“Il denaro doma la bestia. Il denaro è pace. Il denaro è civilizzazione. La fine della storia è il denaro”: così dice Eric (Ken Leung) nel suo ispirato discorso aziendale nella season finale di una fenomenale terza stagione di Industry, ideata dagli ex-consulenti finanziari Mickey Down e Konrad Kay, parole, confesserà poi, che ha preso a prestito da un racconto di Denis Johnson pubblicato sul New Yorker nel 2014 intitolato “The Largesse of the Sea-Maiden”, da cui il finale della terza stagione trae il titolo: “Infinite Largesse”.
La serie (HBO – BBC1; ho parlato
della prima stagione qui
e non ho invece scritto sulla seconda) è fenomenale, una delle migliori in
assoluto, e in crescita, per cui mi rammarico che ancora in Italia non venga
trasmessa. In realtà, pur essendo il denaro e l’etica capitalista necessariamente
molto visibili per una narrazione ambientata nel mondo dell’alta finanza, è
stato meno il fulcro in questo arco (la messa in onda originaria è andata
dall’11 agosto al 29 settembre 2024), più interessato ai rapporti di classe. È stata proprio uno studio su quei rapporti,
sulla difficoltà di cambiare classe sociale nonostante il portafoglio di cui
uno possa ritrovarsi a godere e nonostante l’illusorietà della mobilità
sociale; in un conteso come quello britannico che fa da sfondo alle vicende,
anche sull’inevitabilità del classismo. E parallelamente, in mezzo agli
intrighi, la politica, la plutocrazia, i media, la società, il privilegio, la
pressione performativa sul lavoro, la meritocrazia, il desiderio, il passato, è
uno studio sui personaggi ognuno a modo loro spezzato dalla vita, ma che cercano
di andare avanti nonostante tutto.
ATTENZIONE SPOILER IMPORTANTI
La Pierpoint ̶ la banca londinese per cui lavorano i protagonisti e che nelle battute finali (3.08) verrà chiusa sei mesi dopo l’egregio lavoro di Eric di coinvolgere i finanziatori egiziani Al-Miraj per tenerla a galla ̶ investe in un’azienda che è in procinto di essere quotata in borsa, la Lumi, il cui CEO è Sir Henry Muck (basta cambiare una lettera del cognome e si capisce facilmente che tipo di multimiliardario visionario intende rappresentare), interpretato da un Kit Harrington che dimostra di non essere memorabile solo come il Jon Snow di Game of Thrones. Presto lui comincia a mostrare interesse per Yasmin (Marisa Abela), alle prese con la scomparsa del padre, Charles (Arthur Levy), accusato di appropriazione indebita per aver sottratto soldi alla propria casa editrice, la Hanani Publishing. In seguito (3.06), con dei flashback si viene a scoprire che, in vacanza in Italia sullo yacht del padre, dopo una feroce litigata con lui durante la quale lei gli augura la morte, lui ubriaco si è buttato in acqua per stizza e ripicca, e lei non ha fatto nulla per aiutarlo mentre stava affogando ed è così morto. A saperlo è solo Harper (Myha'la Herrold), che alla fine della stagione precedente era stata licenziata dalla Pierpoint per aver falsificato le proprie credenziali sul curriculum, e ottiene un lavoro come assistente esecutiva in una piccola azienda, dove conosce una manager di portfolio, Petra (Sarah Goldberg), con la quale si mette in affari. Harper è brillante ma senza scrupoli: Otto (Roger Barcley), padrino di Henry, la saluta con un “ecce Brute”, in una di quelle gemme di dialogo (3.08) che fanno apprezzare una volta di più la serie. Robert (Harry Lawtey), dopo che si ritrova la propria cliente che lo usava come boy toy morta a letto, diventa una sorta di liaison fra la Henry e la Pierpoint. L’amicizia fra lui e Yasmin li conduce finalmente ad ammettere l’amore l’uno per l’altra, ma il giorno stesso in cui fanno l’amore lei decide di sposare Henry (3.08) in un gran colpo di scena. Rishi (Sagar Radia) è perseguitato da crescenti debiti di gioco che conducono all’assassinio a sangue freddo di sua moglie davanti ai suoi occhi nel girono del proprio compleanno. Sweetpea (Miriam Petche) è una nuova assunta alla Pierpoint, che a fine stagione viene chiusa, come dicevo a inizio paragrafo. Lei ed Eric si ritrovano così senza lavoro.
Tutti gli eventi portano ad un
calo di sipario su una fase della serie, che finora può essere descritta come un incrocio fra Succession, Mad
Men e qualcuno ha azzardato anche Girls. Allo stesso tempo è un
mondo a parte che mai abbiamo visto in TV, con un linguaggio proprio (per me
difficile da comprendere sinceramente, e non per l’inglese, in italiano sarebbe
uguale, l’alta finanza non fa per me). Non c’è uno stile espositivo, ma il
ritratto caratteriale di ciascuno, e le debolezze e i punti di forza di
ciascuno bene emergono dalle relazioni, dalle interazioni reciproche.
È brutale
e feroce, implacabile. Basti pensare a “Nikki Beach, or: So Many Ways to
Lose" (3.06) puntata in cui Yasmin ricorda quello che è accaduto con col
padre e quella in cui lei e Harper si distruggono verbalmente a vicenda: Yasmin
la accusa di trovare utile per sè stessa il suo dolore, Harper le vomita
addosso gli stessi dolorosi insulti del padre: “senza talento, puttana,
inutile”. Le persone sono un mezzo per
un fine (3.06) e “la verità non è importante” (3.07). Un altro buon esempio è il
ludopatico Rishi, naturalmente, quando viene pestato e si presenta al lavoro
sanguinante (3.04), per cui nessuno mostra preoccupazione, e la morte della
moglie alla fine ci porta ai limiti de I Soprano. Ed non si può non pensare a Eric, licenziato
senza mezzi termini.
È priva di
sentimentalismo. Yasmin e Robert si ameranno anche, ma appartengono a due mondi
diversi, e Robert non se la prende nemmeno quando vengono annunciate le nozze di lei con Henry nella season finale. Intorno a una lunga tavolata la regia fa
scomparire tutto e rimangono idealmente soli i due innamorati: “mi dispiace”
dice lei; “capisco” replica lui. Ma il vero brillante gioiello di scena è
quando si fermano a una stazione di servizio sulla via per la tenuta di Henry.
Lei lo vede grattare un “gratta e vinci” e cristallizza una volta in più (altre
volte ci sono riferimenti, ad esempio col cibo) che lui viene dalla working
class, diversamente da lei.
È capace
di convivere con l’ambiguità. A fine stagione Yasmin prende con sé una dipendente
dello yacht su cui era stata in Italia, che al tempo era incinta, che aveva
visto sul suo letto far sesso orale con suo padre. La donna è esplicita nel
dire che, in altre occasioni, c’erano state molte bambine in quei party. Scene intense,
anche per la reazione e per come sono costruite, ma noi pubblico rimaniamo con
il dubbio se anche Yasmin sia stata molestata dal padre da piccola. Questa incertezza esiste anche
sul piano finanziario, dove ci sono molti avvenimenti e piccoli colpi di scena,
l’idea è che i mercati siano solo “fumo e specchi” (3.02), ma indistinguibili
dalla realtà, perché la percezione è la realtà: “il denaro è un’illusione. È un costrutto sociale basato sulla fiducia”
(3.04). E scrive bene Aramide
Tinubu su Variety, quando dice che “(n)el corso degli otto episodi,
gli spettatori vedono in ogni momento come la percepita responsabilità sociale non riesca a mascherare un nucleo marcio”.
Partito forse un po’ in sordina, ora Industry è uno sleeper hit acuto, audace, sicuro di sé, che non si contiene. Non è un caso che su Metacritic la terza stagione abbia un punteggio di 86 e una collezione di sfavillanti critiche positive.