Come ogni anno
scelgo quelli che ritengo i migliori
nuovi programmi. È vero che questo mi impedisce di segnalare ottime produzioni
che non ho fatto in tempo a vedere al debutto, ma preferisco così. Se andassi
indipendentemente dall’anno di produzione, come mio preferito dell’anno
quest’anno sceglierei Succession, che
avevo segnalato lo scorso anno fra i nuovi migliori. La seconda stagione, di
cui ho parlato qui,
lo conferma un must.
Quest’anno in ogni caso
ha un ricco carnet di debutti molto buoni. Ecco sotto i titoli, in ordine
alfabetico, con cui non si può sbagliare:
Chernobyl: molto classica, ma potente. Ne ho parlato qui.
PEN15: non ci sono molte riflessioni telefilmiche sulle tween, ma qui vengono guardate con
affetto e intelligenza. Il mio post in proposito è qui.
Ramy: della prima serie con protagonista una famiglia
arabo-musulmana ho parlato qui,
ma prossimamente avrò un nuovo post su una puntata specifica.
Russian Doll: la cosa da sapere è che questa meditazione
esistenziale è una metafora dalla dipendenza da sostanze. Su tutto il resto si
legga quello che ho scritto qui.
Sex Education: la
seconda stagione di questa scoppiettante, dolce commedia adolescenziale arriva
su Netflix il 17 gennaio. Quello che intanto ho pensato della prima si può
leggere qui.
Years and Years: pura pigrizia (ero al mare d’estate quando
l’ho vista) non mi ha fatto scrivere, tragicamente, su una delle migliori
miniserie dell’anno, uscita dalla penna del mio amato e sempre brillantissimo
Russell T. Davies (Queer As Folk, Cucumber, A Very English Scandal), che qui presenta una summa dei suoi temi e
riflette la realtà contemporanea in modo superbo, con un pizzico di Black Mirror, ma con uno spirito meno
conservatore rispetto a questa. Rimando, volendo, ala recensione che ne ha
fatto l’ora ex-critico di punta di The
Hollywood Reporter, Tim Godman, qui.
Basti dire che la serie guarda nel tempo, negli anni e anni del titolo fino
al 2026, alla famiglia Lyons nel contesto degli stravolgimenti politico-sociali
che si verificano in Inghilterra e nel mondo, e con un’ottica all’impatto della
tecnologia (una storia riguarda l’essere trans-umani). C’è un partito politico,
i 4 stelle, nella diegesi. Una curiosità: ho chiesto direttamente a Davies (che
su Instagram risponde ai suoi follower) se si fosse ispirato ai nostri 5
stelle, ma mi ha risposto di no, che l’idea è nata molto prima. Ora che ne accenno
mi pento amaramente di non averci scritto. Queste cose vanno fatte a caldo, ma
se la riguardo cercherò di rimediare.
Watchmen: ne ho appena parlato qui. Lindelof si conferma un autore
di peso nel panorama televisivo contemporaneo.
Non li indico fra le
migliori dell’anno, ma penso meritino una menzione onorevole (sempre in ordine
alfabetico) queste serie:
Euphoria: qui.
Fosse / Verdon: qui.
E forse sbaglio a non metterlo nella lista dei migliori.
Gentleman Jack: qui.
Modern Love: ne parlerò prossimamente in un post, e se mi
ricordo aggiungo il link successivamente.
Shrill: qui.
State of the Union: ecco un’altra serie di cui mi pento di non aver
avuto modo di scrivere. Sono 10 puntate
di circa 10 minuti ciascuna, dalla penna di Nick Hornby, basata sul suo omonimo
libro (disponibile nelle nostre librerie anche in traduzione italiana). L’ho
letto e la serie è praticamente la messa in scena verbatim di quanto c’è sulla
pagina. Le variazioni sono minime. Una coppia in crisi matrimoniale viene
osservata nei 10 minuti che precedono le sessioni di terapia da una psicologa. Sono
in un pub vittoriano a Londra e parlano. Il ritmo è incalzante, con stoccate e
scambi verbali veloci e brillanti. Godibilissimo, e anche con un certo spessore
di riflessione sui rapporti di coppia. Di Sundance TV.
Non metto in lista, ma
solo perché ha appena debuttato, Work in
Progress. Lo cito perché dalle prime tre puntate penso che potenzialmente potrebbe
entrare se non fra i migliori programmi dell’anno quanto meno nelle menzioni
onorevoli. Titoli che sono entrati nella lista di molti, come Unbelievable, When they see us e The other
two, ancora non ho avuto modo di vederli.
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