Sono belle, aggraziate, colte, plurilingue, e single. Sono le hostess della Pan Am, la compagnia aerea del telefilm dal titolo omonimo (sull’americana ABC dallo scorso 25 settembre), anno 1963: vengono scelte secondo rigidi criteri, pesate una volta arrivate al lavoro, attente che cappello e giarrettiera siano come si deve, e non devono sposarsi, altrimenti addio lavoro.
Sono Maggie (Christina Ricci), che è il commissario di bordo, ed è una donna che vuole poter vedere il mondo per poterlo cambiare; Colette (Karine Vanasse), una ragazza francese che scopre nel pilot di aver avuto, inconsapevolmente, una relazione con un uomo sposato; Kate (Kelli Garner) che, in un’epoca di guerra fredda, lavora anche come spia per la CIA, complice la possibilità di spostarsi agevolmente da un luogo all’altro, e che sostituisce un’altra hostess che aveva il suo stesso ruolo, Bridget (Annabelle Wallis); e Laura (Margot Robbie), la sorella di Kate, che il giorno delle nozze, scappa con ancora su l’abito bianco per seguire la sorella e lasciarsi alle spalle, idealmente per tutte, la vita della generazione precedente alla sua, per cui il matrimonio era la sola opzione possibile. Sono un po’ delle pioniere, accanto al giovane pilota di Boeing 707, Dean (Jonah Lotan), da poco promosso capitano e nel pilot – parola più che mai appropriata - al suo primo volo internazionale, e al suo primo ufficiale Ted (Michael Mosley).
La serie, ideata da Jack Orman (ER), così come The Playboy Club questa stagione, ha inteso capitalizzare sul successo di Mad Men e guardare al passato, in un momento di storici cambiamenti. Per l’accuratezza in questo senso si conta anche su una delle produttrici esecutive, Nancy Hult Ganis, che ha svolto quel lavoro alla fine degli anni ’60. Lo si fa in questo caso con senso di nostalgia, con entusiasmo, con un certo senso epico anche. Dopotutto si dice che chi vola Pan Am non si sposta solo, va da qualche parte. Le storie sono gradevoli, ma condivido l’osservazione di Slate che c’è una sorta di “gioia aggressiva” nelle vicende, costruite anche attraverso dei flashback che raccontano il recente passato delle protagoniste.
Nella prima puntata Laura viene ammirata da tutti perché il suo volto è apparso sulla copertina della rivista “Life”, a rappresentare la compagnia aerea. Una delle colleghe osserva che quella è solo l’apparenza, la fantasia di quello che loro sono e fanno (il glamour, il jet-set, la vita indipendente e “liberata”). Quell’immagine è quello che rappresentano più che non la realtà. Lo stesso si può dire della serie, che alla fine sembra “ritoccata”, un’illusione, uno spot. La regia di Thomas Schlamme (The West Wing) nel pilot enfatizza questa sensazione. Prima vediamo le quattro hostess camminare come una squadra, una accanto all’altra. Poi, impeccabili nella loro uniformi blu, entrano in aereo in fila indiana, in modo quasi marziale, determinato e professionale. L’ultima si gira e fa un occhiolino: lo fa a una bimba che le guarda incantata. Lo fa alle generazioni future che anche grazie a loro possono sognare una vita diversa. Sembra una pubblicità.
Questa non mi ispira più di tanto, trovo più decente the playboy club.
RispondiEliminale prime puntate mi sono sembrate promettenti. per il momento mi sembra però una serie un po' indecisa su che direzione prendere, tra comedy, drama, spy... vedremo se riuscirà a decollare...
RispondiElimina