La prima stagione di Switched at Birth è terminata agli inizi di agosto (1.10) con l’arrivo del padre biologico di Bay (Gilles Marini, il Luc di Brothers and Sisters), cosa che assicurerà ampio foraggio per una seconda stagione. Nel primo ciclo intanto oltre a qualche colpo di scena (quello che Regina sapeva) e a un po’ di romanticherie (Bay-Emmet) si è continuato in quello che già avevo notato a debutto di serie, ovvero ad affrontare efficacemente, senza prediche e senza tono da pubblicità progresso, alcune delle tematiche legate alla cultura sorda (in chiusura ad esempio si è accennato alla opportunità o meno per Emmett, sordo, di seguire dei corsi di terapia logopedistica). Quello che ancora in partenza ragionevolmente non c’era, e che ho apprezzato nella continuazione, è il modo in cui si sta sviluppando il discorso linguistico.
Ritengo opportuno fare una premessa per chi non avesse dimestichezza con le lingue dei segni, prima di tornare a paralare della serie. L’ASL, l’American Sign Language, la Lingua Americana dei Segni è una lingua a tutti gli effetti, con un suo vocabolario, ma anche con una sua grammatica e una sua sintassi, che si costruiscono sullo spazio, in modo quindi molto differente dal lineare susseguirsi delle parole così come siamo abituati a concepirle nelle lingue verbali. Esiste anche il Signed English, l’Inglese Segnato, che utilizza gli stessi vocaboli dell’ASL, ma che non è una lingua perché si appoggia poi di fatto sulla grammatica e sulla sintassi della lingua parlata di cui riproduce in segni ogni singola parola. Sebbene si chiami Signed English non bisogna confonderlo con la lingua dei segni britannica, ma si tratta sempre di americano. Se da un punto di vista vocale infatti l’americano ha le sue radici nell’inglese d’Inghilterra, da un punto di vista di segni l’americano è legato alla Francia. Storicamente, gli inglesi insulari non hanno voluto condividere il proprio modo di esprimersi con le colonie e sono stati i monaci francesi ad esportare la loro lingua dei segni nel nuovo continente. Chi avesse piacere di approfondire questi argomenti non ha che da prendere una copia di “Vedere Voci” di Oliver Sacks, ed eventualmente farsi guidare dall’ottima bibliografia, o nel caso leggere l’eccellente “Deaf in America – Voices from a Culture” di Padden e Humphries.
Tornando alla serie, nella seconda parte della prima stagione ci sono state numerose conversazioni, anche estese, fra sordi in cui si è rinunciato in maniera completa e totale ad accompagnarle ad alcuna espressione verbale, ma si è fatto ricorso esclusivo ai sottotitoli. E questo è stato fantastico, perché è così stato possibile far parlare i personaggi in autentica ASL, in tutta la sua plasticità, ricchezza e iconicità. C’è una capacità di sintesi con i segni che difficilmente si raggiunge con la parola orale. Chi si è mai provato a tradurre dai segni al vocale sa quanto sia frustrante talvolta dover fare lunghe perifrasi per esprimere concetti che in Lingua dei Segni sono così immediate e potenti. Chi poi avesse dimestichezza anche con la Lingua Italiana dei Segni avrà notato anche come, rispetto alla LIS, l’ASL si affida di più al fingerspelling, alla compitazione delle lettere con la mano cioè, e usa di meno le labbra e i movimenti del volto rispetto a noi. In ogni caso quello che Switched at Birth ha fatto è mostrare l’ASL in sé e per sé, in modo che, anche se si è già visto, è sufficientemente abbastanza raro.
Nelle interazioni fra sordi e udenti, ci si è affidati al doppio binario parlato-segni, e qui necessariamente non si è utilizzato un ALS “puro”, ma ci si è affidati anche in buona parte alla struttura linguistica dell’americano parlato, o oscillando fra ASL e Signed English, cosa che è la via più comune quando si vedono i segni in TV (penso a programmi come The L Word o Reasonable Doubts, o a tutte le numerose serie in cui è apparsa Marlee Matlin). Si rimane comunque almeno idealmente nel territorio dell’ASL, evitando i pedanti ipercorrettismi del Signed English.
Una delle prime storie che ricordo legate alla Lingua dei Segni è quella di Days of Our Lives - Il tempo della nostra vita, andata in onda nel 1988 negli USA (sulla NBC, all’epoca attenta alla questione che ha trovato spazio anche in Santa Barbara) e agli inizi degli anni ’90 in Italia (su Italia7). Lì, l’infermiera Kayla veniva aggredita e perdeva l’udito, non per ragioni fisiche, ma psicologiche. A poco a poco aveva imparato a vivere la sua nuova condizione di sorda, fra paura e scoperte di un nuovo mondo e una nuova cultura. I tempi quotidiani della soap opera hanno consentito un sufficiente realismo nell’apprendimento che è durato mesi e ha coinvolto il suo ragazzo Steve-Patch e sua sorella Kim (che conosceva già la lingua), prevalentemente, oltre a qualche personaggio minore (Peggy, Benji). Nonostante il messaggio di fondo fosse chiaro – esprimersi in lingua dei segni è magnifico ed è un modo vitale per farlo e di altrettanto valore che farlo attraverso una lingua parlata – e nonostante io la consideri tutt’ora ancora una storia molto ben sviluppata (e non dimentichiamo che nell’88 c’è stato un lungo sciopero degli sceneggiatori che in alcuni casi si è sentito pesantemente nella programmazione del daytime), non c’è dubbio che fosse una storia di udenti per udenti. Lì quello che veniva usato era il Signed English, puntuale e dettagliatissimo fino a ogni preposizione e articolo. Per certi versi il Signed English uccide la lingua dei segni pura.
Non è quello che si sta facendo in Switched at Birth, dove si è optato per segni che evitano una eccessiva aderenza al Signed English, ma che spingono con decisione verso l’ASL. Il solo altro programma che mi venga in mente in cui sia stato fatto in modo continuato è Sentieri dove Rick Bauer alla fine degli anni ’90 ha imparato a segnare avendo sposato una ragazza Amish sorda, Abigal Blume. Le storie di apprendimento da parte di udenti di lingue dei segni si contano sulle dita di una mano. Switched at Birth sta davvero facendo le cose per bene. Sul sito, attraverso i personaggi della serie si possono anche imparare le lettere dell’alfabeto, che ricordo, salvo un paio di lettere (la “s” e la “t”), sono le stesse che usiamo in Italia nella LIS.
Grazie, una recensione seria, documentata e istruttiva. La serie è sbarcata anche da noi, ma c'è già un gran numero di fans che, adoperandoci in ogni modo e la seguiamo praticamente in contemporanea agli USA. Trasmessa in Italia da deejaytv è, ovviamente, non sottotitolata. Potrebbe essere una scelta editoriale?
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