Ho veramente sottovalutato The
Good Wife durante la prima stagione. Durante la seconda mi ha completamente
conquistata e sono “in awe”, come mi verrebbe da dire in inglese, sono
sbalordita e ammirata per la capacità di questa serie di tessere trame con innumerevoli
fili e, come un giocoliere, di tenere in aria molte tematiche diverse, anche
per la sottigliezza con cui affronta le questioni.
Il procedimento legale ha una sua innata liturgia da cui spesso e
volentieri, tradizionalmente, le serie si lasciano imbrigliare. Non The Good Wife: questo è stato chiaro
dall’inizio. Alla fine tratta sì casi legali fondamentalmente autoconclusivi,
ma non si limita a quello.
Le vicende degli effettivi casi in sé sono legate all’attualità e fanno
eco a vicende che sono apparse sui giornali. Penso a un episodio come “VIP Treatment”
(2.05) su una massaggiatrice che accusa di stupro un premio Nobel che lavora
per i diritti delle donne in Africa, e lo studio deve decidere se accettare il
caso (una di quelle puntate che ti fanno dire “WOW”), o “Net Worth” (2.14) quella
in cui un imprenditore nell’ambito dei computer alla maniera dello Zuckerberg di
Facebook denuncia uno sceneggiatore alla maniera di Sorkin di The Social Network. La filigrana di
situazioni reali si vede. E la tensione narrativa viene sostenuta in genere
anche dalle investigazioni legate ai casi e dalla suspense dei tempi stretti in
cui il lavoro va svolto.
La serie parla non solo di vicende legali, ma di politica, di pubbliche
relazioni, di rapporti intraufficio, di amicizia, di famiglia e relazioni intergenerazionali,
di matrimonio e di amore (la riappacificazione di Alicia con Peter si falda e
la stagione termina con Alicia che insieme Will prende una camera d’albergo, a
culmine di un “triangolo” magistralmente costruito), di figli, di religione
(con la figlia Grace che si avvicina a messaggi cristiani), di tecnologia. Il New Yorker in un articolo di recensione intitolato
Net
Gain, che vale la pena di leggere, si sofferma in modo particolare sull’importanza
di quest’ultimo aspetto.
Robert e Michelle King stanno davvero facendo un eccellente lavoro, in my opinion.
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