Se si ha nostalgia per le
atmosfere di Downton Abbey, non si
sbaglia a immergersi nelle sei puntate di Belgravia
(ITV), dall’autore di entrambe Julian Fellows che ha basato questa sua ultima
creazione su un suo romanzo dallo stesso titolo. La regia è di John Alexander (Sense and Sensibility). Ambientazione
vintage, trame che sanno di soap opera, colpi di scena inaspettati e
risoluzioni utili all’atteso lieto fine. Tutto sullo sfondo della Londra posh del quartiere che
dà il nome alla miniserie.
Gli eventi principali
sono preceduti da un antefatto di 25 anni prima: a Bruxelles nel giugno del 1815,
due giorni prima della battaglia di Waterloo e alla vigilia della battaglia di
Quatre Bras, la contessa di Richmond tiene un gran ballo in onore del Duca di
Wellington. A quella festa partecipano Edmund Bellasis (Jeremy Neumark Jones) e
Sophia Trenchard (Emily Reid). Lui è il figlio dei conti di Brokenhurst,
Caroline (Hariet Walter) e Peregrine (Tom Wilkinson), una delle più ricche e
importanti famiglie; lei è la figlia Anne (Tamsin Greig, Episodes) e James (Philip Glenister), un mercante di successo noto
come Il Mago per la sua capacità di fornire cibo e vestiario all’esercito.
Edmund e Sophia sono molto innamorati, ma le famiglie, quella di lui in
particolare, disapprovano per la differenza sociale fra i due. Entrambi muoiono
giovani a poca distanza l’uno dall’altra, ma quello che c’è stato fra loro e
quello che è accaduto quella notte si riflette tutt’ora su tutti gli altri.
Anne e James, oltre alla
defunta Sophia, hanno un altro figlio, Oliver (Richard Gouldin), non portato
per gli affari ma per la vita di campagna, che comincia ad essere geloso delle
attenzioni che il padre riserva a Charles Pope (Jack Bardoe), un ragazzo che
invece sul piano lavorativo si prospetta molto in gamba e che si innamora,
ricambiato, di Lady Maria Grey (EllaPurnell), figlia della Contessa di
Templemore, che vuole che la figlia sposi John Bellasis (Adam James), destinato
ad ereditare la fortuna di quella famiglia, sebbene il padre, un reverendo,
sperperi le fortune di famiglia nel gioco. John acconsente al fidanzamento, ma
intesse una tresca con la moglie di Oliver, Susan (Alice Eve).
Nonostante i molti
intrecci è un talento di Fellows quello di saper delineare con chiarezza e in
modo credibile questi intricati rapporti e nonostante l’utilizzo di un deus ex
machina al momento giusto (una donna in possesso di alcune lettere e documenti
risolutivi), tanto gli ostacoli che costruiscono il motore della storia quanto
gli escamotage per risolverli sono sia consoni e stringenti rispetto ai mores
che ritrae, sia fluidi e sensati nel loro appagante superamento.
Se il gusto e il clima,
e molto la musica anche, ricordano quelle del maggior successo televisivo dell’autore,
ci sono anche notevoli differenze. In primo luogo il fatto che qui non si parla
della decadenza di una famiglia e del declino dei costumi aristocratici, ma all’opposto
di borghesi che lavorano e sono emergenti. Siamo agli inizi dell’epoca
Vittoriana e c’è molta voglia di fare. Certi contrasti sono più apparenti: la
stessa servitù è vista meno come famiglia, più come impiegati. Sono ancora
tutti vincolari da etichetta e valori di convenienza e apparenza, facili vergogne ed imbarazzi sociali. Se i titoli
nobiliari hanno ancora un peso, anche il vile denaro non ha un ruolo indifferente.
Centrali sono i rapporti
familiari, ma si medita sul lutto e sul valore dei ricordi e della memoria, così
come sui pregiudizi, che tanto condizionano a tutti i livelli i comportamenti e le vite dei protagonisti. Le donne, e quelle
più mature, sono in primo piano qui: Caroline e Anne in particolare, le madri
dei due defunti innamorati, sono uno i due punti di riferimento essenziali e il
loro rapporto riesce ad avere notevole nuance in mano ad attrici consumate. Non
manca per altri aspetti una buona dose di prevedibili villain che si
arricciano i baffi per la cattiveria, in quanto a finezze siamo più sul livello
del film di Downton che non a quello degli albori della serie, e non c’è una Lady Violet che con
umorismo graffiante alleggerisca le situazioni.
Sebbene Belgravia sia autoconclusiva e il programma
non abbia ricevuto le lodi che, specie al debutto, avevano ricevuto i conti di
Grantham, ci potrebbe essere una seconda stagione (si legga qui
su RadioTimes). Se è la vostra tazza di tè, come direbbero gli inglesi, ovvero
se è il vostro genere, è una tazza di tè che si sorseggia gradevolmente senza
grosso impegno.
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