venerdì 5 gennaio 2024

THE BUCCANEERS: godibilissimo

The Buccaneers (ovvero I Bucanieri, Apple TV+), tratto dall’omonimo romanzo incompiuto di Edith Wharton, dal promo sembrava un incrocio fra Dickinson e Bridgerton, un teen drama in costume aggiornato però alla sensibilità contemporanea. È in effetti un period drama che non lo è nello spirito: con di fondo tutte le potenziali problematiche etiche che simili operazioni possono sollevare ma che, consapevoli di questo, è anche il caso di mettere da parte per godersi con leggerezza un programma che vuole essere uno spumeggiante intrattenimento. E lo è stato alla grande, un guilty pleasure poco “colpevole” e molto “piacere”. 

Salvo qualche iniziale impressione, Dickinson non è poi lì certi anacronismi erano sensati in un approccio volutamente poetico ed era un homage molto studiato che aveva il suo perché ; è più Bridgerton, anche se con molto meno gossip e spirito maligno di questo, e per quello forse mi è piaciuto di più, ma comunque con infusioni del materiale originale che ricadono semmai nell’aura di The Gilded Age, con una nota forte che contrappone i mores degli Stati Uniti a quelli della vecchia Europa, e i nouveaux riches alla polverosa aristocrazia. Ci troviamo anche un pizzichino della storia di Meghan Markle, un pasticcino tutto glassato da una colonna sonora di canzoni pop contemporanee.

Siamo a New York, nel 1870. Cinque amiche americane vanno a Londra con l’obiettivo di trovar marito, magari con un titolo nobiliare. Sono tutte giovani, belle, ricchissime, piene di vita e di desiderio di nuove avventure. In apertura Conchita Closson (Alisha Boe), che è incinta ma non vuole farlo sapere al futuro marito perché non convoli a nozze solo perché si sente obbligato in tal senso, si sposa con Lord Richard Marable (Josh Dylan), insicuro di compiere il gran passo perché i genitori non sono d’accordo e teme che la futura moglie non si adatti all’ambiente a cui è abituato. Procedono al gran passo, e tornano nella capitale britannica. Con Conchita vanno anche le sue damigelle e amiche. Fra loro c’è Nan, (Kristine Froseth, Looking for Alaska), la principale eroina della serie, che in realtà non ha grande desiderio di attirare un principe azzurro, ma di cui si innamorano presto sia l’ambito Theo, Duca di Tintagel (Guy Remmers), insofferente all’idea di dover trovar moglie fra persone della sua cerchia e dedito all’arte, sia del suo migliore amico, Guy Thwarte (Matthew Broome), la cui famiglia è in rovina economica. Lei è in sintonia con entrambi. Diversamente intenzionata da Nan è invece sua sorella, Jinny (Imogen Waterhouse), che ha sempre l’impressione che le venga rubata la scena, ma convola presto a nozze con l’abusante Lord James Seadown (Barney Fishwick), fratello di Richard. Ad accompagnare Nan e Jinny c’è la madre, la signora St. George (Christina Hendricks, Mad Men) che ha un difficile rapporto con il marito, il colonnello St. George (Adam James). Le altre ragazze coetanee in viaggio nel Vecchio Continente pure sono due sorelle, Lizzy (Aubri Ibrag) e Mabel (Josie Totah) Elmsworth. La prima risveglia l’interesse di Lord James, che lei inizialmente ricambia, la seconda non è attratta dagli uomini, ma dalle donne e scocca la scintilla con la riservata Honoria Marable (Mia Threapleton), sorella di Lord Richard e Lord James.   

L’aspetto più gustoso della prima stagione di 6 puntate è stato indubbiamente il triangolo Guy-Nan-Theo, perché per una volta lo è stato autenticamente. Non c’è solo lei indecisa fra i due, ma in fondo sai a chi è destinata, e l’altro è solo un ostacolo alla felicità della coppia che si sa trionferà. Se lei è dubbiosa su chi sia meglio per lei lo è anche il pubblico, sicuramente lo sono io, che non saprei chi scegliere o per chi tenere. Con entrambi c’è una deliziosa intesa e sono nobili di spirito e affascinanti entrambi. Originale è anche la storia lesbica fra Mabel e Honoria, perché fa pensare in modo nuovo alle difficoltà nelle coppie LGTBQIA+ in quelle epoche dove per una donna “trovare marito” era un imperativo legato spesso alla sopravvivenza. Con il personaggio di Richard – ATTENZIONE SPOILER – si affronta brevemente il tema dell’abuso su minori, con la rivelazione delle attenzioni da lui ricevute quando era piccolo da parte di una governante Miss Testvalley (Simone Kirby), dove una simile situazione, soprattutto di una donna nei confronti di un bambino o giovane uomo non è sicuramente storia che si vede spesso. È terribile e perfino agghiacciante il modo in cui, sotto un’apparente fredda e controllata gentilezza, Lord James viene ritratto come un manipolatore abusante, controllante e abituato al gaslighting e all’umiliazione, un uomo che riduce le proprie vittime alla vergogna, con quel genere di violenza che non è così evidente all’esterno, ma che è devastante.   

Gli scenari sono mozzafiato, le ambientazioni scenografiche e i costumi sono sontuosi, ma in questa opulenta cornice, al centro dei riflettori c’è in prevalenza la condizione della donna a quell’epoca, costretta dalle convenzioni sociali a essere silenziosa, invisibile, priva di identità davvero, e con una prospettiva contemporanea, e con lezioni che mutatis mutandis valgono anche per la società attuale. Lo scontro mentalità americana e inglese è la leva che usano per parlare al pubblico di oggi. Fin dall’esordio è chiaro che The Buccaneers portato sul piccolo schermo da Katherine Jakeways non mira all’accuratezza storica. Nel pilot, per riportare un semplice esempio, Conchita perde un orecchino che cade sulla strada. L’amica Nan si cala dalla finestra muovendosi giù dal muro come fosse la donna ragno per recuperarlo. Al di fuori della pericolosità della scelta, che immagino un genitore rimprovererebbe tutt’ora, credo che alla fine dell’800 un simile agire da parte di una giovane donna in età da marito sarebbe stato considerato biasimevole o come minimo inappropriato. Mi sbaglio? Credo di no, ma se me lo chiedo è perché, al di là di scelte dei protagonisti che chiaramente riflettono lo Zeitgeist attuale, rimango spesso perplessa dei comportamenti che fanno assumere a personaggi di secoli passati, ma non so fino a che punto sia mia ignoranza che vede i nostri avi più ingessati, e fino a che punto sia invece effettivamente stato possibile. Probabilmente è proprio grazie a questa ignoranza, che immagino in una certa misura collettiva, che le vicende hanno una patina di credibilità e funzionano così bene come in questo caso, dove ci si dimentica che la realtà non avrebbe concepito certe soluzioni e ci si riesce a godere lo spirito di fondo che è di amicizia e di volersi bene, ed è vivace e gioioso nonostante si mostrino anche realtà ipocrite e difficili con cui convivere.

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