Nonostante io abbia anche apprezzato in partenza The Walking Dead, alla fine della prima stagione non ero così sicura di volerlo seguire, a causa, come ho spiegato in un post, dei forti, aggressivi maschilismo e misoginia che me ne rendevano pesante la visione. All’inizio della seconda stagione (su Fox dal 17 ottobre, ore 22.45, in pratica in contemporanea con la messa in onda negli USA), seppure la prima nuova puntata non avesse nulla di particolarmente specifico in questo senso, la sensazione mi è rimasta, come di un retrogusto, di un’etica di fondo rabbiosa che alla fine mi fa sentire in modo brutto riguardo a me stessa in quanto donna. È il punto di vista umano che non mi soddisfa. Per questo non sono sicura di volerla seguire anche nella seconda stagione, questa serie, abbandonata in corso di via dal suo showrunner Frank Darabont quest’estate, notizia ampiamente riportata dalla stampa, e già confermata per un terzo ciclo. Intanto ho cominciato comunque.
“What Lies Ahead – La strada da percorrere” (2.01), fuori dalle considerazioni di cui sopra, è stata appassionante. Si è ripreso dal momento subito successivo alla chiusura della prima stagione, quando erano saltati in aria i CDC di Atlanta (il centro per il controllo delle malattie americano). Ed è ricominciato il viaggio, la grande fuga, in macchina, in camper, in moto. Magari lo hanno fatto anche nella prima stagione e non me lo ricordo, ma vedere ora Norman Reedus (che interpreta Daryl Dixon) su una motocicletta non può non far tornare alla mente la sua partecipazione al video di Lady Gaga, Judas, cosa che mi pare voluta. C’è stata la tensione dell’orda di zombie putrescenti da cui hanno dovuto nascondersi, cercando di rimanere silenziosi e immobili, la scomparsa della piccola Sophia (Madison Lintz), e un memorabile colpo di scena finale che non rivelo per evitare spoiler.
Oltre a quello della sopravvivenza è emerso in modo molto forte il tema di non perdere la fede. In apertura sentiamo Rick (Andrew Lincoln) proprio dire che è quello che cercano di preservare, a dispetto di tutto. Per fine puntata lo vediamo in chiesa, davanti ad una statua lignea di Gesù in croce. Si chiede se lo stia guardando con tristezza, disprezzo, pietà, amore, o forse indifferenza. E chiede un segno. Un segno per avere fede in un futuro diverso. E subito dopo ne riceve uno, non c’è che dire, sempre a proposito del colpo di scena finale che non voglio rivelare.
Su Slate, Torie Bosch riflette sul fatto che gli zombie hanno ufficialmente smesso di essere il genere amato da ragazzini adolescenti soli e vergini, lato macabro di quello che sono per le ragazzine gli unicorni, per diventare una storia dell’orrore fiscale, rappresentazione delle paure della recessione economica, incubo dei colletti bianchi di un mondo dove le loro competenze sono inutili e dove loro diventano un peso e dove chi sopravvive meglio sono i colletti blu (poliziotti, meccanici, cacciatori…). Forse.
la misoginia non l'ho notata...
RispondiEliminail problema della serie mi è sembrato più che altro il non saper dove voler andare a parare, con la prima stagione.
la seconda però mi sembra già più interessante, anche se personaggi e attori non mi sembrano proprio il massimo della tv americana...
Purtroppo tanti non la notano. Io la trovo rivoltante e difficile da stomacare. E penso nel mio post in proposito di aver messo in luce quali sono gli aspetti che me la fanno pensare tale.
RispondiEliminaComunque concordo su quello che dici e su quello che hai scritto nel tuo acuto post un proposito.