Non ho familiarità alcuna
con l’MCU (l’Universo Cinematografico della Marvel), per cui purtroppo non
colgo i riferimenti al relativo corposo canone di finzione a cui fa riferimento
la nuova miniserie WandaVision (Disney+), che sicuramente gli appassionati
sapranno apprezzare molto più di me. Io non solo non vedo alcuni degli Easter
egg, rischio magari di prendere lucciole per lanterne. Per fare un esempio
banalissimo, in “Ora a Colori” (1.03) il personaggio di Geraldine dice a Wanda
che sa che il fratello gemello di lei, Pietro, è stato ucciso da Ultron. Non
solo per me Pietro e Ultron sono nomi che non collego a nulla, ma quando Wanda
nota che Geraldine ha un ciondolo con una spada, non capisco, come poi mi
spiegano ricerche in internet, che si tratta del simbolo della S.W.O.R.D.
(spada appunto), una fittizia agenzia di antiterrorismo della Marvel. Quella
che vuole essere una spada per me era una croce capovolta, e dato che San
Pietro è noto per aver chiesto di essere crocifisso capovolto per non avere lo
stesso “onore” di Cristo, mi sono chiesta se quel ciondolo non significasse che
Geraldine era Pietro. Sono andata completamente fuoristrada.
Conscia dei miei limiti,
sono stimolata ugualmente dalla visione di questa nuova miniserie tanto attesa,
in cui il non capire che cosa sta accadendo è in parte sicuramente voluto. Siamo
tutti un po’ disorientati. La narrazione si suppone essere posizionata in
continuità, ma dopo, il film Avengers: Endgame del 2019.
Wanda Maximoff (Elizabeth
Olsen) e Visione (Vision in inglese, Paul Bettany) sono due persone con
superpoteri: lei è una specie di strega capace di telepatia, telecinesi e
alterazione della realtà; lui è un androide creato da un’intelligenza
artificiale. Sono innamorati e cercano di farsi passare per umani normali nella
cittadina di Westview, frequentando vicini e colleghi. L’essere “altri” che
hanno timore di farsi scoprire è un tema forte (così come lo era in alcuni
modelli a cui hanno fatto riferimento, di cui parlo infra).
Entrambi sembrano essere bloccati
in un mondo di sit-com, e le puntate che vediamo sono episodi comici con lo
stile registico e umoristico di quel genere televisivo. A mano a mano che si
procede nella visione, si procede cronologicamente in modo mimetico nello stile
di quel genere, di decade in decade, a partire dagli anni ’50 quando andavano
in onda in bianco e nero e poi via via. In partenza si possono notare gli homage
a Vita da Strega, Lucy ed io, Strega per amore, The
Dick Van Dyke Show, poi a the Brady Bunch, Mary Tyler Moore…e ci sono anche
le finte interruzioni pubblicitarie. C’è un pizzico di Pleasentville
quando si comincia a passare al colore.
Si costruisce perciò per
il pubblico a casa una sit-com a tutti gli effetti, che nelle intenzioni degli
autori vuole essere veramente umoristica: io non la trovo tale se non molto
occasionalmente, su quel versante è quasi imbarazzante e si sorride a forza
perché si capisce che si vorrebbe essere esilaranti ma non lo si è, però
osservo con autentico stupore la capacità verbale e visuale di ricreare gli
stilemi del genere con grande autenticità. Non è parodia o presa in giro, ma reale
padronanza di un linguaggio, che riguarda la sceneggiatura e la regia, ma anche
la recitazione, e in questo senso un applauso va agli interpreti. È quasi uno scavo
archeologico che ci mostra strato dopo strato come eravamo e come siamo
diventati, in tempi ravvicinati tali da far notare il percorso storico. Guardarlo
fa riflettere sulla nostra identità in quello che viene rappresentato su uno
schermo. Come ci mettiamo in scena e come è cambiato nel tempo? Come è
informato dai nostri valori e al contempo li condiziona?
C’è sempre anche molto
dibattito su drama vs. comedy, e sulla loro forza e
relazionabilità umana. Ho sempre pensato che le storie drammatiche siano più
storicamente elastiche e universali di quelle comiche, che è invece sono più condizionate
dalla sensibilità contingente. È più difficile costruire una storia che fa
ridere che resista al tempo che non una che fa piangere. Ridere rivela di più
chi siamo e in che cosa crediamo, e la comicità è più sensibile a tempo e
spazio, credo. Per ora le puntate andate in onda sono solo tre. Mi chiedo se formule
umoristiche più vicine ai nostri giorni saranno da me più apprezzate, e se ciò che
percepisco come poco divertente non sia incapacità degli sceneggiatori di
rendere spassosi gli eventi, ma mio scollamento temporale rispetto a quello che
è considerato tale in un’epoca piuttosto che in un’altra. Sono curiosa di
valutarlo proseguendo a guardare.
Nel mondo abitato da Wanda
e Vision contemporaneamente qualcosa non torna, ci sono glitch del
sistema. I personaggi si incantano, hanno vuoti e comportamenti bizzarri, gli
eventi non sono coerenti nemmeno secondo le regole del mondo di finzione
pattuito (in 1.03 Wanda ha una gravidanza di 9 mesi nel giro di 20 minuti), e
partono anche dei titoli di coda interni alla diegesi e si vede che qualcuno li
sta effettivamente guardando da uno schermo TV. Questa è la dimensione più intrigante
– è molto metanarrativa, sembra una sorta di mise en abyme, è Ai
confini della Realtà, richiama alcuni passaggi di Legion. È il mistero che elicita il
cosiddetto “fandom forense”, fa arrovellare in teorie gli appassionati, opportunità
più succulenta lì dove non c’è la possibilità del binge watching, a
seguire la messa in onda settimanale così come è stata concepita, ma si ha un’intera
settimana per riflettere e indagare su quello che si è visto prima di ricevere
una nuova tessera del puzzle.
Jac Shaeffer, l’ideatrice, intervistata da TV’s Top Five (22 gennaio 2021) ha dichiarato che ciascun prodotto del franchise, sebbene collegato agli altri, è in grado di stare in piedi da solo ed essere apprezzato da solo, questo come “politica manageriale” fondante, e che ci sarà una conclusione finale soddisfacente, indipendentemente dalla possibilità o meno che ci sia una seconda stagione. Il programma è stato costruito per trasmette la sensazione di un fumetto e che ha fuso i generi cercando di creare una collisione di aspettative. Ci sta riuscendo.