Conto già Severance – Scissione (AppleTV+) fra le
migliori serie dell’anno. E non ricordo l’ultima volta che sono stata così entusiasta
di una season finale. Ero letteralmente on
the edge of my seat, come si direbbe in inglese, seduta sul bordo della
sedia, con il fiato sospeso e in tensione. È riuscita a emozionarmi,
sorprendermi e ad appagarmi come di più difficilmente avrebbe potuto fare. Un must.
La premessa di questo
thriller psicologico distopico ideato da Dan Erikson, con la regia di Ben Stiller per sei delle nove
puntate della prima stagione e Aoife
McArdle per le rimanenti, è abbastanza semplice: siamo in un futuro
prossimo in cui un’azienda, la Lumon, ha ideato una procedura biomedica, chiamata
“severance - scissione”, grazie alla quale la vita privata dei dipendenti è
separata da quella lavorativa - gli “innie” sono le personalità dentro, gli “outie”
quelle fuori. Le due parti della persona non sanno nulla l’una dell’altra. Il passaggio
avviene attraverso un ascensore che attiva o disattiva una specifica parte del
cervello.
Mark Scout (Adam Scott, Parks and Recreation), o semplicemente
Mark S. sul lavoro, dove i dipendenti sono conosciuti con il nome di battesimo
e l’iniziale del cognome, lavora per la divisione Macrodata Refinement e ha
deciso per la scissione per affrontare il lutto della moglie Gemma. È legato alla sorella Devon
(Jenn Tulock) che aspetta un bambino ed è sposata con Ricken (Michael Chernus).
I suoi colleghi nel suo dipartimento sono Dylan George (Zach Cherry), che si
vanta di essere il più bravo e si gode i vantaggi che questo comporta, e Irving
Bailiff (John Turturro), che crede molto nei valori dell’azienda. Una nuova
impiegata, Helly Riggs (Britt Lower), arriva a sostituire Petey (Yul Vazquez),
di cui Mark era amico, ma alla donna la nuova realtà sta stretta e
cerca ogni modo per uscire da quella situazione. Senza successo. Presto,
stimolati anche da altri avvenimenti, vogliono scoprire di più su sé stessi e
l’azienda per cui lavorano. A controllare strettamente gli impiegati c’è Seth
Milchick (Tramell Tillman) che però fa rapporto alla sua diretta superiore, la
gelida Harmony Cobel (Patricia Arquette), che nella vita privata è vicina di
casa di Mark che la conosce come signora Selvig, e non ha subito la scissione. Fra
le persone con cui i dipendenti hanno maggior contatto c’è Casey (Dichen
Lachman, Dollhouse), consulente di benessere,
e Burt Goodman (Christopher Walken), che lavora per la divisione “Ottica e
Design” ed è attratto da Irving.
La serie va ben oltre la
critica a una società che ci vuole schizofrenici nel senso etimologico del
termine, pronti a separare quello che siamo sul posto di lavoro e nella nostra
vita privata, riconoscendo come essenziale l’interezza delle nostre esperienze,
anche dolorose, per l’identità di ciascuno, e per la propria autostima.
Diversamente è un inferno. E come tale, fatto di rituali triti e senza senso, è
la vita dei dipendenti della Lumon – robotica, impersonale, asettica,
labirintica - in cui devono ripetersi per autoconvincersi che “il lavoro è
misterioso importante”, sostenuti da sentenze che hanno un gusto religioso e un
panottico che punisce ogni minima trasgressione. È metafora della vita, ma
anche riflessione sulle religioni, sulla solitudine e i rapporti umani, sul
potere e la conoscenza, sui pregiudizi (e qui si pensi a 1.05 in particolare) e
sul dissenso, sull’arte, sull’identità, sulla consapevolezza e su che cosa ci
rende umani.
C’è un po’ di Lost, de Il Prigioniero, di Mr
Robot, di Counterpart
(nella sigla, nello sdoppiamento e nel rapporto con un’autorità invisibile), di
Devs,
di Maniac,
di Scientology... Se dovessi scegliere un solo aggettivo per descriverla
sceglierei, “unheimlich”, perturbante. A partire dalla notevole sigla di apertura
realizzata da Oliver Latta, che ha il nome d’arte di Extraweg (qui la sua pagina web), che la descrive come
“il viaggio mistico di queste diverse identità, ricordi di esperienze, dolore,
perdita e controllo in un unico corpo, attraverso l'uso del surrealismo e
sottile umorismo ironico” (si legga questo
articolo in proposito).
Due trigger warning importanti: uno su autolesionismo – suicidio (in
1.04-1.05) e l’altro su immagini intermittenti che possono dare problemi a
soggetti sensibili.
Sceneggiato e recitato alla perfezione. Straordinario. E poi, anche se non fanno ciao, ci sono le caprette – chi vedrà capirà.
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