È
terminata con il botto l’ottava stagione di Grey’s
Anatomy. La tradizionale puntata di megadisastro a cui questo telefilm ci
ha abituato è stata riservata per la fine, in quest’occasione. La serie diventa
ogni giorno più soapy, ovvero
introduce elementi inverosimili alla maniera delle soap: uno per tutti, il
compagno della Bailey (Chandra Wilson), Ben (Jason George), che le fa trovare
un tavolo imbandito di tutto punto per una cena romantica in ospedale visto che
lei ha operato fino all’ultimo e ogni prenotazione al ristorante è andata a
farsi benedire – tanto deliziosamente romantico quanto completamente poco
credibile. Ma se Grey ci piace è
anche per questo. Anche quando vedi che non è chissà quale grande televisione,
sei affezionato ai personaggi e non ti importa.
Questa stagione è
partita un po’ in sordina, con il licenziamento subito rettificato di Meredith (Ellen
Pompeo) a seguito del suo aver compromesso la ricerca sull’Alzheimer di Derek
(Patrick Dempsey): che le abbiano di fatto impedito di subire le conseguenze di
una decisione tanto grave, sia eticamente che professionalmente, mi ha lasciato
l’amaro in bocca. E le ripercussioni sull’adozione della coppia della piccola
Zola, che soffre di spina bifida, sono forse la sola cosa degna di nota
collegata. La tensione narrativa però è stata fiacca. Più interessanti le
conseguenze per Richard (James Pickens, jr) -
che ha dovuto cedere il posto di capo del personale a Owen – per il
quale la storia con la moglie Adele (Loretta Devine) è stata portata alle sue
naturali conclusioni, con lei affidata a una casa di cura.
La storia davvero
potente dell’ottavo arco, quella che ha funzionato sotto ogni punto di vista, è
stata quella dell’aborto di Christina (Sandra Oh) e delle conseguenze che ha
avuto nel suo rapporto con Owen (Kevin McKidd). Qui la serie è stata soap nel
senso migliore del termine: ha esaminato con onestà emozionale le posizioni di
entrambi e solo con il necessario pizzico di melodrammaticità ha ritratto la
coppia con integrità, mettendone a nudo vulnerabilità e forze. Gli attori sono
stati superbi in ogni passaggio. Bisogna poi applaudire anche solo la presenza
di un personaggio femminile che non vuole figli, per il semplice fatto che non
desidera averne. Sono così rari che sembra talvolta che non esistano. In questo
senso Christina davvero è un originale e rende visibili molte donne là fuori
che sullo schermo sono decisamente sottorappresentate.
La storia di Teddy (Kim
Raven, ora entrata nel cast di Revolution)
che, inaspettatamente, perde (8.09) il marito Henry (Scott Foley) è stata fatta
con garbo, ma ha avuto più forza per il tipo di dinamiche create con Owen e
Christina che alto. Dopo la storia di Izzy (Katherine Heigl), sulla cui
falsariga era concepita, in questo senso
non ce n’è per nessuno. Arizona (Jessica Capshaw) e Callie (Sara Ramirez) sono
state in secondo piano, quest’anno, e Lexie (Chyler Leigh) e Mark (Eric Dane) ormai
hanno dato quello che potevano. A concepire i personaggi come segnaposto, i
loro ruoli sono ora coperti da April Kepner (Sarah Drew) e Jackson Avery (Jesse
Williams). La prima inizia la stagione con la difficoltà a imporre la sua
autorità come chief resident e
termina con una fortissima crisi personale: sembra inadeguatamente un po’
troppo il bersaglio dello scherno generale, e il tentativo di demolire la sua
gioiosità con le difficoltà della vita non l’ho troppo gradito come tipo di
retorica sottesa, né come risultato sul personaggio. Jackson dal canto suo,
oltre a rendere onore al suo mentore professionalmente, tiene alto senza sforzo
il quoziente di quello che l’ideatrice chiama man-whoreness (“puttanità
maschile”), ma che io mi accontento di definire “gnocchitudine”. La comparsa
della madre di lui, sempre troppo presente nella sua vita, introdotta con una
puntata sul trapianto del pene, è stata una mossa vincente. Karev (Justin
Chambers) che si è avvicinato alla interna Morgan (Amanda Fuller), e al suo
bebè nato prematuro, ha mostrato una volta in più che questo personaggio è
sempre un po’ sotto-sfruttato.
Questo era il quinto
anno per la gran parte dei residenti e questo ha portato decisioni da prendere
per la rispettiva specializzazione, esami finali e cose così: uno sguardo
interessante a come funziona il sistema americano. Puntata “speciale” della
stagione è stata quella di realtà alternativa
“If/Then” / “E se…” (8.13). Gradevole, ma non di più, anche perché
arrivava esplicitamente a due conclusioni opposte, da un lato che siamo noi gli
artefici del nostro destino, dall’altro che se è destino che accada qualcosa, non
importa quel che facciamo, accadrà.
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