The Gilded
Age (HBO, su Sky in Italia) è il vero
erede di Downton Abbey. Julian Fellowes aveva
provato con Belgravia
a replicare il successo della sua più famosa creazione (se escludiamo Gosford Park che gli era valso l’Oscar
per la sceneggiatura originale), ma non aveva avuto troppa fortuna. Sembra
invece esserci riuscito con questo nuovo altrettanto gustoso period drama ambientato nella New York
fa 1870 e 1900, quando la luce elettrica domata da Edison illumina per la prima
volta gli edifici e le strade della città nello stupore generale (1.07).
All’economia dà impulso la costruzione delle ferrovie, ed è proprio un treno
che viaggia fra titoli e azioni bancarie l’immagine con cui esordisce la sigla, per portarci poi fa cilindri,
orologi da panciotto e carrozze, spalancando le sue porte su sontuose residenze
con imponenti scalinate e lampadari di cristallo, e chiudersi con cesellate
rifiniture architettoniche.
Stupisce per opulenza, che è poi quello che vuole fare
la famiglia Russell, quando nel 1882 di stabilisce nella (fittizia) villa
progettata per loro da (il molto vero) Stanford White. Vi vanno ad abitare
George (Morgan Spector), un tycoon delle ferrovie con la moglie Bertha (Carrie
Coon, The Leftovers), che mira alle
più alte sfere sociali, insieme ai figli Gladys (Taissa Farmiga, American Horror Story), che scalpita per
debuttare in società, e Larry (Harry Richardson, Doctor Thorne), che contro i desideri del padre aspira a fare
l’architetto. Il loro maggiordomo, Church (Jack Gilpin) ha ancora molto da
imparare. Di fronte a loro vivono due sorelle della New York antica, Agnes van
Rhijn (Christine Baranski, The Good Fight),
che si considera superiore a questi arricchiti con cui non vuole mescolarsi, e
Ada (Cynthia Nixon, And just like that)
che, meno scaltra e più accomodante, vive sotto la sua ala protettiva. Agnes ha un figlio, Oscar (Blake Ritson), segretamente gay, che punta a un matrimonio di interesse con la figlia dei Russell, Gladys. Nonostante poi Agnes
e Ada disprezzassero il fratello, perché le aveva abbandonate a sé stesse dopo
la scomparsa del padre, alla sua morte ne accolgono in casa la figlia, Marian
Brook (Louisa Jacobson Gummer, una delle figlie di Maryl Streep, al suo debutto
televisivo in questo ruolo), che si innamora e frequenta Tom Raikes (Thomas
Cocquerel), un giovane avvocato con la carriera in ascesa, contro i desideri di
zia Agnes. Le due sorelle tengono sotto il proprio tetto anche Peggy Scott (Denée
Benton, apprezzata attrice di teatro) una scrittrice afro-americana che aiuta
Marian al suo arrivo, e con cui fa presto amicizia, che viene assunta da Agnes
per evadere la propria corrispondenza. Bannister (Simon Jones) è il loro
maggiordomo di lunga data.
Al centro delle vicende c’è il braccio di ferro fra due
forme di potere, quello del denaro, vilipeso ma cercato, degli snobbati nouveaux riches, in cerca di
approvazione e inserimento nei circoli esclusivi, e quello del passato, della
vecchia New York arroccata in soffocanti e superate convenzioni che escludono
chiunque tranne pochi eletti che si autoproclamano arbitri elegantiae. In questa lotta l’ideologia e i mores mutano e,
con un tema che è caro a questo autore, assistiamo a chi a questo cambiamento è resistente e chi invece lo cerca. Come nella migliore tradizione di Downton,
quella delle prime stagioni non ancora annacquate da storie melodrammatiche di
scarsa qualità, sotto il microscopio sono gli snervanti dettagli di etichetta
che si ergono a parametro di appartenenza, e quindi di inclusione o esclusione
all’alta società, e appunto di potere.
Fellowes qui in generale si sarebbe ispirato alla
letteratura di Edith Wharton, ed in particolare a The Custom of the Country – L’usanza del paese (1913). Un
interessante pezzo di Sophie Glibert su
The Atlantic, che invito a
leggere, si sofferma su questo modello e aspirazione, stroncando la serie.
Afferma che “afferra i temi della Wharton ma in qualche modo elude
completamente la sua osservazione fondamentale: che questa cultura è così
corrotta che le uniche persone che possono prosperare al suo interno sono senza
cervello o irredimibili”. Non credo sia il suo obiettivo, non solo perché è più
favolistico, ma proprio perché il suo ethos lo porta proprio nella direzione
opposta. Tuttavia pur non condividendo molto del contenuto di quell’articolo (anche
rispetto a Downton), per quanto interessante, concordo quando dice che “gli occasionali cenni di critica
sociale troppo stantii” e che manca completamente una nota essenziale ovvero
che “la New York di Wharton è un panottico a cui nessun abitante può sfuggire”
dove “la vita dei personaggi è una performance tanto quanto tutto ciò che viene
recitato davanti a loro” e loro ne hanno una consapevolezza che qui semplicemente
non c’è.
Si può applaudire però la scelta di mostrare per una
volta una società nera che è prospera, istruita e socialmente attiva: Marian
deve vergognarsi quando va in visita ai genitori di Peggy con l’idea di portar
loro dei vecchi stivali usati (1.04) e li vede che vivono in una bellissima brownstone, con personale. Il padre
Arthur (John Douglas Thompson) possiede una farmacia, la madre Dorothy (Audra
McDonald, The Good Fight) è una
pianista. Fellowes ha dichiarato al
Los Angeles Times che prima di leggere "Black Gotham", di Carla
Peterson non aveva idea che ci fosse una prosperosa comunità nera di classe
medio-alta a New York verso la fine del XIX secolo, ma ha voluto incorporarlo
perché non sarebbe riuscito a rendere la serie “distintamente americana” se non
lo avesse fatto. In quell’articolo si dice anche che Erica Armstrong Dunbar, professoressa
di storia alla Rutgers University, il cui lavoro si concentra sulle donne nere
americane del XVIII e XIX secolo, è stata assunta come consulente storica e co-produttrice
esecutiva per aiutare a garantire l'autenticità e "fare anche una lettura
di sensibilità". Il personaggio di Peggy è ispirato a diverse pioniere,
non da una persona specifica
Il cast è superbo, anche con personaggi secondari come
Jeanne Tripplehorn nel ruolo di Sylvia Chamberlain, una socialite esclusa dalle cerchie più in vista a causa del suo passato, o Nathan
Lane nel ruolo di Ward McAllister, arbitro di stile nella vecchia New York.
Dopo una prima stagione di 9 episodi, la serie è già stata confermata per una seconda.
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