jersey, nel ruolo di Agnes, una poliziotta, dopo tre anni si risveglia dall'incantesimo,
grazie a un misterioso Ragazzino (così lo chiamerà, in inglese “Teen”) che le
diventa famiglio, William Kaplan (Joe Locke, Heartstopper):
un sigillo gli impedisce di rivelare la propria identità che si scoprirà nel
corso delle vicende. Agatha si rende conto che i suoi poteri sono svaniti e con
lui, che le chiede di percorrerla insieme, decide di intraprendere la
leggendaria Strada delle Streghe, di cui parla una famosa ballata, la The
Ballad of the Witches' Road, cantata più volte nel corso della stagione (qui in una delle
versioni, e vi sfido a non cantarla voi stessi alla fine).
L’obbiettivo
è riconquistare le proprie capacità magiche, inseguita dalle Sette di Salem,
storiche nemiche. Prima però deve riunire una congrega. Si uniscono a lei Jennifer
Kale (Sasheer Zamata), esperta di pozioni; Alice Wu-Gulliver (Ali Ahn), strega
protettrice la cui famiglia è afflitta da una maledizione generazionale che la
vede perseguitata da un demone; Lilia Calderu (la mitica Patti LuPone), una
strega siciliana di 450 anni esperta di tarocchi e divinazione. Nella necessità
di una “strega verde”, una il cui punto di forza è il rapporto con la terra,
Agatha con una scusa si trascina dietro una vicina di casa che non sa nulla di
magia, Sharon Davis (Debra Jo Rupp), che lei continua a chiamare “signora
Hart”, dal nome del personaggio che era stata costretta ad interpretare in WandaVision.
Alla scomparsa di quest’ultima, la sostituisce la ben più temibile Rio Vidal
(la azzeccatissima Aubrey Plaza – la ricordate in Legion, al di là di Parks
and Recreation e The White Lotus?), ex amante di Agatha e, come si
scoprirà, incarnazione della Morte.
Questa produzione funziona da un punto di vista narrativo grazie a una sfacciata, feroce antieroina la cui backstory viene scavata dando profondità al personaggio e al suo dolore oltre alla avvincente avventura che, mescolando tragedia e commedia, coinvolge i personaggi in “trial”, in prove, in test, volte a mettere in campo la propria abilità per poter passare alla tappa successiva. Ci sono colpi di scena fino in ultimo, mai un tempo morto, e non guasta che ad ogni nuova challenge contro il tempo (che viene scandito in un pressante conto alla rovescia) le protagoniste si ritrovino in ambientazioni con outfit ogni volta diversi. Buona parte dell’attrattiva è stata anche dovuta alla capacità di giocare con l’estetica stregonesca, inspirandosi anche a personaggi leggendari con una buona dose di riferimenti pop, a partire dall’iconico Il Mago di Oz, che viene richiamato in più di un’occasione, a Maleficient, ad Alice nel Paese delle Meraviglie, fino alle suggestioni della brillante sigla finale (qui, e qui con una spiegazione in dettaglio) – non c’è invece una scena post-titoli di coda, una tradizione di queste produzioni che in questo caso non è stata volutamente rispettata.
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