È da
poco andata in onda negli USA su Starz la midseason
finale di Outlander, serie
sviluppata per la televisione da Ronald D. Moore (Battlestar Galactica, Caprica)
sulla base di una popolarissimo ciclo di romanzi scritti da Diana Gabaldon.
Tornerà per gli altri otto episodi che costituiscono i 16 della prima stagione
ad aprile.
Protagonista è una
giovane infermiera della fine della seconda guerra mondiale, Claire Beauchamp
(Caitriona Balfe). Con il marito Frank (Tobias Menzies) si reca ad Inverness, in
Scozia, per una seconda luna di miele e, per aver toccato delle antichissime
pietre in una località chiamata Craigh na Dun, si ritrova catapultata indietro
nel tempo, e specificatamente del 1743. Spaesata e in pericolo, grazie alle sue
doti nel curare le persone viene accolta dal clan dei MacKenzie, residenti al Castello
di Leoch. Il suo obiettivo è quello di tornare alla sua epoca, e nel frattempo
cerca di sfuggire al sadismo di un antenato del marito, “Black Jack” Randall,
una giubba rossa. Inizialmente, dai suoi ospiti è trattata come una possibile
spia, e percepita fortemente come una “Sassenach”, una “forestiera”, in quanto
inglese - la serie su You Tube fornisce delle brevissime lezioni di gaelico,
utilizzato nella finzione, proprio a partire da quella parola (qui). Presto però Claire
accetta di sposare Jamie Fraser (Sam Heughan), membro di quel clan, ricercato
dai soldati inglesi.
La serie, in misto di
fantasy, avventura e storia romantica, è cominciata in modo lento e pacato, e
sulla base del solo pilot, se non avessi saputo quanto vocali sono i fan di
questa saga, ammetto che non avrei continuato a seguirla. Ma l’ho fatto, e ne
sono sinceramente contenta. Sullo sfondo di scenari magnifici e un contesto
storico inusuale, si profilano personaggi che si fanno via-via più definiti e
ben più complessi delle classiche storie di genere, cosa che giustifica la
critica generalmente molto favorevole.
La puntata “The Garrison
Commander” (1.06), che ha come fulcro Black Jack che frusta Jamie, è stata
molto violenta, ma ha messo a fuoco per la prima volta sul serio per me che
cosa è in grado di farne questa narrazione, ovvero dare una pregnanza umana
anche ad accadimenti apparentemente disumani e senso a circostanze che potrebbero
altrimenti essere solo di servizio in quanto funzionali alla trama.
Ugualmente la puntata
successiva, “The Wedding”, sul matrimonio fra Claire e Jamie, ha saputo costruire
intimità come rare volte si vede fare. Quello che mi è piaciuto di più è stata
la calibrata lentezza con cui sono state costruite le scene di sesso fra i due
protagonisti ed il mutare di significato e valore degli incontri sessuali che
si sono susseguiti. È stata notevole. Maureen
Ryan sull’Huffington Post, in un articolo la cui lettura caldeggio, la definisce rivoluzionaria. Io ho visto
troppo daytime per ritenerla così sovversiva del mainstream – le soap opera hanno per anni costruito nella direzione
che lei incontra qui per la prima volta
- ma nondimeno condivido che per il prime-time propone una visione
radicale, una prospettiva dove la preminenza è data alla female gaze, allo sguardo femminile, e dove nudità, desiderio, reciprocità,
sessualità e intimità vengono unite con deliberata e appagante consapevolezza.
Insapettatamente, Outlander mi ha conquistata. Non vedo l’ora che riprenda.