Funziona
più o meno così: se Russell T. Davies (A
Very English Scandal, It’s
a Sin, Years
and Years, Queer
As Folk, Cucumber)
scrive qualcosa, io lo guardo. Come ha scherzato, la “T” nel suo nome sta per
“Television”. Non ho visto proprio tutta-tutta la sua produzione, certo è che
se la penna è sua ci presto attenzione. Nolly,
miniserie biografica
in tre puntate dedicata alla memoria di Noale Gordon, star della soap
opera britannica Crossroads, non è la
migliore delle sue opere a mio gusto, ma è nostalgica e celebrativa,
ed è un tributo affezionato, da vero appassionato del genere quale è sempre
stato (e a cui ha pure contribuito come sceneggiatore). Nolly, come veniva
appunto chiamata, è stata la prima donna della televisione mondiale ad apparire
a colori (nel 1938), come ci ricordano, una personalità grintosa a affascinante,
una vera star, mancata nel 1985 per cancro allo stomaco.
Con
Helena Bonham Carter (The
Crown) che le dà brillantemente il volto, si percorre rapidamente l’arco
di una carriera che l’ha vista celebratissima e amatissima nel ruolo di Meg
Mortimer, proprietaria di un motel, per soffersi poi su un momento cruciale.
Era la spina dorsale del programma in cui recitava da quasi vent’anni, era pluripremiata,
con grande esperienza e sicura di sé, tanto da sapersi far valere. Quando una
nuova arrivata, Poppy (Beathny Antonia), sta per sedersi sulla sua sedia tutto
il cast la avverte di non farlo: è solo e soltanto di Nolly, un trono
praticamente. Non le mandava a dire e imponeva con autorevolezza il proprio
punto di vista su quello degli altri (produttori, registi, colleghi) per cui
poteva essere una spina del fianco, e lo era in particolare per il produttore
Jack Barton (Con O’Neill, Our
Flag Means Death, Cucumber), perché
cambiava le battute, suggeriva nuove inquadrature, voleva sempre migliorare qualcosa;
non era però scorretta o scortese, conosceva il nome di tutti, aiutava dentro e
fuori dal set.
Jane (Antonia Bernath), sua figlia nella finzione della soap, la chiama "mamma";
con Tony Adams (Augustus Prew), suo più giovane collega, scambia gossip e va a
guardare le vetrine; una dello staff ricorda come il giorno delle nozze le
abbia prestato la Rolls Royce e l’abbia accompagnata al suo matrimonio…
Poi,
il gran colpo di scena, a lungo inspiegato: licenziata. Diventa uno scandalo
nazionale, con titoloni sui giornali e fibrillazione per capire sia che cosa
fosse successo dietro le quinte, sia che fine avrebbe fatto il personaggio. Morirà?
Uscirà di scena in altro modo? Davies, nella seconda delle tre tranches crea
una suspence incredibile, con tutti all’oscuro a fiondarsi sul copione per
capire che cosa accadrà dopo: uno degli stilemi del genere che dimostra di
conoscere bene e di infondere nella sua scrittura, quel tanto che è necessario.
Nolly, una donna apparentemente sola, nonostante le manifestazioni di affetto
di tutti quelli che incontra, vede crollare il mondo per come lo ha conosciuto.
Si sente umiliata, cacciata senza nemmeno capirne il motivo. È vulnerabile, e
deve reinventarsi, quando si rende conto di essere ormai probabilmente
sorpassata, vecchia, fragile. Con un vecchio amico che le propone il teatro, Larry
Grayson (Mark Gatiss), pure in una fase di declino della carriera, scambia
parole di confronto e conforto. Realizzano di non essere più rilevanti e
cercano un nuovo posto del mondo, c’è paura e rassegnazione, tristezza.
Nolly
sa però difendersi quando denigrano le soap. In una scena in un autobus (1.02)
rivendica ferocemente il diritto a un intrattenimento che non è da meno solo
perché è considerato per donne: soap, casa e tè sono per le donne l’equivalente
di football, pub e birra per gli uomini, eppure nessuno guarda questi ultimi con
la supponenza che è riservata al contraltare femminile, solo perché tale. C’è una
riflessione femminista nel momento in cui dice: “Quando sei una donna senza
marito, senza partner, senza figli la società non sa chi sei. Non c’è posto per
noi. L’armata silenziosa di donne senza nome”. Anche se lei una storia sentimentale
importante l’ha avuta. E si sofferma anche (1.03) sul fatto di come succede spesso
in queste situazioni, che quando una donna non ha un uomo, dicono che ha
fallito, che le manca qualcosa, che è strana e ipotizzano che sia lesbica,
equivalenza che ritiene offensiva per chi lo è. Reclama il proprio valore, e il
proprio diritto ad essere se stessa e lo fa per tutte quelle donne che vengono
considerate “difficili" solo perché assertive; ci si schiera anche contro
l’ageismo di metterle da parte quando hanno “una certa età”.
Alla fine Nolly ha il suo riscatto, ma quello che rende pregevole questo ritratto è che ci sono molto calore ed empatia, e apprezzamento di una donna quando è diva ed è glamour, ma anche quando è in decadenza ed è ai margini dello showbusiness. Ci sono cuore e umanità, pure un pizzico di umorismo. Diretta da Peter Hoar, credo che sia una lettera di un fan molto speciale che la vera Nolly avrebbe apprezzato.
Nessun commento:
Posta un commento