Ambientato all’Angels
Memorial Hospital di Los Angeles, Code
Black (sull’americana CBS dal 30
settembre) esordisce con in sovrimpressione la spiegazione di che cosa si
intenda con questo termine: si ha un codice nero quando “l’afflusso di pazienti
è così elevato, che non ci sono risorse a sufficienza per trattarli”. E si
procede nel dire che nel pronto soccorso di un ospedale medio questo accade
cinque volte all’anno, in questo ospedale accade fino a 300 volte all’anno.
Il solito assortimento appena
abbozzato di nuovi residenti in medicina
- Angus (Harry M. Ford) che fatica a credere in se stesso; Christa
(Bonnie Somervile), la vecchia del gruppo, cosa che devono dirti altrimenti non
te ne accorgeresti; Mario (Benjamin Hollingsworth); Malaya (Melanie Chandra) –
vengono accolti dalla “mamma”, il capoinfermiere Jesse (Luis Guzman), ma presto
fanno la conoscenza anche di “papà”, la dottoressa anticonformista Leanne
Rorish (una sempre magnifica Marcia Gay Arden, premio Oscar per Pollock), la solita severissima
professionista che non tollera imprecisioni e che al primo errore ti manda via.
Ha fatto da mentore al dottor Neal Hudson (Raza Jaffrey) che ora però la
giudica più imprudente e pericolosa: “Tu sei il medico che vogliono; io sono il
medico di cui hanno bisogno”, lo apostrofa trionfante lei.
Basato su un
documentario dallo stesso titolo del 2014 di Ryan McGarry, il programma ideato
da Michael Seitzman ne riprende anche un po’ le caratteristiche. La nota
dominante è il caos, con sangue ovunque e oggetti di qui e di là e inquadrature
che non riescono ad essere chiare e pulite. La potremmo vedere come una versione
aggiornata di ER, ma senza la rivoluzione estetica portata dall’ormai storico
programma ospedaliero. Vedere persone che aspettano e medici che corrono e gridano,
e casi clinici a mala pena abbozzati, forse è realistico abbastanza da
ricordare la vita reale, ma non abbastanza da costituire un racconto sufficientemente
avvincente, specie se lo stile concitato si trascina dietro la debolezza narrativa
di storie sdolcinate e strappalacrime e prevedibili cliché.
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