Lo scorso sabato 20
settembre (ore 21.00), sono andata a sentire Hanif Kureishi
intervistato da Giorgio
Zanchini a Pordenonelegge. L’incontro era prevalentemente sull’ultimo
romanzo dell’autore britannico, intitolato L’ultima
parola. Gran parte della conversazione si è svolta proprio intorno al tema
della parola e della scrittura, essenziali secondo lui per costruire la propria
identità e crearne una alternativa a quella che dall’esterno ti attribuiscono
gli altri, che sia tua e che cambi la conversazione.
Ad un certo punto
Zanchini ha osservato che, nella sua opinione, almeno in Italia, la scrittura e
i romanzi hanno un peso molto minore ora, nella vita delle persone, rispetto a
quanto non accadesse 40 anni fa, e gli ha chiesto se la pensasse anche lui alla
stessa maniera e se percepisse in Inghilterra la stessa cosa che lui percepiva
in Italia. La risposta di Kureishi è stata che dipendeva molto da che cosa si
intendeva per scrittura. Se si guardava a programmi televisivi come I Soprano, House of Cards, e ha nominato anche una o due altre serie che mi
sfuggono, sui cui cofanetti ci si lancia non appena escono per guardarsi ogni
puntata, e parlarne subito dopo, allora non poteva dire di ritrovarsi in quell’osservazione.
Quel genere di scrittura, la buona scrittura quanto meno, è ancora molto
rilevante, perché accende dibattiti, fa pensare, fa discutere, e ti confronti
con quanto ti dice.
Rispetto al romanzo
specificatamente, l’autore di Nell’Intimità
ritiene che la sua fortuna abbia sorti storicamente ondulatorie, e ha ammesso
che non conosce persone di sesso maschile adulte che leggano romanzi, mentre
conosce persone di sesso femminile adulte che ne leggono. Se però non ci si
limita alla scrittura del romanzo, ma appunto si concepisce la scrittura in
senso più ampio, ha ribadito che un grande ruolo lo ha tutt’ora ed è molto viva
e pregnante nel mezzo che ritiene quello primario nella nostra epoca: la
televisione. Lì ci sono i materiali, per così dire, della buona scrittura su
cui si discute e ci si anima e arrovella. Parafraso, naturalmente. Mi
rammarico, anche, di non averlo potuto registrare per poter riportare in modo
più dettagliato e preciso quanto ha detto.
Una cosa che, ammetto,
mi è seccata molto, è che l’interprete, peraltro molto bravo, abbia saltato a
piè pari, nella traduzione, qualunque menzione alle serie televisive citate da
Kureishi. E purtroppo mi sono resa conto che è una cosa che avviene regolarmente.
Anche quando recentemente sono stata a Mantova a vedere Jullian Fellowes (ne ho
parlato qui),
quell’autore ha citato, fra le altre cose, una serie seminale come The West Wing, di Aaron Sorkin, e l’interprete
non l’ha minimamente menzionata.
Come sempre quando gli
autori stranieri lodano la televisione e dicono che c’è ottima scrittura in
televisione e che è probabilmente la scrittura più rilevante nella realtà
contemporanea, e citano dei programmi specifici, questi programmi non vengono
mai tradotti, ma vengono saltate quelle parti in cui questi autori si esprimono
in questi termini nei confronti di testi specifici del piccolo schermo. Mi
brucia. Per me, che mi batto perché far
capire l’importanza della scrittura in televisione e di quanto sia buona in
questo momento, il fatto che questo avvenga continuamente mi irrita. È
anche attraverso queste occasioni, è nel sentire autori importanti e noti per
la narrativa cartacea che apprezzano la sceneggiatura televisiva, che si cambia
un po’ idea alla gente, ed è uno dei modi attraverso cui la gente viene educata
a prestare attenzione.
Purtroppo mi rendo conto
che parte del motivo per cui i programmi specifici non vengono tradotti, o non
vengono menzionati in traduzione lì dove il titolo è identico all’inglese, è che
chi li cita dà per scontato siano titoli noti, perché sono le serie su cui si
scrivono articoli su articoli, sono gli autori televisivi sulla cui scrittura
si riflette. In Italia però evidentemente un po’ certi programmi arrivano in
sordina, un po’ c’è meno questa sensibilità e consapevolezza nei confronti del
peso culturale delle serie televisive, per cui gli interpreti semplicemente spesso
non le conoscono, e altrettanto semplicemente non le traducono. Rimane una cosa
che mi dispiace davvero.
Nella foto, Kureishi (a
destra) con il suo interprete.
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