Oh, se solo David E. Kelley (Picket Fences - La famiglia Brock, Ally McBeal, The Practice, Boston Public, Boston Legal) imparasse a frenare le sue eccentricità… Il nuovo Harry’s Law (NBC), di cui è ideatore e sceneggiatore, oltre che produttore esecutivo insieme a Bill D’Elia, regista del pilot, non è un buon telefilm, ma non è nemmeno inguardabile come altri suoi tentati progetti (Snoops, The Brotherhood of Poland, NH, The Wedding Bells). Si vede il genio che un tempo era, si vede al di là delle situazioni irreali, dei personaggi eccessivi, della tendenza a fare la predica. Questa nuova serie l’ho vista con un po’ di tristezza per il potenziale non realizzato, ma mai con irritazione, come troppo spesso era accaduto ultimamente.
In Harry’s Law, Harriet “Harry” Korn (Kathy Bates, Misery, Six Feet Under) è un avvocato pagato 600.000 dollari l’anno che non ne può di occuparsi di cause di brevetti. Si è resa conto che è terribilmente noioso, così la licenziano. “Dicono che la morale della storia arriva alla fine, ma chiedi a me, qualche volta arriva all’inizio, nel mezzo, è solo che non la capisci fino alla fine”, esordisce, e “qualche volta non la capisco proprio”, continua. Un ragazzo, Malcom Davies (Aml Ameen), che tenta il suicidio buttandosi da un palazzo, le cade addosso, e si salva, lasciano lei solo vagamente ammaccata; subito dopo un collega più giovane, Adam Branch (Nate Corddry, Studio 60 on the Sunset Strip), che in tribunale una volta le era stato contro e che lei aveva chiamato un “moccioso arrogante”, la investe con la macchina, ma lei cade su un mucchio di materassi e si salva. Decide di aprire il suo personale studio legale in un quartiere prevalentemente nero di diseredati, e assume il primo come paralegale e, nonostante qualche obiezione iniziale, accetta che il secondo lavori per lei come avvocato. Adam la ammira tantissimo e per questo ha deciso di lasciare un prestigioso studio per una scrivania da lei (da notarsi la canzone della sigla de I Jefferson, quando porta le sue carte). La segue nella nuova avventura professionale anche la segretaria Jenna (la sempre deliziosa Brittany Snow, American Dreams). Nel locale che prendono in affitto come studio si trovano decine di paia di scarpe di gran marca abbandonate lì dal precedente gestore del locale, e su iniziativa di Jenna, che adora le calzature, lo studio legale diventa allo stesso tempo un negozio di calzature.
L’idealismo per la giustizia e per le questioni sociali non manca, e pochi come Kelley riescono davvero ad arrivare al nocciolo delle questioni con scambi di battute focose e arringhe appassionate, cercando l’umanità e la moralità dietro ai casi. Qui l’autore sembra davvero aver preso la protagonista come un alter-ego per dar voce alle sue opinioni politiche, in modo molto diretto. Nel pilot Harry si scalda su quanto sarebbe opportuno legalizzare la droga, ad esempio. La premessa sopra le righe potrebbe anche passare con un po’ di buona volontà, e lo stesso vale per le scene un po’ troppo melodrammatiche, ma è proprio con i casi che si cade nello sdolcinato, nel condiscendente, nel socialmente semplicistico. E alla fine il programma, ambientato a Cincinnati, non convince.
Una piccola nota: Adam Branch, nel pilot, parlando con un cliente in carcere, senza un vero motivo, per sottolineare quello che dice, usa il finger-spelling, la digitazione delle lettere con le mani, come fanno i sordi. Il personaggio con cui parlava non era sordo, e non c’era una vera ragione per farlo, per cui mi ha colpito. Mi chiedo se sia stata una scelta dell’attore, che chiaramente segna in modo estremamente naturale ed efficace, o se sia voluto dagli autori. In ogni caso è un dettaglio che mi è piaciuto molto.
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