Minority Report, basata su un racconto di Philip Dick, riprende
10 anni dopo quanto narrato dal film con Tom Cruise dallo stesso titolo. Siamo
a Washington nel 2065 e tre ragazzi detti precog per la loro capacità di
precognizione di crimini futuri – Dash (Stark Sands), Arthur (Nick Zano) e
Agatha (Laura Regan) - che all’epoca erano poco più che bimbi, sono cresciuti
in isolamento dopo che è stato dismesso il programma che utilizzava a fini
investigativi le loro capacità. Ora adulto, Dash che percepisce anche il dolore
delle vittime che vede, vuole tornare alla civiltà per risolvere almeno
qualcuno di quei crimini le cui visioni lo tormentano, sebbene senza l’aiuto degli
altri due il quadro non riesca mai ad essere completo. Per quel che riesce dà indizi
alla detective della omicidi Lara Vega (Meagan Good), che cerca di tenere
nascosto l’aiuto di un precog al suo capo Will Blake (Wilmer Valderrama) perché
la pratica è ora illegale. Lei la ritiene utile e crede che se ci fosse stata
questa possibilità si sarebbe potuta scongiurare la morte di suo padre.
La storia del pilot è
abbastanza innocua per non dire insulsa - grazie alle visioni del futuro da parte di
Dash si riesce a evitare la morte della moglie di un candidato politico – e la
gran parte della critica è rimasta tiepida nei confronti della serie, giudicata
pedestre in comparazione al film. Non è migliore o peggiore di tante altre, ma
a me ha convinto più che alla maggioranza per tre ragioni: la scomparsa di Arthur
penso possa carburare storie abbastanza coinvolgenti nelle puntate a seguire –
promettono sarà un antieroe che, a differenza del gemello, vuole usare i propri
poteri per fini egositici; l’innocenza di Dash, a lungo allontanato dalla vita
civile e dalle interazioni sociali, è dolce e crea una dinamica di leggerissimo
umorismo con Lara; la tecnologia futuristica impiegata è una vera goduria. Non
sorprende scoprire che i responsabili del programma abbiano consultato un team
di futurologi del MIT per realizzare gadget che è realistico possano esserci
fra 50 anni, come il braccialetto della studentessa che si apre diventando un
piccolo drone pronto a scattare dei selfie. Ce ne sono a profusione e la geek
che è in me vuole vederne ancora e ancora.
Se trova una direzione
narrativa, questo progetto sviluppato per la TV da Max Borenstein che ha debuttato sull’americana Fox il 21
settembre potrebbe anche farcela.
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