La critica ha mediamente apprezzato Suburgatory, la sit-com della ABC partita a fine settembre e confermata per un’intera stagione, molto più di quanto non abbia fatto io, che l’ho trovata troppo carica per i miei gusti.
George Altman (Jeremy Sisto, Six Feet Under) è un architetto newyorkese che cresce da solo una figlia adolescente, Tessa (Jane Levy). Un giorno trova in camera sua un pacchetto di preservativi e, preoccupato, decide di trasferirsi in periferia (suburbia in inglese), cosa che non aggrada troppo alla figlia che si trova catapultata in quello che considera un purgatorio (purgatory) di finte apparenze dove la gente si allarga un po’ troppo. Da qui il titolo: suburbia più purgatory uguale suburgatory. Nonostante l’aria artificiale, a Tessa, che una madre non ha, non sfugge l’attenzione materna di Dallas (Cheryl Hines, Curb Your Enthusiasm) nei suoi confronti, e c’è una possibile per quanto improbabile amicizia con la figlia di lei Dalia (Carly Chaikin).
Soprassediamo sulla premessa poco credibile. Avesse George trovato la figlia, che so, a letto con più di un ragazzo contemporaneamente, avrei anche potuto trovare ragionevole il trasferimento, ma davvero un newyorkese oggidì si preoccuperebbe tal punto di trovare dei condom in camera della figlia adolescente? Sarebbe da preoccuparsi di più se non ci fossero. Anche abbuonando però la premessa tirata un po’ per i capelli, la serie non mi esalta.
L’atteggiamento condiscendente di Tessa glielo perdoni anche, è un’adolescente dopotutto: uno sguardo fresco e critico alla realtà dovrebbe essere una prerogativa di chi è giovane e la sua spocchia è intesa come veicolo per gran parte dell’umorismo della serie. Funzionerebbe forse, se la realtà in questione non fosse così smaccatamente eccessiva da renderla sgradevole e ogni commento superfluo. George la descrive come “felliniana”, sarà che appunto grottesco e circense non sono mai stati nelle mie corde, ma non riesco ad apprezzarlo. La perfezione falsa e la falsità perfetta che si vive dietro alle staccionate bianche e ai prati ben curati della periferia ha trovato una tale impeccabile rappresentazione in Desperate Housewives che quella di Suburgatory alla fine mi appare al confronto solo patetica. E il product placement della Red Bull nel pilot era così smaccato da rendersi complice di ciò che in teoria ci dice che vorrebbe criticare.
Nella prima puntata di questa sit-com ideata da Emily Kapnek la sola battuta che mi abbia fatto davvero ridere è stata quella di Tessa che commenta una gonna che in teoria dovrebbe lasciar scoperto l’ombelico, ma che in realtà, osserva lei, lascia scoperto qualcos’altro: la vagina. Tessa si aggiunge così all’elenco dei personaggi che hanno utilizzato, nell’umorismo di questa gettata autunnale di telefilm, quella che è diventata la parola più gettonata, o forse dovrei dire la più figa.
la prima puntata non aveva convinto molto neanche a me, però la seconda mi ha fatto ridere parecchio e adesso la seguo piacevolmente. non è magari eccezionale, però mi ci sto affezionando...
RispondiElimina